Quando si parla di postumi di Covid-19, il pensiero corre subito alla stanchezza, alle difficoltà di respiro, ai tanti fastidi che possono permanere anche a distanza di mesi dall’infezione da Sars-CoV-2. Ma diventa difficile ragionare in termini di impatto sulla psiche. Ora una ricerca italiana fa luce su questo tema e propone dati che preoccupano.
Il Covid-19 fa aumentare di oltre il 10% i sintomi di disturbi psichiatrici nei dodici mesi successivi alla malattia. E del 20% altri segnali come mancanza di concentrazione e attenzione. Non solo. Mentre tutti gli altri sintomi dell’infezione da Coronavirus diminuiscono a un anno dal contagio, aumentano invece depressione, ansia e insonnia.
I problemi vengono dopo Covid-19
Queste osservazioni vengono dal primo studio prospettico condotto in Italia e inducono gli scienziati a considerare un nuovo elemento sorprendente e preoccupante: a differenza degli altri sintomi che si sviluppano durante la fase acuta, quelli psichiatrici sembrano presentarsi dopo la malattia. E protrarsi a lungo. Tutto questo in uno dei momenti storici più difficili per la psichiatria italiana, alle prese con un ‘cedimento strutturale’ di molte delle articolazioni territoriali e ospedaliere della salute mentale, un calo dei dipartimenti di salute mentale (da 183 a 141), una drammatica fuga del personale medico (nel 2025 mancheranno mille psichiatri e novemila professionisti sanitari) e risorse a disposizione di un terzo rispetto a quelle degli altri principali paesi europei (3% invece del 10).
La ricerca appare sulla Rivista Spagnola di Psichiatria e Salute Mentale ed è stata condotta all’ospedale universitario di Udine. Il lavoro, dal titolo Mental health symptoms one year after acute COVID-19 infection: Prevalence and risk factors, è stato condotto nell’ospedale universitario di Udine, tra marzo e maggio 2020. L’obiettivo era di esaminare in tutti i pazienti (ricoverati e ambulatoriali) i sintomi di salute mentale associati al Covid-19, con le relative cause, in un periodo di dodici mesi dall’esordio della malattia. Il campione di riferimento è stato di 479 individui, con una leggera prevalenza di donne (52,6%).
Di questi, un anno dopo aver contratto l’infezione il 47,2% presentava ancora almeno un sintomo. “L’aspetto più nuovo e sorprendente di questi dati – spiega Matteo Balestrieri, professore di Psichiatria presso l’università di Udine e direttore della Clinica psichiatrica dell’azienda ospedaliero-universitaria della città e co-presidente nazionale della Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia – è che mentre la maggior parte dei sintomi (neurologici, respiratori, gastrointestinali e reumatologici) era diminuita rispetto all’esordio del Covid, quelli psichiatrici erano significativamente aumentati (+10%) così come la mancanza di concentrazione e attenzione (+20%).
Da notare anche come coloro che presentavano al follow-up sintomi di tipo neurologico, reumatologico e gastrointestinale, avevano maggiori probabilità di soffrire anche di sintomi di disturbi psichiatrici un anno dopo l’infezione. Inoltre, lo studio ha potuto riscontrare un rischio maggiore di presentare mancanza di concentrazione e di attenzione in chi lamentava sintomi psichiatrici al momento dell’esordio del Covid-19”.
Occorre organizzarsi per rispondere ai bisogni
Secondo Claudio Mencacci, direttore emerito di Psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano e co-presidente SINPF, lo studio è importante perché i sintomi psichiatrici più frequenti, cioè depressione, ansia e insonnia, i cosiddetti disturbi mentali comuni con una prevalenza globale stimata nell’arco della vita tra il 25,9% e il 32,6%, rappresentano una perdita di salute considerevole nell’arco della vita. In secondo luogo, un numero crescente di evidenze indica che i sopravvissuti al Covid-19 possono presentare disturbi cognitivi duraturi, probabilmente dovuti all’esperienza di una malattia più grave e a una fragilità cognitiva preesistente.
Infine, un numero sempre più alto di studi suggerisce che chi ha avuto l’infezione da Coronavirus sperimenta una scarsa qualità del sonno e un disagio psichiatrico sotto forma di sintomi somatici persistenti, con implicazioni per la salute pubblica in termini di peggioramento della qualità della vita”.
Questo studio dimostra anche che il bisogno di salute mentale è cresciuto ancor di più durante e dopo la pandemia e gli effetti a lungo termine sono ancora indefiniti. “A 44 anni dalla riforma psichiatrica stiamo osservando un progressivo cedimento strutturale di molte delle articolazioni territoriali e ospedaliere della salute mentale – spiegano Balestrieri e Mencacci –. Ci troviamo infatti di fronte a un calo dei dipartimenti da 183 a 141, una riduzione significativa dei posti letto nei reparti ospedalieri attorno al 10% (-400), una massiccia diminuzione del personale, un aumento di tutte le situazioni residenziali e di non restituzione alla vita normale. La conferenza Stato-Regioni ha fissato al 5% la quota destinata alla salute mentale del fondo sanitario nazionale che per il 2022 è di 122 miliardi di euro ma in realtà la media di stanziamento effettivo delle regioni è di circa il 3% ben lontano dall’obiettivo del 10% indicato in sede comunitaria per i Paesi ad alto reddito.
Gli utenti sono scesi in maniera inesorabile dagli 850.000 del 2017 a meno di 730.000 nel 2020 di cui un’ampia percentuale al di sopra dei 45 anni e questo non è un buon segno in quanto indicatore di una lenta perdita di appeal per le strutture pubbliche con un evidente danno a tutta la salute mentale. A tutto questo si aggiunge la fuga del personale medico e infermieristico da dipartimenti già sotto organico da anni, tanto che nel 2025 mancheranno altri 1000 psichiatri tra pensionamenti e dimissioni come emerge da uno studio recente di Anaao- Assomed e circa 9000 tra infermieri/psicologi/assistente Sociali/Terapisti”.