Fabio Ridolfi e il diritto negato di una morte dignitosa

Aveva ottenuto il sì al suicidio assistito, ma l'iter si era bloccato. Così Fabio ha scelto di morire con la sedazione profonda rinunciando alla morte dignitosa che gli spettava di diritto

Foto di Sabina Petrazzuolo

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Fabio Ridolfi lo conosciamo tutti. In questi anni è diventato un amico, un fratello, un figlio, una persona con la quale abbiamo empatizzato, anche se non abbiamo potuto guardarlo direttamente negli occhi, anche se non gli abbiamo stretto la mano. Anche se non abbiamo ascoltato la sua voce.

Il suo dolore e quel desiderio di porre fine alla sofferenza, però, erano arrivati in qualche modo a noi. E come tutte le decisioni più difficili che si prendono nella vita, inevitabilmente, si erano create delle spaccature tra le persone, tra i pensieri e i modi di vedere le cose.

È giusto? È sbagliato? Ce lo siamo chiesti tutti, proprio come abbiamo fatto con Eluana Englaro e Terri Schiavo anni fa. Ma la verità è che le risposte che ci diamo contano poco perché è delle persone il diritto di scegliere cosa è davvero giusto. E Fabio Ridolfi lo aveva capito da tempo, aveva scelto di morire.

Chi era Fabio Ridolfi

Erano passati 18 anni, ormai, da quando la vita di Fabio si era trasformata completamente, spezzata a metà da una tetraparesi che lo aveva immobilizzato. Aveva così scelto di porre fine alle sue sofferenze avanzando la richiesta del suicidio assistito.

Una decisione legittima riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 242. E quel sì, alla fine volontaria, Fabio lo aveva ottenuto. A parole, però, e non a fatti. Perché per mesi ha dovuto attendere che il Servizio Sanitario Regionale delle Marche indicasse il farmaco da somministrare e le relative modalità dell’intervento.

E quelle indicazioni, non sono arrivate mai. Un silenzio che è diventato un fardello troppo pesante da portare e che si è trasformato presto in un diritto negato, quello di morire in maniera dignitosa.

Per l’avvocato Filomena Gallo, segretario nazionale Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio difensivo di Fabio Ridolfi, non ci sono dubbi: il ritardo altro non è che il riflesso di un ostruzionismo che appartiene a un Paese che ancora fa fatica ad accettare il suicidio assistito, che lo rinnega, nonostante una legittimazione.

Fabio ci ha provato fino alla fine, coinvolgendo giornali e televisioni, protestando come poteva contro uno Stato che non gli concedeva di morire. Ma più i giorni passavano, più quella sofferenza diventava insopportabile. Così alla fine, stanco di combattere, ha scelto di procedere con la sedazione profonda e con la sospensione dei trattamenti vitali.

A comunicare questa scelta all’Associazione Luca Coscioni era stato proprio lui attraverso quel comunicatore vocale a controllo oculare che gli ha permesso di “parlare” in questi mesi.

L’ultimo saluto

Il 14 giugno Fabio Ridolfi è morto. Dopo sei ore di sedazione profonda si è spento nella sua casa di Fermignano, mentre mamma Cecilia, papà Rodolfo e suo fratello Andrea, vegliavano su di lui, su quell’ultimo viaggio.

Accompagnato nell’iter dai medici dell’hospice di Fossombrone, che hanno interrotto nutrizione e idratazione, Fabio ha chiuso gli occhi e si è addormentato nella sua stanza, tra le cose che amava di più, tra la presenza della famiglia, e le fotografie che immortalavano i suoi ricordi più belli, quelli dei concerti e di quelle partite di calcio della sua squadra del cuore.

E sembra quasi di sentirle ancora le sue ultime parole: Sono pronto e felice di morire – aveva detto – non vedo l’ora per me sarà una liberazione. E allora buon viaggio felice Fabio, in qualsiasi posto adesso tu ti trovi.