Prima dell’eutanasia, la femmina accabadora

Tra realtà e leggenda: la storia della femmina accabadora, la dama della morte incaricata di accompagnare le anime morenti nell'aldilà

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Di tradizioni, usanze, miti e leggende è fatto il mondo che abitiamo. Di racconti affascinanti, suggestivi e a tratti misteriosi che vengono conservati e tramandati dalle comunità locali e dalle popolazioni vicine e lontane. Ed è proprio di una storia antica e mai dimenticata, radicata nel nostro Paese, che oggi vogliamo parlarvi, di una leggenda che è sconfinata nella realtà di cui si sono fatte custodi le persone che vivono in terra sarda.

La protagonista di questa storia è la femmina accabadora, anche più comunemente conosciuta come s’agabbadóra. Un nome, questo, che deriva dalla parola sarda s’acabbu che può essere tradotto come “fine”. Perché era questo il compito affidato alla donna in questione, quello di permettere alle persone che lo avevano richiesto di morire. Una vera e propria eutanasia ante litteram in cui la persona incaricata aveva il compito di procurare intenzionalmente la morte di una persona affetta da una malattia, o comunque impossibilitata ad avere una vita dignitosa.

C’era una volta la femmina accabadora

Vi basterà fare un viaggio in Sardegna, tra entroterra aspri e selvaggi e spiagge da sogno, per venire a contatto con le storie e le leggende affascinanti che ancora permeano il territorio. Tra queste ci sono anche quelle che ruotano intorno alla femmina accabadora, la signora della morte il cui compito era quello di aiutare le anime a lasciare la terra e a smettere di soffrire.

Tutti conoscono s’agabbadóra nella regione sarda, eppure non ci sono prove concrete e fonti considerate ufficiali che attestano che questa figura sia realmente esistita. Diversi, invece, i racconti tramandati da generazioni, gli stessi che sopravvivono ancora oggi e che restano lì, nel limbo sospeso tra realtà e leggenda.

Le storie che abbiamo letto e ascoltato sulla femmina accabadora sono tante e diverse. Cambiano i dettagli, le pratiche e persino le origini, ma la missione resta sempre la stessa: quella di concedere la morte a chi ne faceva richiesta.

Come abbiamo anticipato non è chiaro se questa pratica fosse davvero perpetuata, o se la figura della s’agabbadóra sia in realtà confinata solo a una credenza popolare senza fondamento, fatto sta che si tratta di un personaggio molto affascinante sul quale spesso studiosi e appassionati di culture e tradizioni locali sono tornati più e più volte nel corso degli anni.

“Ci sono cose che si sanno e basta, e le prove sono solo conferma. (Michela Murgia in Accabadora)

Quello che sappiamo, e che è giunto fino ai giorni nostri, è che la femmina accabadora era la dama scelta per forzare il destino di chi, da solo, voleva scegliere le sue sorti. Si narra che la donna, chiamata dalla persona malata o morente, o dai suoi familiari, si recava all’interno della stanza completamente vestita di nero e col volto coperto per compiere la missione. I modi in cui si prendeva carico di quel fardello erano diversi, e variano in ogni racconto. Alcuni parlano di soffocamento per mezzo di un cuscino, altri di un colpo con un bastone inflitto dietro la nuca. Altri ancora, invece, hanno identificato in un martello di legno – conservato anche nel Museo Etnografico Galluras – lo strumento della femmina accabadora.

A differenza di quanto si può credere, s’agabbadóra non era considerata né una killer, né tanto meno un carnefice. Si trattava, piuttosto, di una donna che si era fatta carico di sollevare le anime dal dolore e per questo meritava la riverenza di tutti. Rispettata e celebrata dalle comunità locali, questa dama non era solo l’artefice del destino dei moribondi o dei malati terminali, ma era una figura chiave per la transizione dalla vita alla morte. La femmina accabadora, infatti, si occupava di sostenere la persona fino alla fine dei suoi giorni alleviando la sua agonia, e quella di tutte le persone che facevano parte della sua vita. Un vero e proprio punto di riferimento per le anime sofferenti.

Su questa figura enigmatica e misteriosa si sono concentrati anche gli studi di Francesco Alziator, antropologo, filologo e letterato italiano che ha concentrato tutta la sua attività proprio sulla salvaguardia delle tradizioni e della cultura sarda. Secondo lo studioso, la femmina accabadora era tutt’altro che temuta. Il suo compito, infatti, era quello di accompagnare le persone nell’aldilà, attraverso tutta una serie di riti, e dare loro conforto. Tuttavia, nonostante le numerose testimonianze raccolte durante gli anni di studio, lo stesso Alziator non ha potuto confermare l’esistenza di questa donna con prove certe.

S’agabbadóra tra realtà e leggenda

Nonostante l’impegno degli antropologi nel sostenere che questa dama sarda non sia mai esistita, sono molte le testimonianze giunte fino a noi, alcune delle quali conservate anche nel Museo Etnografico di Gallura che proprio alla signora della morte ha dedicato un’intera sezione dell’edificio. Non solo fonti letterarie e ricerche sul campo, il museo conserva anche il martello che la tradizione ha individuato come lo strumento utilizzato da s’agabbadóra per indurre la morte.

Anche Michela Murgia, scrittrice, drammaturga e critica letteraria ha scritto un romanzo dedicato proprio a questa affascinante figura che gli è valso diversi riconoscimenti e premi letterari. L’accabadora è inoltre la protagonista dell’omonimo film di Enrico Pau, una pellicola che racconta le vicende di Annette che ha ereditato da sua madre il ruolo di accompagnare nella morte i malati terminali.

Cosa resta oggi della femmina accabadora, ormai, lo sapete. Questa figura vive e sopravvive nella letteratura, nel cinema e in tutti quei racconti che continueranno a essere custoditi dalle comunità locali. Quello che forse non tutti sanno è che la sua non è l’unica storia di eutanasia ante litteram che potete trovare in Sardegna. Proprio la regione, infatti, è il palcoscenico di un’altra leggenda, quella di Babbaieca a Gairo, che narra di un rito fatale che coinvolgeva i giovani e gli anziani del villaggio.

Si racconta che nel cuore dell’Ogliastra, proprio lì dove sorge il sentiero Gairo che conduce a un precipizio, i giovani accompagnassero i loro padri e gli anziani del villaggio che ormai avevano raggiunto il culmine del loro ciclo vitale. I “babbai”, in dialetto gairese “vecchi padri”, venivano poi spinti giù dal precipizio per lasciare il loro posto alle future generazioni.