Cristina Donadio: “La malattia non è mai stata il contenitore della mia vita”

Cristina Donadio ci ha raccontato del tumore al seno e di come Scianel, il personaggio che interpreta in "Gomorra", sia diventata il suo costume da super eroe

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

Cristina Donadio è una delle attrici italiane più amata. Il suo personaggio, Scianel, della serie Gomorra, ha fatto storia. Il 6 luglio 2015 ha ricevuto la diagnosi di tumore al seno. Lei ce l’ha fatta ed è scesa in campo al fianco di AIRC nella campagna Nastro Rosa nel 2020 per il progetto TITS UP!.

E proprio in occasione dei Giorni della Ricerca tornano I Cioccolatini di Fondazione AIRC per rinnovare il sostegno e la fiducia a 5mila ricercatori al lavoro per trovare diagnosi sempre più precoci e trattamenti più efficaci per tutti i pazienti.

A noi Cristina Donadio (leggi la nostra intervista di maggio 2020) ci ha raccontato della sua esperienza, di come ha vissuto questa “disavventura”, del film La scelta diretto da Giuseppe Alessio Nuzzo. Presentato in anteprima mondiale alla Mostra del cinema di Venezia, in concorso nella sezione per Giovani Artisti Italiani (G.A.I.), che narra in un unico piano sequenza pensieri, ricordi e quotidianità di una vita condivisa con il cancro.

Come è nata la tua collaborazione con AIRC? Qual è il messaggio che vuoi dare alle donne con la tua testimonianza?
AIRC è una realtà dalla quale non si può prescindere. Mi sono subito unita a loro appena mi hanno contatta. Trovo che sia necessario sostenere un’associazione che si occupa di ricerca contro il cancro. Insieme alla prevenzione, la ricerca è l’unico modo che abbiamo per arrivare a sconfiggere il cancro.
Io non voglio lanciare messaggio, io racconto il mio vissuto, racconto quella che è stata la mia esperienza con questa disavventura. Se poi il mio racconto può servire ad aiutare anche una sola persona a sentirsi meglio nell’affrontare un momento difficile, questa cosa mi avrà gratificato, avrà dato un senso al mio parlarne. Non bisogna mai dar niente di scontato in questo ambito. Io sto qui a raccontare la mia storia, l’ho fatto in un corto, La scelta, e in altre occasioni, però c’è tanta gente che non ha avuto modo di parlare della sua storia, perché è stata sconfitta dal male o sta ancora combattendo. Io non posso fare altro che parlare di me. Quello che faccio non è mandare un messaggio, ma esprimere il mio pensiero che è questo: la malattia non dovrebbe mai essere il contenitore della nostra vita, ma uno dei contenuti, perché se è il contenitore allora prende troppo spazio nella nostra anima e nelle ore della nostra giornata. Così ho vissuto l’esperienza del tumore.

Come il racconto della tua esperienza può aiutare altre donne che stanno lottando contro la malattia?
Io sto raccontando la mia storia, ma non è detto che sia uguale a qualsiasi altra storia. In questo campo, ognuno vive questo cortocircuito, questa avventura umanamente e caratterialmente in un modo diverso. L’unica cosa che ci mette sullo stesso piano è il percorso medico da seguire, però il modo di affrontarlo è differente, perché ognuno lo vive con la sua anima. Io la malattia non l’ho messa in cima a tutti i valori della mia vita, ma l’ho messa insieme a tante altre cose. Ho continuato a vivere senza perdere di vista gli altri aspetti della mia esistenza.
Ribadisco, io parlo di quello che è successo a me e mi è andata bene. Ho finito adesso di fare i controlli o meglio ho fatto tutte le analisi per i controlli dei primi 5 anni e adesso sono in attesa dei risultati: ecco questo è il momento universale, perché chiunque è stato colpito dalla malattia condivide lo stesso stato d’animo di insicurezza e di paura di rivivere i giorni in cui tutto è cominciato. Io adesso mi sento esattamente così e in questo momento sono vicina a tutte le donne che hanno vissuto o stanno affrontando un cancro al seno. Il momento dei controlli è il più delicato.
Invece, trovo che bisognerebbe cominciare a educare le persone che vivono attorno a chi è malato. Infatti, molte volte cambia il loro sguardo sulla persona che ha scoperto di avere questo problema e che già si sente in bilico, come sul baratro. Chi gli sta vicino dovrebbe essere educato a far trasparire quanto meno possibile le proprie emozioni. Io ricordo di aver litigato con amiche carissime – poi ho fatto pace naturalmente – perché c’era in loro una sorta di ansia già dalla voce. Quest’ansia fa quasi sentire la persona malata in imbarazzo. È questo che ti fa passare la voglia di parlarne. Anche se è per amore, questa drammaticità non fa bene.

Mentre ti curavi che cosa ti ha aiutato a ritrovare la normalità perduta?
Sono stata aiutata da Scianel. Quando ho scoperto di avere il tumore ero impegnata nelle riprese della seconda stagione di Gomorra. Se avessi detto subito quello che mi stava capitando, ci sarebbe stato sicuramente un percorso diverso. Nel senso che proprio per amore e protezione, avrei cominciato a sentirmi dire da uno dei registi, erano quattro, ‘No Cri, questa cosa non farla; è tardi vai a dormire’. E questa cosa mi avrebbe dato il senso della sconfitta. Mentre, Scianel era il mio vestito da super eroe che potevo mettermi per poter affrontare questa cosa ma anche per vivere la mia fragilità quando tornata a casa magari potevo piangere o chiedere coccole, sfilando questo costume.
Mi sono operata e sono tornata sul set e nessuno ha saputo niente. Poi c’è stata la terza stagione e nessuno ha saputo niente. In quel caso, perché in accordo con l’oncologo, dopo l’operazione ho posticipato la chemioterapia, cominciandola quando erano finite le riprese di Gomorra. Così, ho potuto togliere definitivamente l’abito da super eroe di Scianel. E poi ho potuto raccontare la mia esperienza, perché ormai ero fuori dalla possibilità di sentirmi troppo proteggere a scapito di quello che era il mio personaggio che invece doveva essere una iena che non guarda in faccia a nessuno e tira dritto per la sua strada.

La malattia ha cambiato o influenzato il tuo modo di rapportarti a Scianel e ai personaggi che interpreti?
No. Ricordo che l’inizio della chemio è coinciso col primo giorno di prove per uno spettacolo teatrale. Quindi arrivai un po’ in ritardo, il regista sapeva. Però, feci una sorta di annuncio alla compagnia perché qualcuno già mi guardava un po’ storto e dissi: ‘Perdonatemi, non sono arrivata in ritardo per capriccio né perché mi sento Scianel, ma ho cominciato oggi a fare la chemio e siccome la devo fare per un po’, potrebbe capitare ancora che arrivi in ritardo o che mi sieda perché sono stanca. Però, se devo sentirmi male, preferisco stare con la mia famiglia teatrale, piuttosto che da sola a casa’. Questo è accaduto 5 anni fa. Facendo l’attrice da 40 anni, ormai ho imparato ad avere la distanza sicurezza dalle cose belle, perché anche il successo può destabilizzare, così come dalle cose brutte. Io ho perso mio marito, attore, in un incidente stradale, e mi sono ritrovata a dirmi che questa cosa non poteva cambiare la mia scelta e il mio modo di fare l’attrice e ho continuato sempre nel bene e nel male. Anzi il teatro è consolatorio, perché ti mette a contatto nella parte più nascosta dell’anima. Questa analisi l’ho fatta anche per interpretare Scianel, sono andata a cercare gli archetipi del male, l’ho paragonata nel mio lavoro di costruzione a Clitennestra, a Medea, certo non a una camorrista. Il teatro ti mette in condizione di capire cosa è la vita nel bene e nel male.

Hai fatto la tua Scelta, proprio come il titolo del film di cui sei protagonista e in cui racconti la tua esperienza. È stato difficile farlo?
Sì, lo è stato. Primo perché è un racconto di qualcosa di difficile che è stato doloroso rivivere, poi perché per un attore raccontare di sé, ha sempre il rischio di cadere nell’autoreferenzialità. Il regista, Giuseppe Nuzzo, è stato bravo a convincermi, abbiamo cambiato diverse cose. Alla fine ha scelto di utilizzare solo le mie parole, ha studiato e raccolto tutte le interviste in cui ho parlato della mia disavventura, le ha composte trasformandole in un monologo, come se fosse un flusso di pensiero di una donna che deve andare a fare gli esami di controllo, e poi sì anche di un’attrice. Alla fine quando l’ho visto, mi sono commossa, perché ho capito che avevamo raccontato uno stato d’animo universale, al di là della vicenda.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho due film da fare che sono scivolati a gennaio. Uno è di Francesco Patierno che è una riduzione della Peste di Camus, però ambientata a Napoli durante il lockdown. Abbiamo cominciato le riprese, ma ci siamo dovuti interrompere. Comunque, è in essere. L’altro film, con Beppe Servillo, è una bellissima storia di sentimenti che racconta il rapporto ingarbugliato tra un fratello e una sorella. Lui è un prete, mentre lei insegna danza e pian piano si scoprono i loro segreti, il perché dell’avversione di questo fratello verso la sorella e tutto quello che ne deriverà.