Giorgio Marchesi è uno degli attori italiani più amati dal pubblico. Protagonista di fiction (e non solo) di grandissimo successo, in pochi mesi lo abbiamo visto interpretare due personaggi di altissimo livello, ma completamente diversi tra loro, Italo Bassi ne La Sposa, accanto a Serena Rossi, e Massimo Munari in Studio Battaglia, con Barbora Bobulova, per citare solo una delle attrici che lavorano con lui in questo legal drama targato Rai.
A noi Giorgio Marchesi ha raccontato della vita sui set, della sua amicizia con Lunetta Savino, tra le protagoniste di Studio Battaglia, di come si è preparato per interpretare i suoi ruoli e quando ha deciso di diventare un attore.
Nella serie di Rai 1, Studio Battaglia, interpreti l’avvocato Massimo Munari: ci racconti del tuo personaggio?
Il mio personaggio è un avvocato divorzista dello Studio Zander, tra i più importanti di Milano, dove arriva a lavorare Anna Battaglia [interpretata da Barbora Bobulova ndr] . Lei e Massimo si conoscono già, perché hanno studiato e convissuto insieme durante gli anni dell’università, per cui sono stati molto amici per cinque anni. Poi lei si è sposata, lui ha fatto la sua vita e si ritrovano dopo diverso tempo a lavorare l’una accanto all’altro. Loro si conoscono molto bene, anche perché convivere quando si è all’università significa condividere quasi tutto.
Come ti sei preparato per interpretare un avvocato?
Ho sentito diversi avvocati che conosco per capire quali sono le situazioni che si trovano a vivere nel quotidiano. Ad esempio uno di loro mi ha raccontato che nel divorzio non serve la grande arte forense, perché di solito si parla di soldi, di figli. È più importante fare “lo psicologo”, perché devi ascoltare tutte le loro storie e poi magari di quello che ti dicono serve solo una piccola parte dal punto di vista legale. Non conoscevo questa funzione anche sociale dell’avvocato.
Come evolve la storia tra Anna e Massimo ora che si sono ritrovati?
Ovviamente non posso dire molto. Ma la loro vicinanza porta a qualcosa. Soprattutto è il mio personaggio che ci tiene, perché Anna è sposata e ha dei figli, quindi in qualche modo è realizzata. Invece Massimo è single e felice, ama divertirsi per Milano, non deve rendere conto a nessuno. Però la presenza di lei lo porta a riconsiderare la sua vita e a rendersi conto della sua solitudine, al di là delle feste e degli aperitivi, perché alla fine quando torna a casa è solo. E soprattutto forse intuisce che Anna è una persona speciale per lui e questo lo mette un po’ in difficoltà, ma al contempo mette in difficoltà anche lei.
Come ti sei trovato in un set prettamente femminile?
Molto bene. Ho lavorato soprattutto con Barbora Bobulova, perché il mio personaggio ha a che fare quasi esclusivamente con lei. Ma non è la prima volta che mi capita di lavorare con molte donne. Anche quando facevo altro, ho avuto molte colleghe e capi donne. Devo dire che è stato un grande piacere: quando si è su un set con molte donne e pochi uomini è sempre piacevole, anzi è quasi un vantaggio.
È vero che sei amico di Lunetta Savino che nella fiction interpreta Marina Battaglia, la madre di Anna?
Sì, ci conosciamo da tanti anni. In più Lunetta è diventata molto amica della mia compagna, Simonetta [Solder ndr]. Quindi ci vediamo spesso, anche al di là del lavoro. Abbiamo fatto anche qualche vacanza insieme.
Per altro entrambi avete lavorato in Un medico in famiglia, anche se forse non vi siete incrociati
Infatti, non ci siamo incrociati. Però abbiamo lavorato insieme in Mine vaganti di Özpetek. Poi l’anno dopo entrai nel cast di Un medico in famiglia, ma lei non c’era più.
Oltre a Studio Battaglia, ti abbiamo visto in un’altra nuova fiction della Rai, La Sposa con Serena Rossi: ci racconti di quella esperienza?
È stata un’esperienza stupenda e molto difficile. Abbiamo lavorato tante ore, in condizioni abbastanza difficoltose, con una grande attenzione. Spesso andavamo oltre l’orario previsto. Il regista [Giacomo Campiotti ndr] pretendeva da noi molte cose che però alla fine sono risultate vincenti. Ed è stato un piacere vedere premiata la qualità del lavoro e la passione che hanno messo tutti quanti nel realizzarlo, parlo di noi attori, della regia, dei costumisti, i scenografi, insomma di tutti i reparti. C’è stata anche una parte di improvvisazione e tutto questo ha dato vita a una storia bella. I compagni di lavoro sono stati magnifici e molto preparati. Serena Rossi e Maurizio Donadoni su tutti con cui ho lavorato di più, ma anche gli altri. È stata forse una delle esperienza più belle che abbia mai vissuto. Il mio personaggio mi piaceva molto e l’ho trovato molto vicino a delle persone che ho conosciuto. Non ho vissuto in campagna ma ho frequentato molto la montagna e la natura. E poi Italo ha avuto una grande evoluzione. All’inizio era depresso, scorbutico e poi è arrivato alla gioia di aver trovato la donna della sua vita e di aver sistemato tutto. Anche se poi è arrivata la mazzata finale, ma questo è un altro discorso. Comunque, per noi attori poter interpretare personaggi così sono fortune.
Hai sempre voluto fare l’attore?
In realtà no. Non dico che sia capitato, però… Mi sono iscritto a un corso di teatro quando avevo 23 anni e alla fine del percorso mi hanno proposto un lavoro. Non sapendo ancora cosa volevo fare nella vita – anzi non l’ho mai saputo – ho accettato e ho cominciato in questa piccola compagnia. Mi sono accorto che mi piaceva e mi divertiva molto, anche se economicamente era un dramma. All’epoca però ero da solo e potevo permettermi di vivere in modo bohémien facendo quello che mi interessava. Adesso con la famiglia sono più “borghese”.
C’è un attore cui ti ispiri?
Ce ne sono diversi che mi piacciono. A seconda del lavoro che faccio, vado a rivedere l’attore più affine. Però si tratta sempre dei grandi. Tra i miei preferiti posso citare sicuramente Sean Penn, Marcello Mastroianni, Gian Maria Volonté: questi sono gli attori che mi sono sempre piaciuti molto. Però ad esempio preparandomi per Italo, ho ripreso alcuni dettagli di James Dean che sono stati molto utili. Naturalmente non si tratta di fare dei paragoni, ma di prende degli spunti. James Dean in particolare ha sempre interpretato personaggi molto ombrosi e per questo per Italo era perfetto.
Dopo Studio Battaglia, hai altri progetti in vista?
Al momento sono in attesa. Ho avuto diverse proposte che però non mi convincevano. Per cui mi sono preso il lusso, come ho fatto altre volte, di rifiutare. Tra l’altro, nel frattempo ero impegnato a teatro con Il fu Mattia Pascal dove ero in scena da solo con un musicista, da cui ho avuto moltissima soddisfazione. Per questo ho preferito prendermi del tempo e aspettare. Veramente spero che capitino presto degli altri progetti interessanti. Nelle scelte mi faccio guidare un po’ dalla pancia e dal desiderio di cambiamento. Per esempio l’anno scorso, mentre giravo La Sposa, ho fatto il provino per Studio Battaglia dove il personaggio che avrei dovuto interpretare era totalmente diverso da Italo. È questo che intendo per cambiamento. A volte capitano lavori interessanti, ma se sono molto simili a progetti appena realizzati, non si ha più voglia di rimanere nello stesso mood. Poi però, come dicevo prima, adesso ho una famiglia da mantenere, quindi prima o poi devo accettare un lavoro [ride ndr].
Lavori per il cinema, la tv e in teatro: dove il tuo essere attore si esprime meglio?
Dipende sempre molto dal progetto. Nel senso che ritornare a teatro è un immenso piacere perché hai un rapporto diretto col pubblico, puoi percepire subito se lo spettacolo piace. D’altro canto, ci sono delle emozioni molto belle anche nell’audiovisivo, che non sto a distinguere tra tv e cinema perché ormai la differenza secondo me è molto piccola, perché quando vedi il progetto finito e montato e ti rendi conto di come si è evoluto il tuo personaggio. La Sposa, per esempio, mi ha proprio reso orgoglioso di quello che ho fatto. Anche in questi casi c’è un contatto col pubblico, che naturalmente è diverso dal teatro, quando incontri le persone per strada, quando ti scrivono e ti fanno capire che il tuo lavoro è stato in qualche modo utile per loro, che li ha emozionati. E questo è successo con La Sposa. Io credo che quello che conti è la qualità di ciò che si fa, per cui non ho una preferenza. Certo cambia un po’ il modo di lavorare.