“Sono morto a 6 anni”: la sensibilità di Mattia che non abbiamo saputo capire

Il suicidio di Mattia ad appena 15 anni deve far riflettere su quelli che sono i tormenti interiori degli adolescenti, troppo spesso ignorati

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Redazione

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A 15 anni si pensa di avere in mano il mondo, che basti poco per essere felici e che ogni giornata sia spensierata e priva di preoccupazioni. In realtà questa è una visione che noi adulti abbiamo deciso di avere dimenticandoci troppo presto com’è effettivamente essere adolescenti.

Insicurezze, paure, dubbi sono sempre dietro l’angolo, nascoste da una facciata di allegria. A questa età però si è particolarmente sensibili e ci sono dei ragazzi che lo sono ancora più degli altri. Quindici anni possono sembrare pochi, ma in realtà sono tantissimi se si ha la percezione di vivere una vita che non ti appartiene. Mattia era un adolescente dall’animo tormentato, un ragazzo sensibile, ma di quella sensibilità che lo faceva sentire diverso e non capito.

Era gentile e affettuoso, due aspetti del carattere che rendono orgoglioso ogni genitore come lo erano la sua mamma e il suo papà e avrebbero dovuto fare la differenza nei suoi rapporti e nelle sue amicizie. Purtroppo non è stato così, anzi proprio questo carattere è stato frainteso e interpretato nel modo peggiore possibile, come se la società di oggi non riuscisse a capire quali sono i valori da premiare.
Sì, perché Mattia si sentiva incompreso dalle persone che lo circondavano, da quelle stesse persone che avrebbero dovuto proteggerlo e farlo sentire importante, ma che al contrario lo hanno bullizzato, umiliato, distruggendo poco alla volta la sua autostima.

Perché ho raccontato tutto questo? Perché io e mio marito siamo stanchi di sentire che la morte del nostro bambino viene trattata dai nostri concittadini come un pettegolezzo da bar. Mio figlio era un bambino di 15 anni, era deluso dagli adulti, dalle istituzioni , le stesse che non hanno reputato neanche di dover proclamare il lutto cittadino, nonostante il mio bambino abbia scelto un parco cittadino, diventato luogo degradato per porre fine alla sua vita ( non lo ha fatto a caso)! Nostro figlio non era altro che un figlio amatissimo a cui il buio ha tarpato le ali. Nostro figlio poteva essere uno dei vostri figli; il figlio del sindaco, dello psicologo e di chi risponde al maledetto telefono di un reparto di neuropsichiatria infantile. I pensieri di nostro figlio, possono essere quelli dei vostri e loro figli e chiunque potrebbe ritrovarsi come me e Christian, disperati per non essere riusciti a salvare il proprio figlio. (Emanuela, mamma di Mattia)

Il dolore per non essere compreso a volte ha radici ben profonde e nel caso di Mattia è iniziato prestissimo, a sei anni, quando ognuno di noi dovrebbe solo pensare a giocare e a scoprire il mondo con gli occhi innocenti di questa età. Ma Mattia che amava abbracciare gli amici ed esprimere la sua vivacità ha dovuto imparare fin da subito cos’è la cattiveria gratuita che non si augura neanche agli adulti, figuriamoci a un bambino innocente. Questo dolore era così profondo da fargli scrivere addirittura una frase inimmaginabile per la sua età: “sono morto a 6 anni”.

Questo stato d’animo lo logorava talmente tanto che nel corso degli anni è andato ad acuirsi, purtroppo non sapremo mai quanto dolore provasse, quanto ogni rifiuto e ogni esclusione lo facessero soffrire.

La mamma di Mattia ne è convinta, la solitudine di suo figlio e il fatto di sentirsi etichettato lo hanno logorato ogni giorno di più. Sarebbe bastata una telefonata o un messaggio per sapere come stava e forse oggi Mattia potrebbe ancora riempire le giornate dei suoi cari con tanti sorrisi.

Sono passati tre mesi dalla morte di Mattia e noi tutti dobbiamo fare un passo in più, perché Mattia non è stato, non è e non sarà l’unico a vivere questo disagio. In Italia ci sono tanti altri Mattia, chiusi nella loro solitudine e indifferenti agli occhi degli adulti. Il nostro compito è quello di intuire quando qualcosa nella vita di questi adolescenti si è spezzato, capirli e immedesimarsi nel loro dolore, perché il minimo malessere può nascondere qualcosa di più profondo.

A 15 anni non è facile affrontare il mondo, non si ha ancora una propria identità e non si ha la corazza abbastanza forte per difendersi dal male degli altri, in fondo spesso neanche gli adulti ce l’hanno. A volte basta una piccola gentilezza e la voglia di comprendere realmente chi abbiamo di fronte, senza pregiudizi, perché deve esserci soltanto il rispetto quando non si conoscono le storie degli altri.