La definizione di guscio, sia in senso stretto che in senso lato, è probabilmente la cosa che più si avvicina a quel senso di protezione che da sempre andiamo cercando. Il guscio, del resto, è un involucro, che avvolge e protegge, che ripara dal freddo, dalle intemperie e dalle insidie che ci sono nel mondo lì fuori. E allora perché, in Mimmo Pesce, è nata l’esigenza di tirare fuori dal guscio il suo Tommaso?
Perché la vita vera è quella lì fuori, risponderebbe chiunque ha fatto della saggezza popolare uno stile di vita. Ma per Tommi, come lo chiama affettuosamente papà Mimmo, quel mondo fuori – quello che dovrebbe essere inclusivo e mai discriminatorio, quello che non dovrebbe lasciare indietro nessuno – è più difficile di quanto possiamo immaginare per Tommaso, e per tutti quelli come lui.
Tommaso è autistico. È un ragazzo di 25 anni che esplora il mondo seguendo le sue regole, quelle che noi non conosciamo. Non è solo però, perché insieme a lui c’è la famiglia, c’è suo padre Mimmo. Ed è proprio Mimmo, oggi, a raccontarci di quel viaggio straordinario che compie ogni giorno da 25 anni e che, se potesse, perpetuerebbe per l’eternità. Quello in cui prende per mano suo figlio per accompagnarlo dolcemente fuori dal guscio, per condurlo dove il resto delle persone vive.
Un viaggio che non si fa a bordo di una macchina, né tanto meno su un astronave come ci insegnano i migliori film di fantascienza, ma sulla pelle scivolosa di un capitone.
Ho chiesto a Mimmo se potevo salire, su quel capitone, e prendere parte a quel viaggio così così nuovo per me. Mi ha detto di sì, e con una disarmante generosità mi ha offerto un posto a bordo, mostrandomi un mondo complicato, sconosciuto, ma bellissimo. Quello di Tommaso e di tutti gli sgusciati.
Vi presento Tommaso
Prima di parlarvi di Tommaso, che è il protagonista di questo meraviglioso viaggio tra padre e figlio, raccontato nel libro Mio figlio è uno sgusciato. Sette parole e 1/2 sull’autismo, edito da De Agostini, devo parlarvi di lui, di Mimmo Pesce. Devo parlarvi dell’uomo dietro a un personaggio colorato, ironico e a tratti anche folcloristico.
Mimmo Pesce è il nome d’arte di Domenico Pesacane, lo stesso nome che probabilmente non è nuovo a tutti gli appassionati di calcio perché è uno degli opinionisti più apprezzati e acclamati delle telecronache calcistiche, nonché volto di trasmissioni sportive di Telelombardia, Antenna 3 e Top Calcio 24.
Il suo colore preferito è l’azzurro, quello del mare e del cielo, della sua squadra del cuore, il Napoli. Che è anche la mia. Ma non è per il calcio che ci siamo incontrati oggi, ma per fare questo viaggio insieme. Un’intervista che mi ha catapultata dolcemente all’interno dell’universo di Tommaso e di tutti i ragazzi autistici.
Lo stesso universo che, con ironia e leggerezza, viene raccontato nel primo libro di Mimmo. Lui dice che sarà anche l’ultimo, io spero proprio di no, perché come lui stesso mi ha confessato questo testo è molto di più di un libro, è una chiave d’accesso, anche per i più giovanissimi, a un mondo che è ancora sconosciuto.
Ed è il mondo in cui vive Tommaso, un ragazzo di 25 anni che ha lo spettro autistico. Non è solo, questo è chiaro. Insieme a lui c’è una famiglia composta da mamma, papà e una sorella. “Tutta la famiglia è autistica” – mi dice Mimmo – “Perché quando qualcuno in famiglia è autistico, lo diventano tutti”.
Mio figlio è uno sgusciato
“Ho letto tanti, tantissimi libri sull’autismo, ma mai avrei immaginato di scriverne uno”. Inizia così la nostra intervista, il nostro viaggio. “Poi è successo, ma ho imposto una regola: se lo devo fare, lo farò alla mia maniera”.
E lo ha fatto Mimmo, con leggerezza e ironia, dando vita a un testo fruibile da ragazzi di ogni età dove non mancano i sorrisi, le scene di vita reale e anche sogni di fantasia. Ma non mancano neanche le riflessioni e le domande alle quali proprio Mimmo, come padre di un ragazzo autistico, si pone ogni giorno.
Il libro parla di Mimmo e di Tommaso, che non sono solo padre e figlio, ma due compagni di viaggio inseparabili. Insieme vanno tutti i giorni in gelateria, e non importa se c’è il sole o se l’afa è insopportabile, e neanche se c’è una tempesta torrenziale. Io lo so perché l’ho letto nella prefazione del libro Mio figlio è uno sgusciato. Sette parole e 1/2 sull’autismo.
I motivi, invece, è Mimmo a svelarmeli: “In questo viaggio, che faccio da 25 anni, e che racconto nel libro, ogni tanto torno serio e mi pongo delle domande importanti. Per esempio: ti sei mai chiesta cos’è la felicità per un ragazzo autistico? Io me lo chiedo ogni giorno e posso dirti che Tommi è felice quando mangia il gelato artigianale al cioccolato a latte. E questa è la sua felicità. Così come lo è guardare il suo dvd Disney”.
“Al contrario, invece, so anche cosa non è la felicità per Tommi. Andare in vacanza è qualcosa che non gli piace. Sì esatto, quello che per noi è il momento più bello e più atteso dell’anno per lui si trasforma in disagio. Ripete sempre la parola casa per farci capire che è lì che vorrebbe stare, nel luogo in cui sta bene, dove ci sono tutti i suoi punti di riferimento”.
Un guscio?
Sì esatto. La casa è un guscio, il suo mondo lo è. Ma è necessario che lui esca da questa bolla, per quanto confortevole sia. Da questo deriva il titolo del libro, ma anche il nome del progetto curato dalla fondazione La Tenda Onlus di cui io e mia moglie facciamo parte.
Guscio, superpoteri, scuola, festa, felicità, sfide, domani. Sono sette le parole che usi per raccontare il mondo di Tommi e degli altri ragazzi. Anzi sette e mezzo, l’ultima è una sorpresa. Parliamo di scuola, ti va?
Ci sono tante problematiche sulla quale insisto oggi, come ieri, anche se ormai Tommaso è grande e ha finito le scuole da un pezzo. Ma non potrò mai dimenticare il giorno in cui, per caso, sono passato davanti alla scuola che frequentava mio figlio. Era l’ora della ricreazione e c’erano tutti i bambini divisi in gruppi. Chi giocava, chi correva, chi parlava. E poi ho visto un bambino in un angolo, da solo. Era Tommaso. La scuola non è inclusiva. Tra le parole si leggono tanti buoni propositi, ma nei fatti non è così. Nei fatti mio figlio ha trascorso la maggior parte dei suoi anni in un aula di sostegno. Senza interagire, senza socializzare con gli altri. A questo si aggiunge il problema degli insegnanti di sostegno che purtroppo non hanno la preparazione adeguata per interagire, capire e dialogare con i ragazzi autistici.
E le feste, invece?
Le feste sono quelle a cui Tommaso non è stato mai invitato. Sono quelle che non ha celebrato insieme ai compagni di classe o agli amici, perché sostanzialmente non ne ha. E con questo non voglio dire che non è difficile interagire con un ragazzo autistico, lo è eccome. Però ci sono tanti modi per farlo, e alcuni sono semplicissimi. Io li spiego nel libro, perché è questo lo scopo: sensibilizzare, ma anche dare uno strumento ai giovanissimi per esplorare un mondo a loro ancora sconosciuto.
C’è una parola che più delle altre mi colpisce, ed è “domani”
Che ne sarà di mio figlio dopo di me è una domanda che mi pongo ogni giorno, e che si fa più insistente anno dopo anno. Chi si occuperà di Tommi? Lo farà come lo facciamo io e sua madre? Capirà cosa vuole anche quando non lo dice? Per il domani io punto tutto sull’autonomia, è questo che insegno ogni giorno a mio figlio, per far sì che un giorno possa avere un progetto di vita autonomo, o quanto meno che si avvicini a questo”.
Senza spoilerare troppo, puoi dire ai nostri lettori qualcosa su quella mezza parola con la quale concludi il tuo libro?
La mezza parola è una sorpresa, che fa commuovere e sorridere, che spiazza. Almeno è questo che mi dicono tutti quelli che hanno letto il libro. Ti dico solo che è un viaggio nel viaggio che si discosta dalla realtà e che si perde nella fantasia. Una fantasia in cui Tommi non è Tommi, ed è per questo che non è un sogno ma un incubo. Perché amo mio figlio così tanto, per quello che è, che non lo vorrei mai diverso da com’è.