Spari sulla folla a Gaza, cosa sappiamo della strage degli affamati

"Spari sulla folla a Gaza, più di 100 morti". I colpi sulla folla affamata durante una distribuzione di aiuti: la comunità internazione indaga sulle responsabilità

Foto di Giorgia Prina

Giorgia Prina

Lifestyle Specialist

Web Content Creator e Internet addicted che ama la complessità del reale. La passione più grande? Sciogliere matasse con occhio critico e ironia.

Un massacro. Poche altre parole per descrivere quanto avvenuto nel nord di Gaza il 29 febbraio. Durante una distribuzione di aiuti l’esercito israeliano ha aperto il fuoco, uccidendo più di cento (il conto è in salita) palestinesi. Una folla affamata dalla guerra e dai bombardamenti incessanti, senza acqua e senza risorse. Stavano attorno ai camion umanitari, cercando di ottenere il necessario per sopravvivere. Poi gli spari dei soldati, la calca, la paura. Cosa sappiamo di quanto accaduto a Gaza è l’ennesima prova di una guerra terribile, in cui la politica internazionale sembra paralizzata su posizioni attendiste e non incisive.

Spari sulla folla a Gaza: cosa è successo

Stanno facendo il giro del mondo le immagini dall’alto, in bianco e nero, della spiaggia sulla quale centinaia di palestinesi stavano ricevendo gli aiuti umanitari. Tanti puntini neri su sfondo bianco. Sembrano formiche, ma sono persone. Uomini e donne, abitanti di un territorio devastato dalla guerra. Il 29 ottobre si erano riuniti attorno ai camion che distribuivano viveri ed essenziali. “Stavano saccheggiando i convogli”, è la versione israeliana. “La sparatoria è stata indiscriminata”, sono le parole di uno dei feriti, testimone di quei minuti terribili. Un testimone che ha chiesto l’anonimato ha detto all’Afp che “i camion degli aiuti si sono avvicinati troppo ad alcuni carri armati dell’esercito israeliano che si trovavano nella zona e la folla, migliaia di persone, ha preso d’assalto i camion”. I soldati allora “hanno sparato sulla folla perché la gente si avvicinava troppo ai carri armati”.

Prima gli spari, poi la fuga e la calca dei corpi spinti dalla paura. Più di 110 persone sono morte, ma il conto è destinato a salire. I feriti infatti sono tanti, e le strutture in cui accoglierli e curarli ormai inutilizzabili: nel nord della Striscia gli ospedali sono privi di tutto, impossibilitati ad operare. Pur riconoscendo “un certo numero di spari” da parte dei soldati israeliani che si sentivano “minacciati”, un ufficiale dell’esercito israeliano ha riferito di “una fuga precipitosa durante la quale decine di persone sono state uccise e ferite, alcune investite dai camion degli aiuti”.

Questa tragedia è avvenuta il giorno in cui Hamas ha annunciato che sono morte più di 30mila persone in quasi cinque mesi di guerra nel territorio palestinese, minacciato anche dalla carestia. Il conflitto, che ha trasformato il territorio in una “zona di morte” secondo le Nazioni Unite, è il più sanguinoso dei cinque che hanno contrapposto Israele al movimento islamista dal 2007, quando Hamas ha preso il potere a Gaza.

La reazione internazionale

In un contesto in cui sono fornite versioni discordanti sull’accaduto da parte di israeliani e palestinesi, il capo delle Nazioni Unite, António Guterres, si è detto “sconvolto” e ha chiesto “un’indagine efficace e indipendente” per identificare le responsabilità. Il 1 marzo il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso la sua “più forte disapprovazione” e ha chiesto “verità” e “giustizia”, ​​mentre gli Stati Uniti hanno preteso “risposte” da Israele.

In Italia, presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha diffuso una nota in cui scrive: “Ho appreso con profondo sgomento e preoccupazione la drammatica notizia di quanto accaduto oggi a Gaza. È urgente che Israele accerti la dinamica dei fatti e le relative responsabilità. Le nuove e numerose vittime civili impongono di intensificare immediatamente gli sforzi sui negoziati in atto per creare le condizioni per un cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi”.

Intanto, alcune organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch, del Programma alimentare delle Nazioni Unite (WFP) denunciano l’uso della fame dei civili come metodo di guerra contro Hamas, evidenziando la penuria di risorse che sta subendo la zona interessata dagli attacchi.