Leucemia fulminante, cos’è e come si manifesta

La leucemia fulminante è la forma più aggressiva di tumore del sangue. Chi ne è colpito può andare incontro a emorragie fatali

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Le leucemie, come ha recentemente ricordato il presidente di AIL (Associazione Italiana per la Lotta alle Leucemia, Linfomi e Mieloma) Sergio Amadori, sono un gruppo di malattie molto diverse tra loro. Oltre ad essere classificabili in acute o croniche, possono essere caratterizzate dal coinvolgimento di cellule diverse del sangue.

Per questo la scienza sta cercando le caratteristiche di ogni tipo di malattia, al fine di trovare soluzioni mirate per ogni singolo caso. Nelle Leucemie Mieloidi Acute, in particolare, sono stati fatti negli ultimi anni progressi eclatanti con l’identificazione di marcatori genetici e lo sviluppo di farmaci intelligenti e mirati.

Dopo trent’anni di deserto in cui era disponibile sola la chemioterapia, è arrivata negli ultimi cinque anni una pioggia di farmaci innovativi che stanno cambiando radicalmente il profilo terapeutico di queste patologie.

Quando si parla di leucemia “fulminante”

L’esempio classico di forma fulminante di leucemia, così definita per la rapidità con cui si sviluppa il quadro patologico, è la Leucemia Acuta Promielocitica (LAP). Si tratta della forma più aggressiva di tumore del sangue.

Chi è colpito da questa patologia è portatore di una particolare configurazione genetica che si acquisisce nel corso della vita, e quindi non è determinata in senso ereditario. Avviene infatti una traslocazione cromosomica. Cosa significa? In pratica si verifica una sorta di “scambio” di materiale genetico tra i cromosomi 15 e 17.

Sul fronte clinico, la patologia appare legata nelle sue prime manifestazioni più allo “sconquasso” che provoca nelle diverse popolazioni di cellule prodotte dal midollo osseo che da un qualcosa di specifico a carico dei globuli bianchi. Quello che si può vedere all’esordio, infatti, è legato soprattutto a emorragie potenzialmente gravi con un basso numero di piastrine (le unità che favoriscono la coagulazione) e alla contemporanea alterazione dei normali sistemi di controllo della coagulazione stessa.

Ci sono studi che dimostrano come almeno una persona su dieci, colpita da questa forma di leucemia, possa andare incontro ad emorragie fatali, come appunto l’emorragia cerebrale, già nelle prime fasi della patologia.

A volte proprio l’emorragia massiva è il primo segnale della patologia, che quindi può non essere nemmeno riconosciuta e quindi affrontata sul fronte delle cure. Per questo, si parla di forma “fulminante”: si tratta di un quadro estremamente complesso soprattutto nei primissimi giorni, mentre poi si può procedere con le cure.

Come se non bastasse, si verifica quasi subito una sorta di “tempesta” in cui entra in gioco anche la cosiddetta CID (Coagulazione Intravascolare Disseminata) che può condurre a danni potenzialmente molto gravi a diversi organi, come ad esempio i reni, peggiorando ulteriormente la situazione.

La leucemia fulminante è stata fatale per l’ex concorrente di Amici, Michele Merlo.

Come si affronta

Ovviamente quando il quadro si manifesta in forma così drammatica in poche ore le possibilità di trattamento sono legate soprattutto alla speranza di poter contrastare le emorragie, come quella cerebrale, che purtroppo sono gravissime. La malattia, insomma, è molto grave nei primissimi giorni d’insorgenza.

La situazione cambia quando questa forma aggressiva di leucemia “lascia tempo”. Dai primi sintomi, sotto forma di inspiegabili emorragie spontanee che magari portano a lividi ed ematomi in assenza di trauma o epistassi, cioè perdita di sangue dal naso (va detto che questi quadri sono molto comuni e si legano a tante altre condizioni patologiche), unita a sensazione di profonda stanchezza e malessere generale, il medico può indirizzare presso un centro specializzato in ematologia dove si può fare la diagnosi.

A quel punto, in termini generali le possibilità di sopravvivere e guarire con questa malattia, prima inferiori al 20%, oggi sfiorano il 95% grazie a una terapia mirata, non chemioterapica, a base di triossido di arsenico combinato all’acido all-trans-retinoico, un derivato della Vitamina A.