La vera storia della sindrome di Stoccolma

La sindrome di Stoccolma porta le vittime a solidarizzare con chi fa loro del male: la sua origine ha una storia davvero particolare

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Redazione

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Paura, turbamento e persino estasi: sono tutte emozioni che proviamo spesso, ma che in alcuni casi si trasformano in vere e proprie sindromi che lasciano delle cicatrici difficili da rimarginare in chi le vive in prima persona. Tra quelle che scuotono più nel profondo c’è la sindrome di Stoccolma. Paradossalmente, chi vive questo stato di dipendenza psicologica, finisce per provare dei sentimenti positivi nei confronti di chi gli ha fatto del male, come può essere quello che vivono le vittime di un sequestro o di un abuso. È fuori di dubbio che ogni stato d’animo è a suo modo complesso, ma questa sindrome ha un’origine davvero particolare alle spalle.

Una rapina di 50 anni fa alla base della sindrome

Cosa c’entra la capitale della Svezia con quella che a tutti gli effetti è una manifestazione psicologica? La storia della sindrome di Stoccolma ha una data ben precisa: 23 agosto 1973. Tutto ha avuto inizio in una mattinata estiva di mezzo secolo fa, quando un detenuto in permesso premio, tale Jan-Erik Olsson, fece irruzione in una banca di Stoccolma per una rapina.

L’intervento della polizia fu immediato, ma la risoluzione del caso non fu semplice come immaginato in un primo momento. Olsson prese in ostaggio quattro impiegati che erano all’interno della banca per ben sei giorni, nel corso dei quali ci furono delle estenuanti trattative fra rapinatore e forze dell’ordine. La rapina arrivò addirittura a tenere banco sulle televisioni di tutta la Svezia, al punto da lasciare gli spettatori letteralmente incollati.

L’origine del nome

Man mano che i giorni passavano, la situazione diventò sempre più surreale perché la polizia finse di accettare le condizioni imposte da Olsson, quando invece aveva soltanto intenzione di catturarlo. Dopo una serie di colpi di scena, sparatorie e altri momenti di tensione, i poliziotti riuscirono a entrare nella banca grazie ai gas lacrimogeni, costringendo il rapinatore ad arrendersi. La reazione degli ostaggi fu clamorosa, perché chiesero agli agenti di non fare del male a Olsson. Anzi, una volta usciti dal caveau, abbracciarono l’uomo che li aveva sequestrati. In quei sei giorni, infatti, si era creato un legame molto stretto tra ostaggi e rapinatore che agli occhi delle vittime si era comportato persino da gentleman, consolandoli e proteggendoli dal freddo. Gli impiegati erano addirittura più impauriti dai poliziotti che dal loro sequestratore.

A causa di questo comportamento gli ostaggi furono esaminati da uno psichiatra criminale che coniò per l’occasione la “sindrome di Norrmalmstorg” dal nome dell’indirizzo della banca. Nel 1974, poi, diventò nota ufficialmente in tutto il mondo come “sindrome di Stoccolma” in seguito al rapimento di una giovane ereditiera, Patty Hearst. La ragazza fu presa in ostaggio da alcuni estremisti di sinistra e, una volta rilasciata, si unì a loro compiendo in prima persona una serie di rapine col nome di “Tania”. Venne poi arrestata e, durante il processo, il suo avvocato cercò di scagionarla invocando appunto la sindrome di Stoccolma e citando l’episodio della banca. L’arringa non le evitò il carcere, ma da quel momento la sindrome legata alla città svedese viene puntualmente tirata in ballo quando accadono situazioni simili.