Elena Radonicich: “Brennero per me è stata una prima volta. Con Martari? Ci siamo trovati subito”

Elena Radonicich, Eva Kofler nella serie "Brennero", ci ha raccontato del suo personaggio, del lavoro fatto sul set. E per la seconda stagione si vedrà

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Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

Elena Radonicich è Eva Kofler  nella serie Brennero, una coproduzione Cross Production e Rai Fiction, che sta avendo un grande successo in prima serata su Rai 1, il lunedì.

Un ruolo da protagonista intorno al quale ruota tutta la storia di Brennero che vede due mondi e due culture contrapposte, quella tedesca, rappresentata proprio da Eva Kofler, alias Elena Radonicich, PM originaria di una facoltosa famiglia, e quella italiana, rappresentata da Paolo Costa, interpretato da Matteo Martari, un ispettore con un passato difficile. I due, costretti a collaborare insieme per catturare il killer di Bolzano, finiranno per influenzarsi reciprocamente.

Elena Radonicich ci ha raccontato del suo personaggio e della responsabilità di un ruolo da vera protagonista intorno al quale ruota tutta la vicenda di Brennero, di cui tutti noi speriamo di vedere la seconda stagione.

In Brennero interpreti Eva Kofler, come ti sei preparata per interpretarla?
È stato un processo di accumulazione, nel senso che si è trattato di un lavoro lento. Ho cominciato a studiare per il provino, mi sono fatta una prima idea, mi sono confrontata coi registi, poi ho incontrato Matteo [Martari ndr] e questo incontro ha cambiato alcune mie convinzioni e percezioni, abbiamo fatto delle letture prima delle riprese, abbiamo lavorato con degli acting coach che ci hanno aiutato a ragionare sempre più in profondità. Personalmente, ho lavorato sul mio personaggio e sul ruolo che ha all’interno della storia, visto che è centrale nel percorso narrativo e ho condiviso in parte la responsabilità del peso di questo personaggio coi registi, perché interagisce con tutti gli aspetti della trama. Eva Kofler è una protagonista a tutti gli effetti della storia e lo è per un tempo prolungato. Ho avuto un supporto con il tedesco, che io ho studiato da ragazza, ma sul set avevamo un coach che ci ha aiutato con la pronuncia. Questo è un aspetto molto importante, per dare credibilità al mio personaggio visto che è madrelingua tedesca. Il resto del lavoro è stato cercare una trasparenza, nel senso che avevo il desiderio di esprimere, di far percepire in trasparenza le difficoltà di Eva, il suo sentirsi inadeguata sotto tutti i fronti, personale e lavorativo, le sue fragilità che lei cerca in ogni modo di nascondere per non diventare facile preda degli altri. Mi interessava che lo spettatore comprendesse il disagio di Eva, nonostante appaia così instradata e rigorosa. Volevo creare un personaggio molto mobile, una figura che si modifica piano piano, come una materia viva che cambia davanti all’occhio dello spettatore.

Qual è la cosa che ti è piaciuta di più del carattere di Eva?
Mi ha interessato la sua incongruenza tra come appare e come si sente. Mi sembrava una contraddizione interessante quella di essere apparentemente ineccepibile, appartenente alla classe sociale più agiata e privilegiata, ma ancora coinvolta in un percorso di crescita tardivo e che dovesse fare i conti con se stessa anche in maniera violenta. Mi sono piaciute molte cose di lei, alcune delle quali ho scoperte man mano, per esempio il suo essere sempre un pochino in ritardo sulle azioni. Mi ha molto divertito sentire il suo imbarazzo nel vivere.

Eva è molto influenzata dal rapporto con Paolo Costa, interpretato da Matteo Martari: che cosa li unisce e che cosa li differenzia?
Li unisce l’ossessione e li differenzia innanzitutto l’appartenenza a due culture diverse, ognuna delle quali ha dei pregiudizi nei confronti dell’altra. Appartengono a due mondi diversi e hanno un passato molto diverso. E ognuno dei due crede di sapere più dell’altro.

Come è stato lavorare con Matteo Martari?
È stato bello perché ci siamo trovati da subito in maniera molto istintiva, abbiamo trovato un linguaggio con cui comunicare e per arricchire i nostri personaggi con tutto quello che non c’era di scritto. Ci siamo divertiti a calibrarci nei ritmi e nei ruoli per trovare un giusto equilibrio tra noi.

Brennero sta avendo un ottimo successo di pubblico, secondo te quali sono i suoi punti di forza?
Siamo molto contenti di come sta reagendo il pubblico, perché non è una serie immediata, per vari motivi, banalmente anche da un punto di visto estetico. Brennero è diversa rispetto ai canoni delle serie che siamo abituati a vedere. Il fatto che l’audience stia crescendo per noi è una grande soddisfazione.
Per quanto riguarda i punti di forza, mi piacerebbe rivolgere questa domanda al pubblico, per sapere che cosa piace della serie. Io ho sicuramente trovato una concomitanza di situazioni molto buone. A iniziare dai registi, Davide Marengo e Giuseppe Bonito, che hanno una lunga esperienza televisiva e cinematografica e si distinguono per cura e qualità e poi sono due persone squisite con cui lavorare. Poi la sceneggiatura ha dei tratti interessanti, perché viene raccontata una storia di confine, non semplice, che contiene un ribaltamento di pregiudizi e l’ho trovata una scrittura, che pur rifacendosi alla tradizione della serialità per esempio nello sviluppo del giallo, dà profondità ai caratteri, creando della sinergia tra i personaggi principali. La produzione è molto attenta alla cura dei propri progetti. Matteo e il resto del cast è molto interessante. Quando si prende parte a un progetto, come una serie o un film, sono tanti i fattori che concorrono nel renderlo interessante. Io ho avuto da subito l’impressione che in Brennero ci fossero tutti gli ingredienti necessari e l’averne fatto parte mi ha molto inorgoglita.

Ci sarà spazio per una seconda stagione?
Non lo so, io spero di sì. La serie è costruita in modo tale che esistano entrambe le possibilità, tutte e due plausibili. Penso che adesso dipenda dal riscontro del pubblico. A me piacerebbe molto.

In tv hai lavorato in molte serie di successo, da 1992 a Sopravvissuti, da La porta rossa a Il grande gioco: c’è tra i personaggi che hai interpretato uno che ti sta particolarmente a cuore?
Per fortuna ho avuto molte esperienze lavorative interessanti. Ricordo con entusiasmo il film per Rai 1 Fabrizio De André – Principe libero, dove io interpretavo Puny, la prima moglie del cantautore. Fu un  incontro davvero bello con tutti gli attori, gli sceneggiatori, il regista e Dori Ghezzi che veniva spesso sul set. La porta rossa, specialmente la prima stagione, è stata una figata, per tantissimi motivi che si sono intersecati anche con la vita privata, tra l’altro siamo tutti amici ancora adesso. 1992 è stata la prima serie tv importante cui ho preso parte e credo che sia una delle migliori che sia stata fatta in Italia. E poi a seguire 1993 e 1994. E non ultimo, Il grande gioco, la mia prima grande occasione da protagonista. Questo per quanto riguarda la televisione. Comunque in quasi tutte le serie cui ho partecipato, c’è stato qualcosa per cui ne è valsa la pena. È chiaro che Brennero è una prima volta per me, per l’importanza del mio ruolo.

Al cinema interpreti Letizia Laurenti, la moglie di Berlinguer in Berlinguer – la Grande ambizione, che tra l’altro sarà al Festival di Roma: ci racconti di questa esperienza?
Siamo in concorso ed è il film di apertura del Festival di Roma. Non ho ancora visto il film, però è stata un’esperienza entusiasmante. Come mi è successo per il film su De André, ho avuto la sensazione di toccare una materia importante, mi sono resa conto di partecipare a un progetto in cui ho sentito una responsabilità. Andrea Segre ha poi un modo di girare molto bello e libero, con Elio Germano ho già avuto la fortuna di lavorare altre due volte, amo stare in scena con lui perché è un attore che fa accadere le cose e lascia spazio alla vita. Sono entusiasta di questo progetto.