Carcinoma duttale della mammella, cos’è e come si affronta

Il carcinoma duttale, che avrebbe colpito Elle Macpherson, è la forma più frequente di tumore al seno. Quanto è aggressivo e come si cura

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Il carcinoma duttale  è il tumore più frequente alla mammella nelle donne. E può colpire anche le giovani. Grazie ai progressi della scienza, tuttavia, si può arrivare sempre più presto alla diagnosi e soprattutto si possono studiare trattamenti su misura caso per caso, in base alla localizzazione e alla diffusione della malattia, partendo dalle caratteristiche invisibili delle cellule neoplastiche.

La vicenda di Elle Macpherson, in qualche modo, è quella di tante, tantissime donne. Ma cosa significa carcinoma duttale? Sostanzialmente la definizione, come riporta il sito dell’AIRC, indica il punto di partenza della lesione. Quindi si tratta di un elemento “topografico”. Per il resto, a quanto si sa, il resto della definizione parla di sensibilità ai recettori per gli estrogeni e di positività per HER-2. Questo significa avere target precisi per i trattamenti mirati.

Cosa vuol dire carcinoma duttale

Per comprendere di cosa si tratta, bisogna ricordare l’anatomia interna della ghiandola mammaria. E non parliamo ovviamente solo della sua struttura esterna, con la cute, l’areola ed il capezzolo. Sostanzialmente, l’organo è costituito da ghiandole e tessuto adiposo. Quando si è giovani, la parte ghiandolare è preponderante, poi progressivamente tende a lasciare spazio al tessuto adiposo.

Anatomicamente, invece, la mammella può essere considerata come percorsa da piccoli “ruscelli” entro cui scorre il latte. Si chiamano dotti galattofori e prendono origine internamente all’organo dai cosiddetti lobuli mammari. Questi a loro volta, fanno parte dei lobi, ovvero di aree più grandi dell’organo. I dotti, scendendo, arrivano a diramarsi e poi giungere fino al capezzolo.

Questa semplice divisione anatomica (ovviamente la realtà è ben più complessa) aiuta a capire anche quanto sia importante la definizione del “punto di partenza” delle cellule neoplastiche che determinano un carcinoma. Come pare essere nel caso della modella, il tumore sarebbe nato a partire dalle cellule dei dotti galattofori.

Si tratta in questo caso della forma più frequente di tumore, almeno sotto l’aspetto topografico. Sempre secondo quanto riporta AIRC tra il 70 e l’80% dei casi di neoplasia originerebbe in queste sedi. Esistono però altre forme tumorali. Va detto anche che il trattamento standard delle forme iniziali e precoci prevede la rimozione chirurgica mininvasiva della lesione, ovvero l’intervento di lumpectomia. Dopo questo, si può puntare sulla radioterapia per limitare i rischi che la lesione si ripresenti a livello locale.

Nel 10-15% dei casi il carcinoma lobulare parte invece dal lobulo. Anche in questo caso può andare oltre la parete del lobulo stesso e soprattutto può manifestarsi anche nelle stesso tempo nei due organi mammari, o comunque comparire in più punti di una mammella.  Esistono poi altre forme di tumore mammario, meno frequenti.

Cosa significa ormono-sensibile ed HER-2 positivo

Dal punto di vista molecolare, il carcinoma mammario può essere classificato in base ad alcuni recettori ormonali (HR, cioè presenza di recettori ormonali e HER2) presenti sulle cellule tumorali e da mutazioni genetiche che influenzano la crescita e l’evoluzione del tumore. Per questo oggi anche se la diagnosi è la stessa ci sono tante diverse categorie che differenziano una lesione dall’altra. E non è per caso che si parla di patologie – e quindi cure – specifiche per ogni donna.

Oggi lo specialista è in grado infatti di capire, in base alle caratteristiche delle cellule tumorali e alle mutazioni che subiscono, come affrontare la patologia e predisporre la terapia “su misura” per ogni singolo caso.

In prima battuta, grazie alla biopsia sul tessuto prelevato dal chirurgo e analizzato dall’esperto, si può scoprire innanzitutto se ci sono recettori specifici che possono “guidare” la terapia. Si tratta di “segnalatori” che si trovano sulle cellule e ricevono “indicazioni da sostanze che circolano nel sangue, come ad esempio gli ormoni. La cellula neoplastica può quindi risentire di questi stimoli.

La forma più comune è il tumore della mammella positivo ai recettori ormonali: se questi sono presenti, l’unità maligna ha stimoli che le consentono di replicarsi e riprodursi meglio. La presenza di questi recettori viene solitamente considerata in base alla loro quantità: se il loro numero è più elevato, infatti, l’azione sullo sviluppo cellulare è maggiore. In genere in circa due casi su tre di tumore la patologia si presenta con queste caratteristiche, sia pure se con “quantità” diverse.

Diversa è la situazione in caso di positività ad HER-2.  Il tumore in questo caso è caratterizzato dalla produzione in eccesso di un gene che viene “espresso” in quantità eccessive: questo si comporta come un recettore ed è presente sulla membrana esterna delle cellule patologiche. In questo senso la positività all’ HER-2 (HER2+) diventa una caratteristica del tumore. Ovviamente la presenza dei recettori non è sempre così specifica per cui è possibile avere anche una doppia sensibilità.

Esiste infine una terza possibilità, ovvero l’assenza totale di recettori. Questa situazione si verifica nel tumore triplo-negativo: in questo caso le cellule tumorali sono negative sia ai recettori ormonali che all’HER-2. Mediamente circa il 15 per cento delle lesioni presenta queste caratteristiche.