I quattro identikit di chi rischia l’insonnia (non solo da ora legale)

Un sintomo essenziale dell’insonnia è la compromissione del funzionamento diurno. Quattro identikit per capire se ne soffri

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Le lancette dell’orologio si spostano un’ora avanti. Si passa all’orario estivo, proprio nella notte di Pasqua. Tra sabato 30 e domenica 31 marzo 2024 tra le 2 e le 3 di notte occorre portare avanti l’orologio. Si dormirà un’ora di meno. E per qualcuno i mutamenti della luce e i nuovi ritmi possono comportare qualche difficoltà d’adattamento.

Sia chiaro: nella maggior parte dei casi in qualche giorno la cronobiologia dell’organismo si sistema. Ma per alcune persone, anche queste variazioni possono influire sulla difficoltà a prendere sonno e a mantenere il riposo.

Per questo è importante sapere quali sono le caratteristiche della propria insonnia e prendere le opportune contromisure. Ad aiutarci arriva una ricerca pubblicata su Psychosomatic Medicine, coordinata da Soomi Lee dell’Università statale della Pennsylvania. Lo studio identifica quattro “identikit” per scoprire meglio i problemi del sonno e il loro impatto sulla salute dell’organismo.

I modelli del sonno

La ricerca ha preso in esame un campione di quasi 3700 persone adulte, valutando sia le abitudini del sonno sia lo stato di salute a 10 anni di distanza dalla prima misurazione. Sono quindi stati identificati quattro diversi “tipi” di persone, in base proprio alle caratteristiche del sonno. i più fortunati sono i “buoni dormitori”, che non hanno mai avuto problemi, dormono il giusto per quantità e qualità.

Poi ci sono quelli che invece si possono definire “dormitori da weekend”: per loro normalmente si dorme poco, con un riposo irregolare, perché poi si recupera (o almeno si crede di farlo) nel fine settimana o comunque quando non si lavora. Poi ci sono le persone che soffrono di insonnia. E che quindi presentano problemi oggettivi come un sonno di breve durata, risvegli notturni frequenti, stanchezza diurna elevata e tempi lunghi per cadere tra le braccia di Morfeo.

Infine, ci sono quelli che pur riposando sostanzialmente bene la notte hanno bisogno di “richiami” riposanti sotto forma di sonnellini diurni.  Stando allo studio, più della metà delle persone coinvolte nell’analisi aveva problemi di vera e propria insonnia o comunque non aveva un sonno riposante. Per loro, forse più che per altri, anche la sindrome da ora legale può rappresentare uno “stress” maggiore in termini di abitudini di riposo. Con possibili ripercussioni per il benessere. Dallo studio americano emerge che soffrire di insonnia per dieci anni si associa ad un maggior rischio di cronicità a carico del cuore, del metabolismo e per la psiche.

Come nasce e si manifesta l’insonnia

Il salutare alternarsi di stati di veglia e sonno è regolato da sistemi distinti di segnalazione nel cervello. Si ritiene che la principale causa fisiopatologica dell’insonnia sia legata all’iperattivazione del sistema di segnalazione della veglia nel cervello, nota anche come “reazione di attacco o fuga” che interferisce con il naturale “spegnimento” necessario per dormire. Quando una persona si accinge a dormire si determina una vera e propria “gara” tra i centri della veglia, che tendono a mantenerla sveglia, e i centri del sonno, che stimolano l’addormentamento.

L’insonnia si instaura quando la persona non riesce a “spegnere” i centri della veglia e ad abbandonarsi a quelli del sonno. In particolare, nei pazienti affetti da insonnia è stata osservata una ridotta disattivazione delle regioni cerebrali coinvolte nel controllo esecutivo, nell’attenzione e nella consapevolezza di sé. Il sonno, non dimentichiamolo, è un evento fisiologico e un pilastro essenziale per una buona salute fisica e mentale e per la funzionalità ottimale durante tutto l’arco della giornata. Pertanto, senza un sonno adeguato e di qualità, si possono presentare molti problemi che incidono sulla vita quotidiana.

Un sintomo essenziale dell’insonnia è la compromissione del funzionamento diurno, che è correlata a manifestazioni che incidono sullo stato di salute, come affaticamento, ridotta energia, alterazione dell’umore e difficoltà cognitive.

L’insonnia può comunque assumere diverse forme:

  • difficoltà ad addormentarsi;
  • problemi a mantenere il sonno;
  • risveglio precoce;
  • una combinazione di questi fattori.

Perché la primavera è stagione a rischio

L’ora legale può essere considerata un “punto” nella vita di una persona. Ma una stagione no. I cambi nell’esposizione alla luce e la reazione del nostro corpo a questi stimoli tendono a farsi maggiormente presenti ed impattanti nelle stagioni di passaggio come appunto la primavera.

In questo periodo, con le giornate che si allungano, si rischia di “desincronizzare”  i ritmi del sonno ampiamente alterati in chi soffre d’insonnia, rendendo quasi impossibile un riposo normale. Tanto che proprio le difficoltà a prendere sonno alle ore giuste diventa uno dei fastidi più diffusi della “sindrome di primavera”, legata non solo all’ora legale, ma anche alle modificazioni dei flussi ormonali nell’organismo nel passaggio di stagione.

Per i casi più gravi, la scienza mette a disposizione la terapia della luce, capace di resettare l’orologio biologico. Questo approccio viene effettuato solamente in centri altamente specializzati, e va riservato solamente a casi selezionati. Per i tanti che soffrono di insonnia, per fortuna, sono tanti i rimedi possibili, a cominciare dalle buone abitudini. Innanzitutto è importante cercare di addormentarsi sempre alla stessa ora, rispettando la propria “porta del sonno”. L’organismo è infatti abituato a lasciarsi andare al sonno sempre alla stessa ora e, come accade per gli “slot” degli aerei, se si perde questo appuntamento quello successivo può giungere anche dopo diverse ore.

Le semplici regole per aiutare il riposo

Il periodo quindi non è certo semplice. Per questo, prendendo spunto proprio dai mutamenti minimi legati al cambio dell’ora e dell’esposizione alla luce, conviene prendere buone abitudini per dormire meglio. In primo luogo occorre far fronte allo stress che sicuramente impatta anche sul riposo, sia che si siano drammaticamente interrotti i consueti ritmi per l’organismo sia che ci si sia rinchiusi in un riposo pressoché assoluto. Entrambi gli estremi rappresentano condizioni psicologiche di rischio per la psiche, con potenziali impatti sul sonno.

Per riprendersi, meglio puntare su un’alimentazione sana e leggera, un sufficiente apporto di liquidi e sali minerali. Ma soprattutto bisogna mirare a recuperare gli orari “classici” per andare a letto con il conseguente godimento delle necessarie ore di riposo sono sicuramente gli strumenti più efficaci per non soffrire. Fissate la sveglia ed evitate, se possibile, di ritrovarvi a fare le ore piccole con regolarità. Il corpo vi ringrazierà. E se vi sentite troppo vivaci, sfogatevi con lo sforzo fisico. È il momento di iscrivervi in palestra o in piscina, senza però pensare di fare attività troppo “spinte” se non siete allenati. L’importante è muoversi, meglio se con sforzi aerobici, come lente nuotate, cyclette o tapis roulant.

Attenzione alla “sindrome del giorno dopo”

Vi sentite irritabili, avete improvvisi cali d’attenzione al lavoro e a scuola? Forse dormite troppo poco, o comunque male. Il riposo è una sorta di “ricupero” per il cervello, che per completarsi appieno deve però comprendere particolari cicli del sonno, ovvero le cosiddette onde “lente”, classiche del sonno profondo.

Se non si ottiene una sufficiente “ripresa” dei neuroni durante la notte, col tempo si accumula la “difficoltà” cerebrale che contribuisce a spiegare la comparsa dei problemi diurni. Come se non bastasse, sappiate che se non dormite a sufficienza anche le vostre capacità di ricordare potrebbero andare in difficoltà, perché la carenza di sonno incide anche sulla memoria.

Numerosi studi hanno evidenziato che il sonno facilita i processi di apprendimento e di consolidamento della memoria perché i ricordi sembrano fissarsi meglio proprio quando dormiamo. Anche una volta il sonno ad onde lente, quello che gli esperti chiamano non Rem (la sigla sta per Rapid Eye Movements e indica i movimenti oculari tipici di alcune fasi del sonno), i neuroni stimolati in veglia nel corso di un processo di apprendimento sembrano riattivarsi e rinforzare i loro collegamenti, favorendo i processi di memorizzazione.

In pratica, il sonno agirebbe come “rivitalizzante” dei neuroni, aiutandoli ad eliminare i collegamenti inutili che durante il giorno si creano tra le cellule nervose.

Per recuperare non contate sul weekend

Per chi si prepara a superare l’insonnia della settimana con dormite inenarrabili tra sabato e domenica, purtroppo pare che non ci siano grandi speranze di rimettere a posto del tutto la situazione. Almeno sul fronte della reazione del cuore e dell’agitazione che si crea per il cuore. Lo dice una ricerca condotta  dagli esperti dell’Università della Pennsylvania, apparsa su  Psychosomatic Medicine. Lo studio mostra chiaramente quanto il mancato riposo pesi sul cuore: la frequenza cardiaca e la pressione peggiorano nel corso della settimana quando il sonno è limitato a cinque ore a notte. e non basta l’overdose del weekend per recuperare e riportare i parametri alla normalità.

L’indagine ha preso in esame 15 uomini sani di età compresa tra 20 e 35 anni. Per le prime tre notti, ai partecipanti è stato permesso di dormire fino a 10 ore a notte per raggiungere un livello di sonno di base. Per le cinque notti successive, si è ripetuto lo schema classico dei giorni lavorativi: il sonno dei partecipanti è stato limitato a cinque ore a notte. Poi si è ricreato il tempo del fine-settimana, la fase di recupero. In questo tempo si è permesso ai partecipanti un ricco riposo fino a 10 ore. Ogni due ore, di giorno, sono stati misurati per tutto il periodo pressione e ritmo del battito cardiaco. I risultati fanno riflettere: la frequenza cardiaca è risultata in aumento di quasi un battito al minuto per ogni giornata che faceva seguito allo studio. Se all’inizio dell’osservazione in media stava intorno ai 69 battiti, è giunta a quasi 78 alla fine del secondo giorno di recupero. Capitolo pressione. La massima o sistolica è aumentata di circa 0,5 millimetri di mercurio al giorno