Desmond Tutu è uno dei più noti attivisti dei diritti umani nel Sud Africa, vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 1984 per il suo impegno nel risolvere e porre fine all’apartheid. È stato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo, in Sudafrica, e primate della Chiesa anglicana dell’Africa meridionale. Viene ricordato inoltre per aver coniato l’espressione Rainbow Nation (“nazione arcobaleno”) per descrivere il Sudafrica. La denominazione è stata poi ripresa da Nelson Mandela e fa riferimento proprio all’ideale di convivenza pacifica tra le diverse etnie che vivono nel Paese. Tutu ha speso la sua intera vita nella difesa dei diritti umani, usando la sua posizione per lottare a favore degli oppressi. Tra i suoi maggiori impegni ci sono state le lotte contro la povertà, il razzismo, il sessismo, la diffusione dell’Aids e della tubercolosi.
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Chi era Desmond Tutu
Desmond Tutu nasce il 7 ottobre del 1931 a Klerksdrop in Sudafrica e all’età di 12 anni si trasferisce con la famiglia a Johannesburg. Studia al Pretoria Bantu Normal College e in seguito insegna alla Johannesburg Bantu High School, dove resta fino al 1957.
Si dimette dall’istituto dopo l’approvazione del Bantu Education Act, una norma che rafforza la separazione razziale nelle scuole, protestando contro le misere prospettive educative dei sudafricani neri. Tutu inizia poi a studiare teologia e nel 1960 viene ordinato sacerdote anglicano. Diventa cappellano dell’università di Fort Hare, uno dei pochi atenei di qualità per gli studenti di colore nella parte meridionale del Sudafrica.
Lasciato l’incarico di cappellano, Tutu si trasferisce a Londra dove consegue il Bachelor e il Master in teologia al King’s College. Nel 1967 torna in Sudafrica e usa le sue lezioni per evidenziare le condizioni della popolazione di colore. In una lettera al Primo Ministro Vorster descrive il Sudafrica come “un barile di polvere da sparo che può esplodere in qualsiasi momento”. Non riceve mai risposta.
Dopo cinque anni, nel 1972, fa ritorno nel Regno Unito e viene nominato vice-direttore del Fondo per l’Educazione Teologica del Consiglio Mondiale delle Chiese. Tre anni dopo rientra in Sudafrica dove assume il ruolo di decano della Cattedrale di St. Mary a Johannesburg, prima persona di colore a reggere tale incarico.
L’impegno per i diritti umani di Desmond Tutu
Nel 1976 si intensificano le proteste di Soweto, note anche come Scontri di Soweto, contro l’uso da parte del governo dell’afrikaans, una lingua parlata nell’Africa australe, nelle scuole nere. Le tensioni si trasformano in una dura rivolta contro l’apartheid. In questo periodo Tutu appoggia il boicottaggio economico del suo paese.
Dal 1976 al 1978 è vescovo di Lesotho, poi diventa segretario generale del Consiglio Sudafricano delle Chiese. Da questo momento, con il consenso di quasi tutte le chiese, porta avanti il suo lavoro contro l’apartheid sostenendo risolutamente la riconciliazione tra tutte le parti coinvolte.
Il Nobel per la pace e le altre onorificenze
Attraverso le sue conferenze e gli scritti di critica all’apartheid, Tuti diventa noto come la “voce” dei sudafricani neri che non avevano voce. Per il suo impegno contro il razzismo e la discriminazione, il 16 ottobre 1984 viene premiato con il premio Nobel per la Pace.
Il comitato del riconoscimento svedese cita il suo “ruolo come figura unificante nella campagna per risolvere il problema dell’apartheid in Sudafrica”. Due anni dopo Tutu diventa la prima persona di colore a guidare la Chiesa Anglicana in Sudafrica.
Nel 1989 l’arcivescovo è invitato a Birmingham, per le Citywide Christian Celebrations.
Nel 1994, quando Nelson Mandela viene eletto come primo presidente nero della nazione, Tutu è nominato presidente della Commissione Verità e Riconciliazione (TRC), incarico per il quale viene insignito del Sydney Peace Price nel 1999.
Nel suo lavoro sui diritti umani, l’obiettivo dell’arcivescovo è quello di avere “una società giusta e democratica, senza divisioni razziali” nella quale fossero garantiti i diritti civili uguali per tutti, un sistema comune di istruzione e la cessazione della deportazione forzata. La filosofia di azione di Tutu si è sempre ispirata infatti al concetto africano di ubuntu, che indica una visione della società senza divisioni e nella quale ogni persona è chiamata a svolgere un ruolo importante. Oltre al Premio Nobel, nel corso degli anni a Tutu sono conferiti numerosi riconoscimenti, tra cui la Pacem in Terris Award, il Vescovo John T. Walker Distinguished Humanitarian Service Award, il Premio Lincoln e il Premio Leadership Gandhi Peace.
Nel 1996 all’arcivescovo viene diagnosticato un cancro alla prostata. Il premio Nobel per la Pace muore il 26 dicembre del 2021 a 90 anni.
Vita privata e curiosità su Desmond Tutu
Desmond Tutu si è sposato con Leah Nomalizo Tutu nel 1955, la coppia ha avuto quattro figli: Trevor Thamsanqa, Theresa Thandeka, Naomi Nontombi e Mpho Andrea. Tutti e quattro hanno frequentato la famosa Waterford Kamhlaba School.
Il funerale è stato celebrato nella cattedrale di San Giorgio a Città del Capo. Al termine la salma è stata liquefatta, secondo un procedimento chimico ecologico alternativo alla tradizionale cremazione, con un basso consumo di energia e zero emissione chiamato acquamazione.
Desmond Tutu ha redatto diversi libri con i suoi discorsi e le sue dichiarazioni. Una delle sue frasi famose è: “Non mi interessa raccogliere briciole di compassione buttate sul tavolo da qualcuno che si considera il mio maestro. Voglio il menu completo dei diritti”.
Tutu da piccolo voleva diventare un medico, ma la sua famiglia non poteva permettersi di pagargli gli studi e quindi dovette seguire le orme del padre nel campo dell’insegnamento.
Nel 2003, commentando l’elezione di Gene Robinson, primo uomo apertamente gay, Tutu spiegò che “nella nostra chiesa qui in Sudafrica, ciò non fa differenza. Possiamo solo dire che, al momento, noi riteniamo che dovrebbero rimanere celibi e quindi non vediamo quale sia il problema”.
Nel 2005, a seguito dell’elezione del cardinale Joseph Ratzinger come Papa Benedetto XVI, espresse rammarico sull’improbabilità che la Chiesa cattolica cambiasse la sua opposizione ai preservativi nella lotta all’Aids in Africa: “Avremmo sperato in qualcuno più aperto ai più recenti sviluppi del mondo”. Nel 2016 affermò invece di essere favorevole all’eutanasia, sottolineando come “a migliaia di persone in tutto il mondo” venisse negato “il diritto di morire con dignità”.