8 marzo, da festa a lotta: la battaglia femminista per tutti e tutte

Non chiamatela Festa, l'8 marzo è un'occasione di lotta. Le ragioni dietro gli scioperi e le manifestazioni

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Giorgia Prina

Lifestyle Specialist

Web Content Creator e Internet addicted che ama la complessità del reale. La passione più grande? Sciogliere matasse con occhio critico e ironia.

Non chiamatela “festa”, l’8 marzo è una lotta. È questo il grido che unisce attiviste e attivisti di tutta Italia, oggi più che mai. Sono tante le manifestazione attese in tutto il Paese: 39 cortei che serpeggiano nelle principali città italiane. La mobilitazione fa capo a NonUnaDiMeno, il collettivo femminista e transfemminista in prima linea contro le discriminazioni e le violenze. Nel 2024 una novità, decisiva e importante: i cortei sono “inclusivi”. Una banalità, sulla carta. Una svolta decisiva, nei fatti. La chiave sta proprio qui: “l’unione delle forze nella pluralità del loro esprimersi, senza lasciare nessuna indietro”, NonUnaDiMeno, appunto. “Non regalateci le mimose, non fateci gli auguri”: vogliamo interventi politici e culturali decisivi, contro il sistema patriarcale, contro le guerre e contro le discriminazioni. Voci stratificate e motivazioni complesse, che l’8 marzo confluiscono in due termini: manifestazione e sciopero.

8 marzo, le ragioni del “Lotto marzo”

L’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, un momento di riflessione più che un momento di gioia. Sono in realtà alcuni anni che la pratica di lotta è stata rimessa al centro dai movimenti transfemministi globali e NonUnaDiMeno se ne rende testimone nel contesto italiano. A richiamare l’attenzione sul movimento e sulle sue ragioni c’è tanto la volontà di manifestare quanto quella di scioperare. Uno sciopero che si definisce femminista perché interessa non solo le categorie definite produttive, ma anche il lavoro “nascosto” di cura messo in campo ogni giorno. L’obbiettivo è interrogarsi sulle forme di lavoro (per esempio quello domestico o di natura volontaria) che non hanno l’orizzonte dello sciopero come diritto.

Una “giornata di lotta” di carattere globale, che fa eco a quelle presentatesi in altri Paesi, come lo sciopero per l’equità salariale delle donne islandesi quello per il diritto all’aborto delle donne irlandesi e polacche. Attaccare la produttività di un Paese per protesta: questa la chiave. In più, lo sciopero unisce. La volontà sottesa è quella di creare un’unità collettiva, con un’orizzonte di obiettivi comuni, discussi e applicati.

E cosa dire delle ragioni che spingono le persona a scendere in piazza a manifestare? Le politiche che parlano di inclusione nella realtà dei fatti mantengono le donne ai margini, per dirne una. Basta pensare al mondo del lavoro, riguardo al quale i dati impietosi mostrano l’Italia fanalino di coda dell’Unione Europea per tasso di occupazione: a lavorare sono 9,5 milioni contro i 13 milioni di uomini (dati del 2022). Un gap di genere frutto non di scelte libere e legittime, ma figlio di condizioni di contesto e di un percepito sociale delle donne ancora discriminante. Inoltre il quadro mostra donne sottopagate e con impieghi, spesso precari, in settori non strategici.

Ma lo sguardo delle proteste è più ampio, volto a includere prospettive più larghe. Quelle delle donne coinvolte nei conflitti, sui cui corpi si sconta il peso delle guerre in Medio oriente e in Ucraina (ma non solo). Quelle rabbiose contro la violenza di genere e femminicidio, sull’onda di indignazione nata dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin, con mezzo milione di persone accorse a manifestare contro la violenza patriarcale lo scorso 25 novembre.

Una lotta per tutti e tutte

Ma nella Giornata Internazionale della Donna non si parla solo al femminile. Ha infatti senso parlare anche di uomini. L’8 marzo ci ricorda come nel corso degli ultimi anni, il supporto degli uomini alla causa della parità di opportunità si stia facendo sempre più ampio e visibile. E da qui forse possiamo e dobbiamo ripartire per costruire una nuova alleanza. Il Journal of Public Health ha pubblicato l’esito di una ricerca scientifica che sottolinea la maggiore consapevolezza delle donne rispetto alla prevenzione e a tutti quei comportamenti che tendono a proteggere, per quanto possibile, dal rischio di ammalarsi. Mentre gli uomini, che sono chiamati ad aderire a uno stereotipo che li vuole mai fragili, ricorrono con minore frequenza alle cure dei medici e alla prevenzione in generale. Dati confermati anche dal Report realizzato dall’istituto guidato da Nando Pagnoncelli per la Fondazione Pro e intitolato “La salute maschile: stile di vita e abitudini di prevenzione degli uomini italiani”: per ogni singolo uomo che effettua controlli periodici, le donne che fanno lo stesso sono circa 30.

Ma si parla anche di salute mentale. Nel libero Quella voce che nessuno ascolta, di Daniele Coen e Valeria Raparelli, viene descritto e dimostrato come l’educazione patriarcale tenda ad allontanare l’uomo dall’esplorazione delle proprie emozioni. Molti uomini non chiedono aiuto, le loro depressioni sono spesso sotto diagnosticate e sotto trattate. Un altro contributo, quello di Ginevra Bersani Franceschetti nel libro Il costo della virilità, mostra come, solo in Italia, gli uomini sono il 92% degli imputati per omicidio, il 99% degli autori di stupri, l’83% dei responsabili di incidenti stradali mortali, l’87% dei colpevoli di abusi su minori, il 96% della popolazione mafiosa, il 92% degli evasori fiscali, il 93% degli spacciatori.

È dalle alleanze che si possono ricostruire i confini. È dalla presa di coscienza che la lotta può dare frutti. L’8 marzo rimane un’occasione di coesione e di forza collettiva, questo dimostrano le manifestazioni e gli scioperi, che richiamano l’attenzione su tematiche importanti, forti e sentite da più parti.