Gli esperti li chiamano neoplasie mieloproliferative. Sono forme tumorali del sangue che nascono direttamente nel midollo osseo. Una di queste forme è la mielofibrosi.
Un’indagine condotta nell’ambito del progetto Mielo-Spieghi su chi affronta questo tipo di malattie e chi assiste il malato mostra che nella metà dei casi è difficile accettare una diagnosi che spesso crea timore per le possibili evoluzioni del quadro, ma segnala anche come in almeno una persona su due esista la consapevolezza di dover essere ogni giorno forti e determinati per riprendere in mano la propria vita. L’importante, in ogni modo, è conoscere di cosa si tratta anche per mettersi in guardia e giungere prima possibile alla diagnosi.
Così una donna sfida la malattia
“Le neoplasie mieloproliferative sono tumori rari che colpiscono il midollo osseo; possono avere un andamento lento, ma progressivo – spiega Francesco Passamonti, Ordinario di Ematologia all’Università dell’Insubria di Varese e Direttore Ematologia di Varese. I sintomi possono essere anche importanti, ma alcune innovazioni terapeutiche, come i farmaci inibitori di Jak2, hanno migliorato il decorso di queste malattie: ora i pazienti possono costruirsi una nuova quotidianità e darsi piccoli, grandi obiettivi di vita”.
Nell’ambito dell’iniziativa viene proposta l’esperienza di una donna che a due anni dal trapianto di midollo si appresta ad affrontare la sfida dell’ascesa sul Monte Bianco. Si chiama Francesca Masi, è una paziente con mielofibrosi, psicologa toscana e appassionata di trekking.
“Sono un’amante della montagna, da quando avevo 25 anni trascorro le mie vacanze facendo trekking. Uno dei miei desideri più grandi era riuscire a scalare il Monte Bianco. A 40 anni ho scoperto di avere la mielofibrosi– e affrontarla non è stato facile. Tanti malati – come me – scalano montagne di difficoltà per superare le malattie. Ora sto bene e a luglio proverò a scalarne una reale, per sigillare questo momento e celebrare la voglia di vivere la vita”.
La mielofibrosi in particolare fa parte delle cosiddette neoplasie mieloproliferative, i tumori rari che colpiscono il midollo osseo, insieme a leucemia mieloide cronica, policitemia vera. Si tratta di sono malattie croniche indolenti; le diagnosi difficili spesso avvengono fortuitamente, e i trattamenti iniziano così con anni di ritardo e dunque rischi per i pazienti.
Oggi la conoscenza delle basi genetiche di queste condizioni ha reso possibile lo sviluppo di molecole in grado di inibire in modo mirato l’azione dei geni responsabili della malattia, aprendo la strada a un nuovo approccio di trattamento fondato sulla diagnostica molecolare. Questi pazienti hanno delle possibilità in più di controllare la malattia anche a lungo termine.
In Italia sono circa 2.000 le persone con una diagnosi di forma franca di mielofibrosi, caratterizzata da sintomi generici come stanchezza ingiustificata, perdita di peso senza un motivo chiaro e sintomi addominali dovuti all’aumento del volume della milza (splenomegalia).
Cure su misura
Un corretto approccio terapeutico e l’alleanza medico-paziente giocano un ruolo fondamentale nell’attivazione del paziente: solo così le persone possono sentirsi coinvolte nel proprio percorso di cura e rimanere attive nella gestione della propria malattia. Proprio per aiutare i pazienti a capire il proprio livello di attivazione nei confronti della patologia è disponibile MPN Tracker, un nuovo e intuitivo strumento online che permette il monitoraggio dei sintomi così da avere un quadro generale chiaro della malattia da condividere con il proprio ematologo di riferimento.
“Le innovazioni terapeutiche hanno cambiato la storia delle malattie mieloproliferative croniche ed è ora possibile conviverci attivamente, come testimonia la sfida di Francesca Masi. Si tratta di malattie poco conosciute. In questo senso – dice Alessandro Maria Vannucchi, Professore Ordinario di Ematologia all’Università di Firenze e Direttore della SOD Ematologia AOU Careggi – il dialogo medico-paziente diventa centrale nel percorso di cura: è fondamentale affrontare con i nostri pazienti anche temi legati alla quotidianità, perché oggi la convivenza con queste malattie è possibile”.