Tutti gli amori di Carla Bruni

Plurale e universale, per Carla Bruni l'amore ha tante sfaccettature: dalla musica alla moda, passando per l'Italia e la famiglia. Ce li ha raccontati in questa intervista.

Foto di Andrea Bertolucci

Andrea Bertolucci

Giornalista esperto di Lifestyle

Classe 1990, Andrea Bertolucci è un giornalista e autore specializzato in cultura giovanile, lifestyle, società ed economia dell’intrattenimento. La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali. Andrea è considerato uno dei maggiori esperti di cultura Trap nel nostro Paese.

Quando si parla di Carla Bruni, uno degli aspetti più difficili è proprio quello di riuscire a definirla. Modella, cantante, ex première dame, mamma: qualsiasi epiteto appare elegantemente riduttivo nel circoscrivere una donna che ha vissuto tante vite, senza le quali non sarebbe – più semplicemente – “Carlà“. Una donna che i francesi hanno imparato ad amare e gli italiani a rimpiangere, che si è fatta notare per il suo stile garbato e austero, lontano dagli eccessi a cui la moda e il gossip ci hanno spesso abituato.

Nata a Torino e francese d’adozione, comincia la sua carriera come modella tra il 1987 e il 1997, sfilando per Christian Dior, John Galliano, Versace, Chanel, Yves Saint-Laurent e molti altri. Una carriera che oggi ha lasciato per dedicarsi alla musica e – ovviamente – a fare la mamma di Aurélien (19 anni) avuto con il filosofo Raphaël Enthoven e di Giulia (9 anni) nata invece dal legame con Nicolas Sarkozy, a fianco del quale è stata première dame di Francia.

A tre anni di distanza dal precedente lavoro, Carla Bruni ha appena pubblicato il suo nuovo album, che porta il suo stesso nome: “Carla Bruni”. Quattordici tracce inedite prodotte da Albin de la Simone, che spera di poter presto portare nei teatri di tutto il mondo – anche quelli italiani – armata di chitarra e dei suoi inseparabili jeans, il capo che più la mette a suo agio.

Carla Bruni in studio di registrazione [Fonte: Ufficio Stampa]

Sette anni che non incidevi inediti e tre che non pubblicavi un album: sembrano tempi incompatibili con i ritmi di oggi.
Me ne sono sempre fregata dei ritmi, soprattutto di quelli che ci vengono imposti oggi. In realtà in questi tre anni sono stata sempre in giro, con un tour che ha toccato l’America, l’Europa e l’Asia e si è concluso a settembre del 2019 a Seoul. Da quel momento sono tornata a scrivere e a registrare, nella situazione che tutti conosciamo.

Il disco si intitola come te.
Neanche fossi una giovane debuttante! Non avrei potuto fare diversamente: da una parte è stata una volontà spontanea legata al fatto che questo album mi assomiglia e mi è molto vicino, anche se potrei dirlo di ogni lavoro. Dall’altra, la banale considerazione che non ho davvero trovato un titolo migliore.

Di necessità virtù.
Di necessità virtù, sono d’accordo. Continuare a cercare un titolo e non esserne mai soddisfatta, significa che il titolo non ce l’avevo. Per gli altri lavori mi era venuto più spontaneo, spesso lo pescavo da una delle canzoni dell’album. Avevo pensato inizialmente di intitolarlo “Voglio l’amore”, però quasi tutto il disco era scritto in francese e non aveva molto senso un titolo in italiano.

“Voglio l’amore” è diventato invece il titolo di un duetto con tua sorella Valeria: tu e lei lo vivete in modo diverso?
Come spesso capita alle sorelle, lo viviamo in maniera abbastanza opposta. Però siamo nate con un grande amore in comune, la nostra famiglia. E in fondo questa canzone racconta di un amore globale, non personale. Un amore batticuore, non quello che si può vivere e costruire, ma quello dell’inizio, che ti sconvolge e ti fa dimagrire, che non ti fa pensare ad altro. Non è una canzone particolarmente biografica per me o per Valeria, ma lo è in generale per gli esseri umani: “Vogliamo l’amore!

L’amore nel tuo caso ha tante sfaccettature, compreso quella per la moda, uno dei capitoli più importanti della tua vita che ti hanno permesso di conoscere e lavorare con persone quali Gianni Versace. C’è uno stilista della nuova generazione nel quale vedi la sua eredità creativa?
Ci sono diversi stilisti della nuova generazione che adoro, non solo come creatori ma anche come esseri umani. Vorrei avere cinquanta vite per potermi godere tutte le amicizie che alcuni di loro mi ispirano: l’amicizia per me è come l’amore, a prima vista. Adoro per esempio Riccardo Tisci, che attualmente disegna Burberry e prima era a Givency. La sua delicatezza, la sua sobrietà, il suo calore: per me è già entrato nella tradizione dei grandi couturier. Trovo bravissimo anche Pier Paolo Piccioli, il direttore creativo di Valentino, che è rimasto alla radice classica del brand ma allo stesso tempo possiede una creatività piena di audacia. Un altro che apprezzo molto è Heidi Slimane, che disegna Celine ed è anche un grande fotografo e infine mi piace molto anche Virgil Abloh – creatore di Off-White – che alla direzione creativa di Vuitton sta ibridando l’Haute Couture con lo streetwear.

E Simon Porte Jacquemus, visto che sei sempre stata una grande appassionata di accessori?
Lo adoro, ha un realismo nel disegno dei suoi accessori, comodi e portabili, che si contrappone all’atmosfera bucolica e magica delle sfilate.

In quanto a comodità e portabilità, ne hai fatto uno stile anche in tempi non sospetti, lontani da quelli di oggi in cui essere cozy va così tanto di moda.
Non mi sono mai sentita me stessa nella complicazione: quello che cerco e mi piace veramente è sempre legato alla semplicità, ti direi quasi all’austerità in un certo senso. Mi piacciono gli abiti creativi, certo. Ma preferisco limitarmi a guardarli. Quello che scelgo di indossare è elegante e comodo, non voglio apparire come Lady Gaga anche se ne avessi il talento o la potenza. E poi cantare vestita così, non riesco neanche ad immaginare come faccia.

Sul palco meglio un bel jeans?
Sì, decisamente. Quando trovi un bel paio di jeans nel quale ti senti a tuo agio e ti veste bene, hai la cosa più preziosa. Lo puoi indossare in tutte le occasioni, da quelle più casual fino a quelle elegantissime. E poi, il jeans regala sempre un’aria di eterna giovinezza a qualsiasi donna.

Prima ho evocato il mito di Gianni Versace: hai mantenuto dei rapporti con le altre top model, al di là della rivalità che poteva esserci all’epoca?
Sì, siamo ancora tutte in grande amicizia. Quel poco di rivalità che sembrava esserci è completamente sparito, adesso che siamo tutte delle signore e delle mamme.

Che genere di mamma sei?
Classica, italiana e all’antica: poveri i miei figli! Sono una mamma ansiosa, anche se ho fiducia in loro. Però è una bella cosa essere la loro mamma, sicuramente l’aspetto della vita che mi dà più gioia.

Da première dame che consiglio ti senti di dare alla nuova first lady americana Jill Biden?
Non sono tanto brava a dare consigli, c’è una specie di arroganza nell’idea di darli ad una donna che sembra già intelligentissima e molto capace. Essere la moglie del Presidente degli Stati Uniti o magari un giorno – chissà – il marito della Presidente, è una posizione di accompagnamento nella quale si può far tutto e niente, ma dal mio punto di vista non bisogna mai intervenire troppo. La persona eletta è l’altra e la cosa più importante è rimanere all’interno di un confine preciso che ci si è imposti. L’aspetto migliore di quella posizione è l’aiuto considerevole che si riesce a portare alle persone: questo dà un senso a quel ruolo, che non è un mestiere, ma una figura di rappresentanza. In fondo è come se diventassi di famiglia per le persone, vedono in te qualcuno su cui poter contare.

A te manca quella vita?
Proprio per niente, anche se è stato un grande onore e una bella avventura, oltre che un momento eccezionale della mia esistenza. Sono contentissima di averlo vissuto e altrettanto che sia passato.

Invece l’Italia ti manca?
L’Italia mi manca tantissimo, se non vengo lì in montagna ogni anno sto male. Te lo dice una piemontese, più precisamente torinese. Amo la mia città, le ho anche dedicato una canzone in francese. Ha la reputazione di essere un po’ seria, ma secondo me è semplicemente misteriosa, piena di storia e di leggende.

I francesi conoscono la tua città?
Non molto, conoscono di più le città d’arte classiche come Roma, Milano, Firenze, Venezia.

Potresti diventare ambasciatrice di Torino all’estero.
Sarebbe fin troppo facile: l’Italia vista da fuori è il Paese più delizioso e umano al mondo, una grande opera a cielo aperto, contraddistinta da donne e uomini che possiedono l’arte di vivere e la rendono il Paese più accogliente.

Lasciamoci con un po’ di speranza per questo 2021 in arrivo.
Per tutti noi la speranza è la cura, il vaccino, la libertà e il ritorno ad una vita normale, nella quale ci possiamo abbracciare, salutare, chiacchierare. Io ci credo, secondo me manca davvero poco, dobbiamo solo attendere. La speranza per me – invece – è di poter cantare presto questo disco in pubblico: quando faccio un album, mi sento incompleta se riesco poi portarlo in giro.

Carla Bruni scattata da Yann Orhan [Fonte: Ufficio Stampa]