L’aborto, in Italia, è legge. Non è qualcosa che può essere plasmato, modificato o regolato in base alle personali visioni ideologiche delle persone. È un diritto che è stato conquistato, non senza fatica, dalle donne di tutto il Paese.
Correva l’anno 1978 quando, con la Legge n. 194, si è finalmente stabilito che una donna può effettuare un’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni, un tempo che si estende al secondo trimestre se si tratta di aborto terapeutico. Prima di quel momento, invece, non solo era illegale, ma era considerato un reato penale.
E oggi? Oggi quella legge esiste ancora, ma sono tante, troppe le persone che continuano a ostacolarla. Lo fanno perché puntano il dito e giudicano, dimenticando che ogni donna ha il diritto di agire sul proprio corpo, e ancor prima cercando di persuadere con delle vere e proprie torture psicologiche chi ha deciso di intraprendere l’interruzione volontaria di gravidanza. Ma non è solo il benessere mentale, già provato da una scelta che è fatta tutt’altro che a cuor leggero, a essere attaccato, perché in Italia ci sono tutta una serie di complicazioni logistiche che le donne si trovano ad affrontare.
Aborto: a rischio i diritti delle donne
È un argomento che, negli ultimi anni, è sempre più discusso quello dell’aborto, anche se come abbiamo detto c’è una legge che lo riconosce e lo tutela. Qualcuno però sembra dimenticarlo e a pagarne le conseguenze sono sempre le donne che scelgono di interrompere volontariamente la gravidanza.
A partire dagli obiettori di coscienza che sono in costante aumento, come dimostrano quei dati che evidenziano picchi di oltre il 90% in alcune regioni di Italia come Molise, Trentino Alto Adige e Basilicata. Questo vuol dire che molte donne sono costrette a spostarsi in altre regioni per poter praticare l’aborto.
Impossibile non pensare, poi, alla polemica scoppiata nei mesi scorsi quando, alcuni rappresentanti politici italiani, hanno ammesso candidamente di essere contrari all’interruzione volontaria di gravidanza promuovendo l’intenzione di limitare l’aborto farmacologico. Insomma, i diritti delle donne sono sotto attacco, e la situazione non sembra migliorare.
Tra norme choc e torture psicologiche
Sono tanti i motivi che portano una donna a scegliere di intraprendere un aborto. Sono personali, soggettivi, e a volte dolorosi, e nessuno ha il diritto di interferire con quella che è una scelta già molto delicata.
Eppure, se è vero che c’è una legge che regola l’interruzione di gravidanza e che quindi non può essere infranta, è altrettanto vero che tutte le donne che si trovano ad affrontare un aborto rischiano di vivere situazioni paradossali e assurde che minano il benessere mentale.
Sicuramente è quello che succede a tutte le donne che abortiscono in Veneto e che, per legge, sono costrette a seppellire il feto. Non si tratta di una volontà soggettiva, ma di una vera e propria norma inserita dall’assessore Elena Donazzan che prevede l’obbligo di sepoltura anche a seguito di un aborto avvenuto entro la ventesima settimana. Inutile dover spiegare quanto un obbligo del genere può trasformarsi in un’esperienza orribile per chi ha scelto di abortire.
Ma non è tutto perché negli ultimi giorni, alcune ginecologhe, hanno denunciato quelle che sono delle vere e proprie torture psicologiche condotte ai danni delle donne. Elisabetta Piccolotti ed Eleonora Evi di Europa Verde hanno raccontato di aver ricevuto diverse segnalazioni che fanno tremare il Paese intero. Sembrerebbe che in Umbria, e forse anche in altre regioni d’Italia, le donne che chiedono di abortire sono costrette ad ascoltare il cuore del feto che batte ancora.
Una tortura psicologica, sadica e crudele che conoscono molto bene tutte le donne che vivono in Ungheria.
Al momento, però, si tratta solo di una denuncia che non ha ricevuto conferme. Anzi, l’Assessorato regionale alla Salute umbra ha smentito, assicurando che le autorità sanitarie procederanno con le opportune verifiche.