Diciamolo. Ritrovarsi con una memoria assoluta capace di impedirci di dimenticare qualsiasi ricordo, probabilmente è quasi una maledizione. Si rischia di finire come Paul Morphy, quello che gli esperti definivano il “Mozart degli scacchi”.
Vinceva, dopo aver imparato solo guardando gli altri. E in quella che ora è l’età della prova orale per i maturandi, si è messo in testa di ricordare gran parte del Codice Legale della Louisiana. Riuscendoci, dopo una rapida lettura. Peccato che poi, già da giovane, Morphy abbia dato segni di squilibrio. Perché la memoria assoluta, anche se aneddotica, può essere un problema. E dimenticare è importante. A patto che si ricordi quanto si desidera. Come? Ecco qualche consiglio.
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Per ricordare bisogna anche dimenticare
“Voler dimenticare” come diceva Luigi Tenco in una famosa canzone, può essere fondamentale per il benessere psicologico. E l’oblio non è sempre un male, quando ovviamente i cali mnemonici non rappresentano una costante e assumono le caratteristiche di difetto cognitivo.
Ma come riusciamo a dimenticare quello che non interessa? Ci sarebbero segnali legati all’ambiente e alle nostre condizioni emotive che, in qualche modo, caratterizzerebbero la nostra risposta allo stimolo mnemonico, facendo scegliere cosa mantenere nel ricordo e cosa no. Questi segnali ci porterebbero a “sbagliare” l’accesso alla ricerca delle informazioni, piuttosto che a farcele perdere, con ripercussioni positive per il benessere perché magari si tratta di cose di poca importanza.
A dirlo, rinforzando il “valore” positivo della dimenticanza è uno studio pubblicato su Nature Reviews Neuroscience, condotto da Tomás Ryan, del Trinity College Institute of Neuroscience di Dublino, e da Paul Frankland, dell’Università di Toronto.
La ricerca spiega che ci sarebbero gruppi di neuroni, chiamati “engram”, in cui si conservano questi ricordi attraverso sistemi complessi. Se questi meccanismi vengono riattivati arriva il ricordo. Quando queste cellule però non possono essere riaccese, i ricordi, pur essendo presenti, non vengono “recuperati”. E quindi si dimentica. L’oblio, quindi, sarebbe una risposta mancata che tuttavia non toglie il ricordo dalla cassaforte, ma fa in modo che questa non possa essere aperta.
Come facciamo a ricordare
Avete presente quando “incolliamo” un ricordo per pochi minuti al cervello, sapendo che lo perderemo dopo poco? Ecco, questo è un tipico caso di memoria a breve termine. Di cosa si tratta? Ci sono stimoli deboli o comunque non ritenuti significativi inducono una risposta mnemonica di breve durata, che può durare al massimo tre-quattro ore. Come mai? Nelle sinapsi (i punti di contatto di una cellula con le altre) della cellula nervosa interessata si liberano neurotrasmettitori, particolari sostanze capaci di amplificare il riflesso mnemonico. Per questo, ad esempio, ci possiamo ricordare un numero di telefono subito dopo averlo fatto, ma poi la dimentichiamo perché questa forma di ricordo si dipende in pochi minuti.
Diversi sono i passaggi necessari perché la memoria rimanga “fissata” nel cervello, invece, occorrono alcuni passaggi in più. Prima alle sinapsi arriva un “segnale” che fa aumentare i livelli della Protein-chinasi A, un particolare composto che ha la capacità di stimolare la produzione di proteine capaci di “aumentare” le dimensioni di questa giunzione anatomica delle cellule nervose. Poi gli stimoli mnemonici corrono lungo i neuroni per arrivare in una specie di “centralina” di smistamento dei ricordi a lungo termine.
Questa centralina è l’ippocampo, un piccolo organo, così chiamato perché assomiglia a un cavalluccio marino, è situato nella parte profonda del cervello ed è più piccolo in chi soffre di amnesia rispetto ai sani. Poi occorre “depositare” il ricordo, spesso nella zona del cervello che sta dietro la tempia, dove le informazioni vengono rielaborate, e quindi rese disponibili in caso di necessità. Così tutto funziona al meglio.
Come tenere in forma la memoria a tavola
Il cervello umano contiene almeno 100 miliardi di cellule nervose, i neuroni, anche se c’è chi pensa siano molte di più. Non conta però solamente il numero delle cellule, ma anche come sono collegate tra loro. Ogni neurone può essere collegato con altri 60.000 e arrivare ad incamerare un milione di dati con messaggi che viaggiano alla velocità di 470 chilometri l’ora.
A mantenere questi stretti contatti tra una cellula e moltissime altre simili sono gli oltre cento miliardi di “saldature” specializzate, che in termine tecnico vengono chiamate sinapsi. Se pensate alla complessità di una rete così fitta e ricca di interazioni, potete ben comprendere come e quanto sia importante che ci sia il necessario “nutrimento” perché tutto funzioni per il meglio. Insomma: la memoria va allenata e nutrita.
Per ricordare occorre che i segnali corrano rapidamente tra le sinapsi grazie ai neurotrasmettitori, come l’acetilcolina, la dopamina, la serotonina, la noradrenalina e il glutammato. In più l’attività dei neuroni della memoria è aiutata da alcune vitamine come la B1, la B6 e la B12. Quindi, tra i cibi, tenere a mente l’importanza di tuorlo d’uovo, noci, latte, (B1) pesci di mare cereali, banane, soia, prugne secche (B6) e carni, pesce e pollame (B12).
L’importanza della “ginnastica” e della musica
Per migliorare la memoria conta anche, e molto, l’allenamento. Insomma, bisogna “fare ginnastica”. Come? Anche attraverso sistemi di training cognitivo. Il principio è semplice: attraverso una serie di esercizi ripetuti le persone possono migliorare qualsiasi prestazione mentale, analogamente a quello che avviene per il sistema motorio grazie all’esercizio sportivo.
Un training cognitivo clinicamente validato non solo migliora le prestazioni cognitive in compiti specifici, ma determina un aumento della plasticità cerebrale, che è il basilare presupposto di una più ampia possibilità di riabilitazione delle funzioni intellettive. Ad aiutare chi comincia a fare cilecca, magari dimenticando dove ha messo le chiavi dell’auto e il numero di telefono che ogni giorno fa da anni, può esserci anche la musica, che più si attaglia ad ogni persona.
In alcuni grandi musicisti il giro angolare dell’emisfero destro (una particolare zona del sistema nervoso) risulta ipersviluppato rispetto al resto della popolazione. Lo stimolo musicale ripetuto e lo scorrere delle note hanno determinato una sorta di “allenamento” per i neuroni, che quindi si sono specializzati, fino a rendere più semplice il ricordo di un’armonia. Stessa funzione possono avere le lingue: chi diventa poliglotta tende a mantenere una maggior lucidità mentale.
Quattro consigli per mantenere in forma la memoria
In ultimo, ricordando che ovviamente ci sono situazioni che richiedono il controllo del medico, proviamo a vedere cosa può favorire una temporanea “smemoratezza”. Ecco quattro indicazioni per tenere in forma la capacità di ricordare.
- Occhio alle emozioni. Le condizioni psicologiche incidono sulla capacità di ricordare. Così può capitare che in periodi di intenso stress, o magari quando ansia e depressioni la fanno da padrone si verifichino dimenticanze, confusione, e difficoltà di concentrazione.
- Dormite il giusto. La scarsa qualità del riposo o il sonno insufficiente possono causare annebbiamento mentale e dimenticanze. Occhio in particolare se ci sono disturbi come l’apnea ostruttiva del sonno con carenza temporanea di ossigeno.
- Attenzione all’alcol. A volte non ci si pensa. Ma l’alcol può influire sulle capacità di ricordare e non solo quando si parla di alcolismo cronico con influenza negativa sulle capacità mentali. L’alcol può anche favorire la perdita di memoria interagendo con i farmaci.
- Tiroide e vitamine. La vitamina B12 contribuisce al benessere di neuroni e globuli rossi. Una carenza di vitamina B12, comune negli anziani, può causare problemi di memoria. Anche un calo della funzione della tiroide, l’ipotiroidismo, può avere influenza sulla memoria.