Sono cresciuta con una donna fortissima, una roccia, il punto fermo della mia vita e anche quello della famiglia intera, anche se questa ha faticato ad ammettere che fosse così. Perché non poteva essere la donna il riferimento familiare, non a quei tempi in cui la libertà era un lusso concesso solo agli uomini.
Mia mamma non ha avuto nessuno che le insegnasse a combattere per la sua libertà, per i suoi diritti e per i suoi sogni. E con gli anni si è trasformata, come tante, in una schiava delle convinzioni sociali di una cultura patriarcale che ancora, purtroppo, sopravvive nei meandri più profondi e radicati di alcuni pensieri.
No, mia madre non è stata una donna libera. Non le è stato permesso di avere dei grandi e straordinari sogni perché la sua vita era già stata decisa dagli altri. Non poteva concedersi il lusso di studiare, di fare carriera e di realizzarsi nel lavoro. Al massimo doveva cimentarsi in lavori occasionali, più o meno difficoltosi, per aiutare la famiglia, fino a quando sarebbe arrivato lui.
Il padre padrone plasmato dalla società, quello che avrebbe emancipato mia madre dalla famiglia, per diventare la schiava di un’altra famiglia, la mia. Intendiamoci però, mio padre non è stato un cattivo marito, ma solo l’ennesima vittima degli stereotipi di genere che ha agito nell’unico modo che conosceva, che riteneva giusto. Ecco perché ha fatto fatica a comprendere la frustrazione e la sofferenza di mia madre. Ecco perché ha fatto fatica a capire me, che libera ci sono nata.
Lei no, invece, non ha dubitato neanche per un secondo delle mie scelte. Lei quelle ribellioni le ha sempre incoraggiate. Sin da bambina, mia madre, mi ha insegnato a sognare in grande, senza limiti o restrizioni. Mi ha fatto giocare a calcio, anche se ero l’unica bambina a farlo, e mi ha permesso di indossare i pantaloni blu, quando tutte le mie compagne di classe indossavano vestitini rosa.
Mi ha appoggiata totalmente quando le mie scelte personali e professionali erano assolutamente contro tendenza, quando mio padre incalzato dai suoi parenti e dal giudizio degli altri, mi ripeteva che i miei atteggiamenti non erano consoni a una donna. Che se avessi lasciato quel ragazzo che a suo dire era perfetto, sarei rimasta sola e che se non avessi intrapreso quel corso di laurea, probabilmente, sarei diventata una nulla facente. E cosa avrebbe detto, poi, la gente di me?
Ma mamma no, non lo hai mai fatto, non mi hai mai giudicata. Mi ha invitata a sbagliare, invece, a fallire e a ricominciare. A non riconoscermi nelle aspettative degli altri e a inseguire il cuore, ovunque mi portasse. A essere una donna libera, nel pensiero e nelle azioni. E il solo fatto di poter contare nel suo sguardo di approvazione, ieri esattamente come oggi, mi ha dato una forza e un coraggio inaudito.
Ed è èroprio lei, a quella donna coraggiosa a cui è stata privata la libertà solo per essere nata e cresciuta in un tempo sbagliato, che devo tutto. E non mi resta che ringraziarla, la mia mamma, per essere la donna che sono oggi.