Come un puzzle. Ci sono tanti tasselli, che si compongono tra loro fino a svelare il disegno completo. Ma il mosaico delle conoscenze sul decadimento cognitivo e sulla malattia di Alzheimer cela ancora alcune tessere che la ricerca deve rivelare. Si sta facendo molto, però.
A ribadirlo sono gli esperti della Società Italiana di Neurologia (Sin) in occasione della Settimana Mondiale del Cervello, in programma dal 14 al 20 marzo. L’iniziativa di sensibilizzazione è dedicata quest’anno alle “stagioni del cervello”. Per quanto le patologie neurologiche siano solitamente associate all’aumentare dell’età, almeno per quanto riguarda le forme degenerative, oggi si scopre che possono manifestarsi nelle varie età del cervello. Quindi la prevenzione è fondamentale, fin da giovani.
Non solo anziani
“Il deterioramento cognitivo e le demenze sono fenomeni patologici che certamente hanno un correlato di associazione importante con l’aging, ma non sono causati dall’aging – conferma Amalia Cecilia Bruni, Presidente della SINdem (Società Italiana di Neurologia per le Demenze). Esistono infatti, pur se molto rare, forme di demenza giovanili (Young Onset Dementia o YOD), la cui prevalenza cresce con l’età: tra i 30 e i 34 anni siamo a 6 soggetti su 100.000, tra i 34 e i 64 si sale a 119 su 100.000 per arrivare a 853 su 100.000 tra i 60 e i 64 anni”.
Ovviamente, queste forme possono manifestarsi diversamente rispetto alle classiche patologie della terza età. “I quadri clinici in queste forme sono prevalentemente atipici, spesso con disturbi psichiatrici col conseguente rischio di essere spesso misdiagnosticate – conferma l’esperta.
Una quota non irrilevante ha un’importante componente metabolica come per esempio la malattia di Niemann Pick di tipo C, una forma tipicamente infantile che però presenta anche forme Late Onset (a tarda comparsa) che ricadono nelle YOD. Diversa è la situazione nelle demenze ad esordio tardivo, dopo i 65 anni, pur se l’allungamento della vita ha permesso di comprendere che anche in questo gruppo esiste una forte eterogeneità e che esistono forme negli oldest-old (>80 anni) particolari, identificate solo da studi neuropatologici. La malattia di Alzheimer è certamente la forma di demenza più prevalente, ma individuare le cure, nonostante i progressi degli ultimi tempi, è estremamente difficile.
“Questo insuccesso deriva dal fatto che la scienza è divisa sull’interpretazione del valore patogenetico della cascata della beta amiloide come causa univoca della malattia di Alzheimer – riprende l’esperta, snocciolando i punti da chiarire. La malattia di Alzheimer inizia come processo biologico nel cervello anche venti e più anni prima dell’esordio dei primi sintomi. Questo è ormai noto dagli studi condotti proprio su soggetti pre-sintomatici carrier (cioè portatori) di mutazioni genetiche.
Ne deriva che instaurare una terapia all’esordio è già una misura tardiva poiché l’esordio dei sintomi non corrisponde al vero inizio della malattia ed è da considerare piuttosto come il momento in cui il cervello non riesce più a compensare la malattia, un po’ come il vaso che trabocca quando ormai si è riempito da tempo. Inoltre non siamo affatto certi che il quadro che si manifesta nella Malattia di Alzheimer genetica sia lo stesso che si vede nella malattia di Alzheimer “sporadica”.
Non esiste quindi LA malattia di Alzheimer ma LE malattie di Alzheimer (diverse per localizzazioni e tipo di proteine aggregate)”. Insomma: resta ancora incerto quale sia la vera causa di innesco della malattia ed occorre fare ancora molta ricerca sulla patogenesi e sulle cure. Recentemente sono stati presentati nuovi farmaci biologici e anticorpi in grado di legarsi alle sostanze accumulate nel cervello a causa dell’alterazione del metabolismo della beta amiloide e di eliminarle. I risultati però sono stati finora insoddisfacenti.
Attenzione alla prevenzione
Anche se non ci riflettiamo, le buone abitudini sono fondamentali per preservare il sistema nervoso. Il cervello è una struttura plastica in continua evoluzione e modulazione durante tutto l’arco della vita ed è dunque sensibile ad interventi che anche dall’esterno si possono riflettere sulla genetica, sul metabolismo e sulle connessioni neurali.
“La prevenzione è più importante di quanto si pensi: molti fattori di rischio biologici, genetici ed epigenetici, e stili di vita inadatti aumentano il rischio di sviluppare demenza – conclude la Bruni. Nella età di mezzo vanno combattuti i fattori di rischio cardio-cerebro-vascolari, l’obesità, l’abuso di alcol, la depressione e la sordità. Nell’età più avanzata la solitudine, l’inattività fisica, l’isolamento sociale, il fumo e il diabete”.
“Quando si ha a che fare col sistema nervoso – sottolinea Alfredo Berardelli, Presidente della Società̀ Italiana di Neurologia e Professore Ordinario di Neurologia presso l’Università Sapienza di Roma – occorre sempre considerare la sua straordinaria capacità di neurogenesi e di neuroplasticità che si mantiene anche in età avanzata e che, se accompagnata soprattutto da corretti stili di vita, può aiutare il cervello a contrastare e rallentare anche alcune malattie neurodegenerative”.