Non crediate che sia un problema solamente per i bambini. Questa malattia neurologica può presentarsi anche negli adulti o in età avanzata. In queste circostanze le crisi, se non si sono mai manifestate prima, possono far pensare alla presenza di una lesione oppure agli esiti di un trauma cranico. Insomma. l’epilessia, nelle sue diverse forme, è una patologia che va riconosciuta. E poi trattata, caso per caso. Più spesso con i farmaci. Ma si stanno trovando sempre nuove vie per il trattamento delle forme farmacoresistenti.
Indice
Perché nasce l’epilessia
Premessa. Non si conoscono ancora molti aspetti di questa malattia. Come abbiamo visto, nella stragrande maggioranza dei casi l’epilessia non ha una ragione ben definita, soprattutto nei bambini. A volte però possono essere presenti una lesione cerebrale oppure una predisposizione genetica in grado di spiegare la patologia.
Nel primo caso, le cellule nervose possono subire un danno per un trauma, oppure per una carenza di sangue prolungata legata ad un incidente. Un altro possibile esito che può residuare nell’epilessia nell’infanzia è invece un’infezione cerebrale chiamata encefalite, in grado di lasciare danni alle cellule nervose.
La predisposizione genetica invece può essere presente nelle forme di epilessia che si presentano nello stesso nucleo familiare. In questi casi può accadere che questa predisposizione venga slatentizzata da un episodio febbrile, che dà il la alla malattia. Va anche detto che le crisi epilettiche possono essere favorite da fattori che aumentano l’eccitabilità elettrica delle cellule nervose: ad esempio per l’azione degli alcolici, per una febbre molto alta, per carenze di sonno.
Cos’è una crisi epilettica
Occorre ricordare che per arrivare alla diagnosi di epilessia è necessario uno specialista. E non basta per giungere a questo una comune convulsione, quale può essere quella legata ad una febbre molto alta. Per parlare di epilessia, quindi, occorre che ci siano almeno due crisi distanziate nel tempo tra loro, con ricadute successive. La crisi epilettica è legata fondamentalmente ad un eccesso di attività elettrica di un determinato gruppo di cellule cerebrali.
Queste in pratica si “liberano” dal controllo generale e tendono a inviare stimoli elettrici alterati, che si ripercuotono sul corpo nella zona che viene normalmente “governata” da quei neuroni. La crisi può durare pochi secondi o alcuni minuti e poi termina autonomamente non appena la situazione elettrica cerebrale diventa di nuovo normale. Gli impulsi elettrici che assicurano il corretto passaggio del segnale tra le cellule cerebrali e in caso di crisi epilettica si alterano nascono soprattutto nell’encefalo. Questo è diviso in due parti, che i medici chiamano emisferi, e rappresenta la struttura operativa centrale del nostro sistema nervoso. Ad esso infatti arrivano tutte le informazioni (ad esempio gli stimoli dolorifici, quanto vediamo e sentiamo) e da esso partono gli ordini di risposta.
I due emisferi non lavorano autonomamente. Infatti sono collegati tra loro da un serie di “ponti” nervosi che permettono il costante passaggio delle comunicazioni da una zona all’altra. Gli emisferi sono a loro volta divisi in quattro porzioni, i lobi: davanti c’è il lobo frontale, lateralmente quello temporale e più in basso il parietale, dietro il lobo occipitale.
Ad ognuno di essi è più specificamente delegata una particolare funzione, per cui in base alla sede in cui si trovano le cellule che rilasciano le scariche elettriche anomale si possono avere sintomi diversi. A volte ci sono movimenti inconsulti di braccia e gambe, in altri casi si respira a fatica, in altri ancora si hanno difficoltà a parlare. In alcuni casi, infine, l’epilessia non è solamente caratterizzata da una sola tipologia di crisi, ma assume un quadro clinico tipico. Per cui esistono vere e proprie “sindromi” specifiche come l’epilessia del lobo temporale, l’epilessia rolandica, le epilessie miocloniche dell’infanzia e dell’età giovanile, l’epilessia con assenze, la sindrome di West e la sindrome di Lennox-Gastaut.
Cosa sono le crisi epilettiche parziali
Non sempre una crisi epilettica interessa tutto il cervello. In questo caso si tratta di crisi “parziali”, che riguarda solo una zona dell’encefalo e quindi va ad interessare solamente le funzioni del corpo che questa controlla o creare una sorta di “distacco” con l’ambiente circostante. Si tratta di forme localizzate, che possono però risultare estremamente preoccupanti per chi le osserva soprattutto quando si perdono funzioni fondamentali, come la vista o il movimento del braccio.
Le crisi possono essere anche prolungate, e mantenersi attive per dieci minuti o più. Quando è presente una temporanea perdita della coscienza chi è colpito dall’attacco, quasi sempre un bambino, può anche non avere segni particolarmente intensi. E accade spesso che si compiano automatismi manuali, come ad esempio mettere a posto i vestiti in maniera quasi meccanica, oppure automatismi motori, con piccole passeggiate o addirittura corse senza una meta apparente.
A volte, infine, la crisi è preceduta da una serie di “segnali d’allarme” come dolori di stomaco oppure visioni paurose che attanagliano il bambino. In questi casi si parla di crisi parziali precedute da aura. Alla fine dell’attacco il bambino può non ricordare nulla se c’è stata perdita di coscienza oppure avere “seguito” quanto è avvenuto e quindi essere in grado di spiegare le sue sensazioni.
Cosa sono le crisi epilettiche generalizzate
Queste crisi si verificano quando la scarica elettrica anomala, pur nascendo da un nucleo di cellule cerebrali, interessa tutto il cervello. Sono collegate con perdita della coscienza. Si possono manifestare in due forme: crisi di piccolo male e crisi di grande male.
– Crisi di piccolo male. Non compaiono quasi mai prima dei tre anni di vita. Sono caratterizzate dalla cosiddetta “assenza”. Si tratta di una sospensione immediata e persistente dello stato di coscienza e di quanto si sta facendo. Ad esempio se il bambino sta scrivendo, la penna cade per terra ma senza che il soggetto colpito dalla crisi cada anch’esso. Dopo pochi secondi l’attività riprende normalmente. Solo raramente la crisi di piccolo male induce la caduta di chi ne soffre. Accade solamente nelle forme di piccolo male mioclonico, che si manifesta con tremori diffusi, ed è tipico dei bambini più piccoli.
– Crisi di grande male. In questo caso sono tipiche la perdita di coscienza, i tremori diffusi, le alterazioni della respirazione e le accelerazioni del battito cardiaco. In genere queste crisi si mantengono per poco meno di un minuto e sono spesso e sono preannunciate da sintomi generali come mal di testa, perdita dell’equilibrio e leggere allucinazioni. Associate alle crisi di grande male possono essere presenti perdite di feci e di urina, di eliminazione di saliva dalle labbra. A volte, infine, la crisi si prolunga per diversi minuti con brevi periodi di sosta in cui non si verifica un ricupero della coscienza. In questi casi si parla di stato di grande male. Questa condizione può essere valutata direttamente dal neurologo quando è in atto, mentre è del tutto inutile il controllo medico al termine degli accessi.
Come comportarsi in caso di crisi
In qualche caso occorre chiamare immediatamente il medico, ad esempio se la crisi si prolunga oltre i cinque minuti oppure è seguita da un secondo attacco oppure ancora si il malato non riesce a respirare regolarmente dopo la crisi. Nelle altre circostanze, la crisi epilettica tende a passare da sola senza lasciare alcuno strascico. Questo non significa però che non sia possibile prendere qualche contromisura. Ecco i consigli pratici più importanti.
– Grande male
- Eliminare dall’abitazione oggetti pericolosi, come stoviglie a punta o superfici taglienti.
- Fare stendere il malto con un cuscino sotto il capo
- Non fermare il movimenti durante la crisi
- Non dare da bere finchè non è completamente ristabilita la coscienza.
- Eliminare occhiali, braccialetti o oggetti taglienti potenzialmente pericolosi.
- Alla fine della crisi, spostate il malato su un fianco per far defluire la bava dalla bocca.
– Crisi parziali
- Tranquillizzare la persona colpita.
- Rimanere vicino al bambino senza trattenerlo.
- Raccontare quanto avvenuto al termine della crisi.
Come si fa la diagnosi di epilessia
L’esame fondamentale per fare diagnosi di epilessia è l’elettroencefalogramma. Il test, del tutto indolore, registra la forza elettrica ed il numero di impulsi che si verificano in ogni secondo nelle diverse zone cerebrali, e quindi consente di identificare eventuali lesioni. L’indagine viene usata in caso di epilessia e può essere anche effettuato durante la notte, per valutare l’attività elettrica del cervello durante il sonno. Una volta diagnosticata con certezza la “sorgente” elettrica dell’epilessia si possono fare ulteriori analisi per valutare se esistono altri elementi in grado di spiegare il quadro e in particolare la presenza di lesioni cerebrali localizzate.
In questo senso può essere utile la diagnostica per immagini: la tomografia computerizzata (TC) permette di “fare a fette” ovviamente in termini visivi, il cervello. L’esame viene effettuato con una macchina a forma di tubo in cui vengono prodotti raggi X e da un rilevatore del loro passaggio attraverso il cranio. Durante l’indagine il tubo ruota intorno al cranio fornendo moltissime informazioni visive dei diversi strati del cervello e degli organi vicini. Le immagini vengono poi elaborate dal computer che calcola la densità radiologica di ogni punto e ricostruisce su uno schermo la “fotografia” dell’organo.
La risonanza magnetica non si basa sui raggi X, bensì sullo stimolo magnetico cui vengono sottoposte, nel corso dell’esame, le cellule. Il malato viene posto in un tubo all’interno di un campo magnetico “conosciuto”, perché generato da una macchina appositamente tarata. Ogni cellula cerebrale, che si può considerare come un microscopico campo magnetico autonomo, si mette quindi in posizione di equilibrio con questo stimolo esterno.
A questo punto viene fatta passare un’onda elettromagnetica che altera l’equilibrio ottenuto. Il sistema infatti assorbe energia e l’orientamento delle cellule cambia. Quindi alcuni nuclei cellulari si dispongono parallelamente ad altri fino a tornare allo stato di riposo. In questo periodo il cervello, che in pratica rappresenta il sistema, tende a rilasciare la quantità accumulata sotto forma di radiofrequenza. La macchina capta i segnali con una speciale antenna e le trasforma in immagini attraverso un computer e quindi ottiene “fettine” del cervello estremamente sottili e precise.
Esiste un rapporto tra epilessia e videogiochi
Lo stimolo visivo ripetuto può anche favorire l’insorgenza di crisi epilettiche, o di attacchi che comunque ricordano la malattia. Il motivo è semplice. Quando ci si pone davanti allo schermo di un computer infatti vengono sollecitati i centri nervosi che recepiscono i segnali in arrivo dalla retina, vera e propria chiave di passaggio di queste sensazioni. In essa infatti sono contenute le cellule nervose che hanno il compito di decodificare gli stimoli luminosi e trasformarli in segnali riconoscibili dal cervello.
Dalla retina poi gli stimoli, percorrendo le vie ottiche, arrivano alla zona del cervello deputata a raccoglierli. Questo avviene normalmente in un tempo impercettibile quando guardiamo qualcosa. Tuttavia, nel caso dello schermo del computer, l’alternanza di segnali luminosi più cupi con sprazzi di luce molto intensa e colorata può anche determinare una sorta di “sovraccarico”, ma soprattutto di iperstimolazione dei centri nervosi deputati a riceverli. E quindi anche, in persone particolarmente sensibili (sull’importanza dell’ipersensibilità soggettiva agli stimoli tutti i ricercatori sono d’accordo), a veri e propri “sconvolgimenti” elettrici dei neuroni che stanno lavorando. Con il risultato che si creano appunto crisi di tipo epilettico.
Il problema interessa soprattutto i bambini e più in generale i giovanissimi, che hanno il cervello più facilmente “impressionabile” da queste sequenze. Per questi motivi, specie nei più piccoli, si consiglia di non rimanere a lungo davanti allo schermo, dando il tempo al sistema visivo di “riposare”. Ma soprattutto, secondo gli esperti, occorre anche fare attenzione al tipo di “luci” che si alternano sul video. Infatti quanto più queste sono improvvise e variabili, tanto maggiore può essere il rischio che nelle persone predisposte a risentire di questo stimolo improvviso e ripetuto si possano originare alterazioni a carico di un gruppo di cellule nervose.
Le cellule nervose infatti lavorano anche in base ad una particolare situazione elettrica, che dà loro la possibilità di reagire normalmente. Lo stimolo luminoso molto intenso e ripetuto può alterare questo meccanismo, modificando anche il normale funzionamento della membrana cellulare, e quindi portare ad un’alterazione del funzionamento cellulare. Che, quando un nucleo di neuroni va in tilt, può condurre appunto a crisi epilettiche più o meno intense.
Quali attenzione avere a scuola per il bimbo con epilessia
Nel maggior numero dei casi l’epilessia si manifesta entro i 12 anni. In Italia si registrano circa 500-600 mila casi. Occorrono una corretta e precoce diagnosi ed una terapia adeguata la patologia per porre le condizioni in grado di controllare la malattia farmacologicamente. In alcuni casi, del resto, occorre invece trovare altre vie terapeutiche.
Ma c’è un aspetto da non dimenticare: è la conoscenza che aiuta a superare lo stigma e i tanti falsi miti sull’epilessia. Lo ricordano gli esperti della LICE (Lega Italiana contro l’Epilessia), offrendo importanti indicazioni sul comportamento da tenere con il bimbo a scuola. L’insegnante gioca un ruolo fondamentale, se consideriamo il valore dell’inserimento, del sostegno e dei trattamenti educativi personalizzati. E ancor di più, quando si tratta di bambini e adolescenti con epilessia, la formazione degli insegnanti diventa imprescindibile per sapere come comportarsi di fronte ad una crisi.
“Il bambino e l’adolescente con Epilessia – evidenzia Laura Tassi, Presidente LICE e neurologo presso la Chirurgia dell’Epilessia e del Parkinson del Niguarda, Milano – hanno spesso difficoltà di inserimento nell’ambito scolastico, talvolta per un eccesso di protezione da parte dei genitori, talvolta per una scarsa preparazione degli insegnanti sulle problematiche legate alla patologia. È molto importante, quindi, che i docenti e gli operatori scolastici siano adeguatamente formati per agire in modo efficace in caso di un’eventuale crisi e siano in grado, d’accordo con la famiglia e l’epilettologo curante, di assicurare la somministrazione dei farmaci, sia di routine che per il trattamento d’urgenza di crisi convulsive prolungate, secondo le raccomandazioni previste dalle linee guida nazionali e regionali”.
Cosa fare in caso di crisi epilettiche a scuola
La LICE propone una serie di consigli da tenere presenti. Occorre ricordare che il 90% delle crisi dura meno di 2 minuti. In alcuni casi possono durare di più ma solo molto raramente è necessaria un’assistenza medica urgente e il ricovero in ospedale. Chiamare un’ambulanza non è quasi mai necessario, mentre la priorità per chi assiste ad un episodio convulsivo è quella di non commettere errori nei soccorsi. La maggior parte degli episodi non necessita di manovre particolari, ma solo della vicinanza al bambino durante l’episodio critico e subito dopo, in attesa che si riprenda.
La classe va tranquillizzata ed invitata a prendersi cura del compagno insieme all’insegnante. Nei casi invece in cui le crisi comportino una caduta a terra, rigidità, scosse agli arti e forte salivazione, introdurre, per esempio, le mani o un oggetto nella bocca non è manovra consigliabile né tantomeno utile, pericolosa sia per chi la pratica che chi la subisce. È un falso mito, infatti, che vi sia necessità di afferrare la lingua ed estrarla dalla bocca, pena la sua discesa verso le cavità aeree rendendo così impossibile il respiro.
È anche errato trattenere o cercare di immobilizzare il bambino, pensando di arrestare o di rendere la crisi meno forte. È invece consigliabile mettere qualcosa di morbido sotto il capo per evitare eventuali contusioni, togliere gli occhiali, slacciare vestiti stretti e girare il paziente su un fianco appena possibile per facilitare la respirazione e la fuoriuscita della saliva. Bisogna poi attendere che la crisi si concluda e offrire sostegno ed aiuto.
“L’accettazione dell’epilessia, in particolare durante l’adolescenza – interviene Oriano Mecarelli, Past President LICE – è una questione complessa, proprio perché è un periodo della vita molto delicato anche per altri aspetti. Il ragazzo spesso “non si piace” e le crisi epilettiche sono viste quindi come un’ulteriore incrinatura che rischia di aggravare una preesistente visione pessimistica del proprio futuro. È questa un’età di transizione in cui il sostegno psicologico può rappresentare un aiuto efficace”.
10 regole per aiutare un bambino o un ragazzo con epilessia
Cosa bisogna saper fare se ci si trova di fronte ad una crisi di uno studente o un compagno e cosa invece non è indicato, o addirittura pericoloso?
Ecco le 10 raccomandazioni della Lega Italiana Contro l’Epilessia:
- Restare calmi: agitazione e panico sono da evitare
- Posizionare sotto la testa qualcosa di morbido
- Allentare gli indumenti se troppo stretti e togliere gli occhiali se presenti
- Non mettere mai oggetti o le mani in bocca e non cercare di estrarre la lingua
- Non cercare di tenere fermo il bambino durante la crisi
- Girare il bambino di lato per facilitare la respirazione e la fuoriuscita della saliva
- Non lasciare il bambino da solo e attendere che si riprenda
- Offrire sostegno e aiuto appena la crisi è conclusa
- Somministrare se consigliato il farmaco di emergenza
- Se la crisi dura più di cinque minuti chiamare l’autombulanza
Epilessia, cosa fare se è resistente i farmaci
Circa una persona su tre, tra quanti fanno i conti con l’epilessia, sia trova ad affrontare una forma di patologia resistente ai farmaci. Si parla di farmaco-resistenza quando il quadro si manifesta con la persistenza di crisi quando almeno due farmaci anti-crisi appropriati e ben tollerati sono stati sperimentati.
La scienza e la ricerca stanno trovando contromisure specifiche per queste situazioni, da adottare caso per caso, in base alle indicazioni dello specialista curante e alle condizioni del malato. Si va dall’intervento chirurgico che nella maggior parte dei casi è risolutivo sino alla sperimentazione di farmaci innovativi e alle terapie come tecniche di neuromodulazione e dieta chetogenica.
Quando si parla di epilessia farmaco-resistente
“Per farmacoresistente – spiega Laura Tassi, Presidente LICE (Elga Italiana Contro l’Epilessia e neurologo presso la Chirurgia dell’Epilessia e del Parkinson del Niguarda di Milano – intendiamo una persona con epilessia che continua ad avere crisi pur avendo provato almeno due farmaci specifici per il suo tipo di epilessia, ben tollerati, somministrati alla massima dose possibile e per un adeguato periodo di tempo, in monoterapia o in associazione con altri farmaci. Tale condizione non è definitiva né irreversibile. In alcuni casi, infatti, può essere avviato un iter per valutare la fattibilità e l’indicazione ad un intervento chirurgico o, laddove questo non fosse possibile, esistono terapie alternative che includono la Stimolazione Vagale, la Deep Brain Stimulation o la dieta chetogenica”.
A volte si può riscontrare una farmacoresistenza falsa o pseudo-farmacoresistenza. “Casi come questi – precisa Oriano Mecarelli, Past President della LICE – sono dovuti ad un’errata diagnosi di epilessia, a una scelta inadeguata del farmaco e/o delle sue dosi, a una diagnosi non corretta dal punto di vista sindromico, o ad una scarsa regolarità nell’assunzione della terapia da parte del soggetto. Se non chiarita, questa condizione può protrarsi inopportunamente nel tempo e rendere difficoltosa la gestione della malattia, con accentuazione dei suoi risvolti psicosociali negativi.
È pertanto consigliabile che le persone con epilessia, il cui trattamento risulti difficoltoso, vengano valutate presso centri specializzati. Oggi abbiamo la possibilità di ricorrere anche a nuove e innovative terapie con farmaci che possono “riaccendere” la speranza, o comunque ridurre la frequenza e l’entità delle crisi”.
Cosa prevede l’intervento chirurgico per epilessia
Si stima che almeno il 15-20% dei soggetti farmacoresistenti possa trovare beneficio grazie ad un intervento neurochirurgico specificamente mirato e circa il 70% dei pazienti operati ottiene un ottimo risultato in termini di risoluzione delle crisi e, quindi, di qualità di vita La terapia chirurgica delle epilessie consiste nella rimozione, quando è possibile senza indurre deficit neurologici, della regione cerebrale responsabile delle crisi, definita zona Epilettogena. I dati ottenuti dalle indagini neurofisiologiche di routine (EEG e Video-EEG), dallo studio del tipo di crisi (caratteristiche cliniche) e dalle Neuroimmagini (RM), consentono di identificare con precisione la zona Epilettogena.
Tra i soggetti candidati all’intervento neurochirurgico, meno del 40% necessita di indagini più sofisticate come l’impianto di elettrodi all’interno del cervello per registrare le crisi, procedura denominata Stereo‑EEG. I grandi progressi medici e strumentali consentono ormai di identificare la causa delle crisi in quasi il 90% dei soggetti candidati ad un intervento; in oltre il 50% dei casi si tratta di una malformazione della corteccia. Le procedure chirurgiche presentano rischi molto bassi (intorno all’1%).
Circa il 70% dei pazienti operati ottiene un ottimo risultato con l’intervento: l’assenza di crisi consente di valutare in un secondo tempo di ridurre e sospendere la terapia farmacologica. “La libertà dalle crisi – interviene Carlo Andrea Galimberti, Vice Presidente LICE e Responsabile del Centro per lo Studio e la Cura dell’Epilessia, IRCCS Fondazione Mondino, Pavia – è probabilmente il fattore più influente sulla Qualità della Vita di una persona con epilessia: essa consente in molti casi di recuperare l’autonomia personale, l’idoneità alla guida di veicoli a motore a un anno dall’intervento, e la possibilità di lavorare o, nei casi pediatrici, di frequentare la scuola, senza gli effetti cognitivi negativi dovuti alle crisi e, talvolta, alla terapia farmacologica”.
Si calcola che in Italia almeno 7000-8000 pazienti potrebbero essere operati ogni anno per rimuovere la zona cerebrale responsabile delle crisi epilettiche focali. Tuttavia, a fronte di migliaia di soggetti candidati alla terapia chirurgica dell’Epilessia, ogni anno sono effettuati in tutta Italia non più di 300 interventi neurochirurgici specifici. Un ampliamento e potenziamento dei Centri per la Chirurgia dell’Epilessia potrebbe ridurre i tempi di attesa per poter accedere alla terapia chirurgica.
Cosa si fa se l’intervento non è possibile
Per chi presenta una forma di epilessia farmacoresistente e non può essere operato perché le crisi trovano origine da più zone del cervello o perché l’intervento potrebbe causare danni neurologici rilevanti e permanenti, è possibile ricorrere a terapie palliative che possono ridurre frequenza e intensità delle crisi e magari alleggerire la terapia con farmaci, come la Stimolazione Vagale, la Deep Brain Stimulation (DBS), e la dieta chetogenica.
Cos’è e come funziona la stimolazione vagale
La stimolazione vagale consiste nell’invio al nervo vago di stimoli elettrici, tramite un generatore di impulsi posizionato sottocute a livello della clavicola, attraverso un elettrodo applicato chirurgicamente; tale stimolazione (Stimolazione del Nervo vago SNV) può ridurre la frequenza delle crisi e garantire un miglioramento della qualità di vita. Esistono anche altre tecniche di neurostimolazione e Deep Brain Stimulation (DBS). Infatti negli ultimi anni sono state messe a punto alcune metodiche che consentono la possibilità di stimolare direttamente, tramite elettrodi impiantati in regioni cerebrali diverse, alcune aree corticali o sottocorticali in grado di modulare e modificare l’attività epilettica. Tali tecniche, eseguibili solo presso Centri altamente specializzati, sono ad oggi riservate a soggetti farmacoresistenti selezionati.
A cosa punta la dieta chetogenica
La dieta chetogenica ha dimostrato di migliorare il controllo delle crisi nelle persone con epilessia e viene anche usata per trattare alcune patologie metaboliche quali i quadri di GLUT1 (deficit di proteina di trasporto del glucosio) e PDH (carenza di piruvato deidrogenasi).
Variano, in realtà, le formulazioni dietetiche che possono essere utilizzate: dieta chetogenica classica, dieta a base di trigliceridi a catena media e dieta Atkins modificata. La dieta chetogenica classica si basa su un regime nutrizionale contenente un’elevata percentuale di grassi e una ridotta quota di proteine e carboidrati. Essa si propone di indurre uno stato di chetosi cronica che simula sul piano metabolico gli effetti del digiuno. Con questa dieta si obbliga l’organismo a utilizzare i grassi invece del glucosio come fonte di energia, mantenendo deliberatamente elevato lo sviluppo di corpi chetonici. Questo regime alimentare va seguito sotto la supervisione di un epilettologo e un dietista.
Fonti bibliografiche22
Epilessia farmacoresistente, diverse soluzioni possibili, LICE