Lavoro e tempo libero sono due aspetti fondamentali che arricchiscono e caratterizzano la nostra vita, ma che non sempre riescono a essere concilianti. Anzi, non lo sono quasi mai.
E se da una parte c’è chi, silenziosamente, si è fatto portavoce di un’inversione di tendenza, che gli esperti hanno chiamato quiet quitting, dall’altra parte c’è ancora chi invece è fortemente ancorato al mito della produttività che deve essere onorato a ogni costo, anche a discapito del benessere personale.
E tra una tendenza e l’altra, ecco che troviamo nel mezzo un altro fenomeno, quello della productivity paranoia, un termine che rappresenta a pieno il punto di vista degli imprenditori e che dovrebbe farci riflettere seriamente sulla direzione che sta prendendo il mondo del lavoro.
Cos’è la productivity paranoia e perché non fa bene a nessuno
Il lavoro si evolve, cambia e si trasforma, per stare a passo con i tempi, per esplorare nuove forme di produttività. Quella stessa produttività che spesso viene esasperata al punto tale da privare i lavoratori del loro tempo libero.
E se c’è già chi ha compreso che la produttività è strettamente correlata al benessere dei lavoratori e viceversa, come conferma il successo della settimana corta di lavoro adottata in Islanda, per esempio, dall’altra parte c’è ancora non riesce a credere che questo sia possibile.
I dubbi provengono proprio da loro, dagli imprenditori e dai manager che temono che nuove forme di organizzazione aziendale possano penalizzare i risultati finali. Un timore, questo, che è aumentato ancora di più con l’introduzione della modalità ibrida e dello smart working durante la pandemia, e che ha spinto gli imprenditori ad aumentare i controlli ai limiti dell’ossessività.
Se da una parte, infatti, molti lavoratori hanno trovato dei benefici reali e concreti nel lavoro da remoto, dall’altra le aziende non sempre hanno saputo adattarsi. Il problema principale sta proprio nella perdita del controllo sul lavoro e sui dipendenti.
Eppure i dati emersi dal Work Trend Index di Microsoft, che ha preso in considerazione l’opinione di 20.000 dipendenti in 11 Paesi, delineano uno scenario chiaro e preciso che vede la produttività aumentata in maniera esponenziale da quando è stata data la possibilità alle persone di lavorare da remoto. Nonostante questo, però, gli imprenditori spingono per un ritorno di massa negli uffici, perché manca la fiducia, ma soprattutto il controllo.
Ecco perché gli esperti hanno coniato il nome di productivity paranoia ed è evidente che, messa in questi termini, è una cosa che non fa bene a nessuno.
I dati del Work Trend Index di Microsoft
Ritornando ai dati del Work Trend Index di Microsoft, possiamo trovare diversi spunti interessanti che aprono una riflessione proprio sulla percezione del lavoro e sul grande divario che esiste tra i punti di vista di dipendenti e imprenditori.
L’87% degli intervistati, infatti, ha dichiarato di aver aumentato la personale produttività lavorando da remoto. Affermazioni, queste, che trovano conferma anche nell’aumento di riunioni settimanali tra gli utenti della piattaforma Teams, per esempio. Anche la giornata lavorativa media è aumentata negli ultimi anni di ben 46 minuti, una realtà questa che rischia di diventare la causa dello stress dei lavoratori. Ed è questo il vero problema sul quale dovremmo insistere, perché un dipendente in burnout, indipendentemente dalla modalità di lavoro adottata, non sarà mai produttivo se il suo benessere viene meno.
L’85% degli imprenditori intervistati, invece, ha dichiarato che la modalità ibrida e lo smart working rendono impossibile misurare la produttività dei singoli dipendenti. Una vera e propria paranoia della produttività, come l’ha definita Microsoft, che non tiene conto invece della situazione emersa dal report.
Le conseguenze, neanche a dirlo, rischiano di ripercuotersi sui rapporti instaurati tra dipendenti e imprenditori, generando mancanza di fiducia, incomprensioni e tensioni che si sa, non fanno lavorare bene nessuno.