Misofonia, perché non sopportiamo i rumori e cosa accade nel cervello

Cosa succede nel nostro cervello quando sentiamo un rumore che ci infastidisce

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 22 Agosto 2022 12:17

Per qualcuno è un problema irrisolvibile. Basta che una persona a tavola mastichi con particolare intensità, o magari il vicino faccia scrocchiare le dita, o ancora il gesso corra sulla lavagna per far partire una vera e propria reazione di fastidio. In qualche caso addirittura si arriva a vere e proprie forme di disgusto, con il pensiero fisso di ritrovarsi lontani dalle fonti del rumore più o meno intenso.

Questa condizione, che interessa in forma più o meno seria davvero molte persone, si chiama misofonia. Sono i suoni percepiti come sgradevoli a creare il malessere. E bisogna fare davvero attenzione, considerando che sono davvero tante le persone che percepiscono una sensazione di disagio quando si trovano in queste situazioni. Ma come nasce il problema? E quali sono i meccanismi che possono determinarlo? A far luce su questo tema, con uno studio davvero interessante vista anche la specificità del quadro che si affronta, arriva ora una ricerca degli esperti dell’Università statale dell’Ohio, pubblicata su Frontiers in Neuroscience.

Cosa succede nel cervello

La ricerca ha preso in esame cosa accade nel cervello di chi sente le persone che fanno “scrocchiare” le dita, come elemento scatenante della misofonia. Questa osservazione ha significato considerando che diversi studi in precedenza si erano concentrati sulla reazione alla masticazione rumorosa, quasi alla ruminazione. Per questo incuriosiscono i risultati dell’indagine americana. Infatti ci sarebbero meccanismi diversi rispetto a quanto avviene per chi mastica rumorosamente in chi invece non sopporta il classico rumore delle dita.

La ricerca ha preso in esame una ventina di persone che sono state sottoposte a risonanza magnetica funzionale del cervello mentre eseguivano diversi compiti, oltre a dare un’autovalutazione della propria misofonia attraverso questionari che in qualche modo hanno permesso di verificare come solo pochi di loro avessero una lieve sensazione di fastidio di fronte a certi rumori.

Poi sono iniziati i test veri e propri. Ad esempio si è andati a vedere cosa accadeva nel cervello quando queste persone ripetevano alcune sillabe, visto che la produzione del linguaggio può riportare a quanto accade con la masticazione in termini di reazione in chi osserva, visto il coinvolgimento dei movimenti di bocca e viso. Poi i partecipanti hanno anche picchiettato ripetutamente le dita sulle gambe in una parte separata dell’esperimento per eseguire un altro movimento collegato alla misofonia.

Infine, si sono controllate le reazioni cerebrali in assenza di attività. L’indagine ha dimostrato che a riposo chi aveva problemi di misofonia presentava reti di connessione più intense tra la corteccia uditiva e un’area di controllo motorio, fatto già dimostrato da altre ricerche. Ma se si usava la bocca per produrre suoni, l’attivazione interessava una regione diversa del sistema nervoso, senza particolari differenze nelle connessioni cerebrali tra chi aveva specifici problemi e chi invece sopportava senza fatica i suoni. Insomma: a differenza di quanto si pensava, forse la zona nervosa deputata all’udito non è la protagonista principale delle reazioni di chi non sopporta certi rumori.

Nei partecipanti che hanno ottenuto punteggi più alti sulla misofonia, c’era una connessione più forte tra le regioni del cervello associate al movimento e alla sensazione delle dita e l’area dell’insula del cervello, che è collegata a forti emozioni, incluso il disgusto. Siamo solo all’inizio, ma la scienza che cerca di spiegare la reazione di fastidio e sofferenza a rumori diversi, non solo legati ai movimenti della bocca, procede per capire cosa davvero accade.