Pamela Genini, uccisa a Milano dall’uomo che non accettava la fine

Aveva 29 anni e voleva lasciarlo. È stata colpita a morte sul terrazzino di casa dopo aver chiesto aiuto: il suo assassino ha tentato il suicidio

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Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

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Milano, 14 ottobre. Pamela Genini, 29 anni, è stata uccisa a coltellate dal compagno Gianluca Soncin, 52 anni, sul terrazzino del suo appartamento in via Iglesias, zona Gorla. L’uomo, dopo averla colpita più volte, ha tentato di togliersi la vita ferendosi alla gola. È ricoverato in ospedale, piantonato dagli agenti, ma non in pericolo di vita. La giovane, originaria di Strozza, in provincia di Bergamo, viveva a Milano da tempo. Ieri sera, secondo la ricostruzione degli inquirenti, aveva accettato di incontrare Soncin per un chiarimento: voleva lasciarlo. Il confronto è degenerato in tragedia. Intorno alle 22, le urla di Pamela hanno attirato l’attenzione dei residenti dello stabile accanto. Alcuni hanno assistito all’aggressione in diretta, vedendo l’uomo colpirla più volte con un coltello da cucina. “L’ammazza, l’ammazza”, hanno gridato al telefono al 112, mentre gli agenti si precipitavano sul posto.

Quando la polizia ha sfondato la porta, per Pamela era troppo tardi. Aveva appena risposto al citofono pronunciando la parola “Glovo”, fingendo una consegna per cercare di guadagnare tempo. Probabilmente sperava che lui non sospettasse l’arrivo della polizia, ma non è riuscita a premere il pulsante di apertura: è stata bloccata e colpita a morte.

Pochi minuti prima aveva telefonato al suo ex fidanzato per chiedere aiuto. “Ho capito che stava per succedere qualcosa di grave, ha raccontato l’uomo, voleva liberarsi di lui”. Quando è arrivato in via Iglesias, Pamela era già morta.

L’appartamento è stato posto sotto sequestro e la polizia scientifica ha eseguito i rilievi. Gli inquirenti stanno ricostruendo la dinamica e il numero preciso delle coltellate. Sembra che la relazione tra Pamela e Soncin durasse da circa un anno, ma già da mesi la convivenza fosse segnata da litigi e minacce. Durante una vacanza all’Isola d’Elba, lui avrebbe persino minacciato di ucciderle il cane. Una vicina di casa ha raccontato di una lite violenta avvenuta sei mesi fa, ma non risultano denunce formali a carico dell’uomo.

Con la morte di Pamela Genini, il numero dei femminicidi in Italia nel 2025 sale ad almeno settanta: settanta donne uccise in dieci mesi, secondo l’osservatorio di Non Una di Meno.
Settantasette, se si contano anche i suicidi indotti. Un bollettino di guerra civile che non conosce tregua.

Ancora un femminicidio.
Ancora una ragazza uccisa per mano di chi diceva di amarla. Ma chi toglie la vita a una donna non l’ha mai amata davvero. L’ha solo voluta possedere. Perché chi ama non uccide, chi ama lascia libero anche di essere lasciato.

Pamela Genini aveva ventinove anni, un cane, dei sogni, e una vita che stava cercando di riprendersi. È morta sul terrazzino di casa, sotto gli occhi di chi l’ha vista chiedere aiuto e non ha potuto fare nulla. Ha avuto il tempo di pronunciare una parola – “Glovo” – per cercare di ingannare il suo assassino e guadagnare qualche secondo. Ma non è bastato.

Aveva capito che stava per morire, aveva chiamato il suo ex ragazzo per chiedere aiuto, aveva già vissuto la paura di un uomo che in vacanza le aveva persino minacciato di ucciderle il cane. Eppure, non siamo riusciti a salvarla.

Perché? Perché nel 2025, dopo settanta femminicidi in dieci mesi, una donna di ventinove anni continua a morire per mano di un uomo di cinquantadue che non accetta la fine di una relazione?

Il copione è sempre lo stesso, e non cambia mai: il possesso, la gelosia, l’incapacità di accettare un no. Passano i giorni, aumentano le croci. E se non riusciamo a fermare questa mattanza, significa che qualcosa non funziona alla base: leggi incerte, pene non scontate, una cultura che ancora giustifica o minimizza.
In un Paese dove a volte costa più divorziare che uccidere, c’è davvero tanto, troppo da cambiare.