Silvia De Giorgi, che poteva morire. E che l’Italia ha lasciato da sola

Chiamatela sopravvissuta: Silvia De Giorgi ha subito ripetuti maltrattamenti e violenze, ed è stata lasciata da sola. Ma la sua forza ha vinto

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Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

Scusaci, Silvia. Perdonaci. Chi conosce la tua storia ti chiede clemenza per non averti ascoltata, per averti fatto lottare da sola. E ti conferma tutta la sua vicinanza e la sua stima per ciò che hai fatto, per essere sopravvissuta. Sì, perché per chi ancora non lo sapesse, Silvia De Giorgi poteva essere una vittima di femminicidio. La sua foto poteva comparire sulle pagine di cronaca nera, con le solite frasi di circostanza ad accompagnare titoli roboanti.

Invece, Silvia ce l’ha fatta. E oggi la sua voce è la voce di tutte quelle donne che vengono lasciate da sole quando subiscono violenza in Italia. Cosa le è successo? È successo che, come capita a ogni donna, si è innamorata. Solo che si è innamorata dell’uomo sbagliato, un uomo violento, sadico. Un uomo che ha sposato, da cui ha avuto due bellissimi bambini che sono la sua gioia, la sua vita, il suo mondo.

Nel corso di dieci, lunghi anni, Silvia ha scoperto cosa è la violenza nella coppia. Ha iniziato a subire abusi, e, per sua stessa ammissione, restava sottomessa perché voleva pensare al bene dei suoi figli e al loro futuro. 44 anni, designer a Padova, ha prima provato sulla sua pelle minacce e abusi psicologici e poi le botte. La sua vita era diventata un inferno caratterizzato da turpiloquio, lividi, pianti, stalking.

Fino a che Silvia non ha più voluto sopportare e ha deciso di chiedere aiuto. Una svolta? Nient’affatto, perché tra il 2015 e il 2019 questa donna, questa vittima, ha denunciato il marito per ben sette volte. Sette. Sette lunghi pellegrinaggi in Procura, dove ogni denuncia veniva presa in carico per poi dissolversi in un drammatico niente di fatto, doloroso e psicologicamente fiaccante, perché lei, che viveva nel terrore, non veniva creduta.

Solo una volta, solo all’ottava denuncia, qualcosa sembrava essersi mosso. Perché? Perché lei era finita in ospedale. Ma anche lì, non è bastato a fermare tutto: l’ex marito picchiava anche i figli, era sempre più violento, registrava le sue conversazioni, la pedinava, la seguiva, era diventato il suo peggiore incubo. Il futuro era incerto, poteva arrendersi e morire oppure continuare a lottare, ma chi l’avrebbe ascoltata?

Solo dopo alcune ricerche, sentendosi messa da parte dalla giustizia italiana, Silvia ha fatto un passo in più. Il passo decisivo. Si è rivolta alla Corte di Strasburgo e, seguita da un bravo avvocato, è riuscita non solo a portare avanti l’istanza di divorzio, ma anche ad ottenere l’affido esclusivo rinforzato dei suoi figli. Adesso, Silvia è libera. Una sopravvissuta, che alza la voce e che viene affiancata proprio dalla Corte di Strasburgo, che ora accusa l’Italia per “Violazione dell’articolo 3 della convenzione dei diritti umani“, l’articolo che punisce i trattamenti di tortura, abuso e denigrazione.

Scusaci, allora, Silvia, se l’Italia ti ha lasciata sola. Scusa se le Forze dell’Ordine avevano lasciato il tuo torturatore impunito, se non ti avevano creduta. Adesso, speriamo che la tua voce sia un mezzo per dire, ancora una volta, ma più forte e chiaro, che tutto questo deve finire.