Il suo nome era Donatella Colasanti e la sua dolorosa eredità pesa come un macigno sull’intera società. Probabilmente qualcuno ricorderà il suo nome, sicuramente lo farà la generazione degli anni ’70, perché dimenticare è impossibile. Il nostro doveroso è il compito di ricordare la sua storia e quel testamento tacito che ha lasciato nelle mani di tutti noi.
Donatella è la donna che è sopravvissuta al massacro del Circeo nel 1975, il tragico evento cui è ispirata la fiction Rai con Greta Scarano. A quei tempi, però, era solo una ragazzina, alla quale è stato portato via tutto a causa del delirio di onnipotenza e della violenza estremista di tre ragazzi provenienti da famiglie per bene. Ma il male, si sa, può insinuarsi ovunque.
E Donatella quel male lo aveva incontrato, lo aveva visto in faccia e lo aveva affrontato, a modo suo. Ma la vita non gli ha offerto una seconda possibilità, così il 30 dicembre del 2005, la donna si è spenta a causa di un tumore al seno. Gli incubi prima, e la malattia dopo, però, non le hanno mai impedito di chiedere giustizia. Per lei, per la sua amica alla quale hanno strappato via la vita, e per tutto quello che era successo in quella villa del Circeo il 29 settembre di tanti anni prima.
L’invito alla festa, l’inganno, il massacro
Quel volto insanguinato che fa capolino dal bagaglio di una Fiat 127 bianca, immortalato da un fotografo che si trovava nei paraggi di Via Pola quando Donatella è stata ritrovata, è diventato il simbolo di uno dei capitoli più oscuri della cronaca nera del nostro Paese.
Dopo due giorni di torture, violenze e abusi sessuali, Donatella Colasanti era sopravvissuta. La sua amica, invece, non ce l’aveva fatta. Gli aguzzini, di quello che è stato ribattezzato come il massacro del Circeo, erano tre ragazzi della Roma bene rispettivamente di 19, 20 e 22 anni, militanti di estrema destra.
Negli anni del tramonto dell’adolescenza, come capita ogni giorno, i ragazzi incontrano le ragazze. Si cercano, si trovano e scelgono di trascorrere del tempo insieme. Così Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, di 19 e 17 anni, lo hanno fatto. Conoscono tre ragazzi, con loro sorridono e accettano l’invito a partecipare a una festa. Del resto che male c’è?
Tutto è cominciato una settimana fa, con l’incontro con un ragazzo all’uscita del cinema che diceva di chiamarsi Carlo, lo scambio dei numeri di telefono e la promessa di vederci all’indomani insieme ad altri amici. Con Carlo così, vengono Angelo e Gianni, chiacchieriamo un po’, poi si decide di fare qualcosa all’indomani, io dico che non avrei potuto, allora si fissa per lunedì. L’appuntamento è per le quattro del pomeriggio. Arrivano solo Angelo e Gianni, Carlo, dicono, aveva una festa alla sua villa di Lavinio, se avessimo voluto raggiungerlo… ma a Lavinio non arrivammo mai.
Il racconto di Donatella Colasanti su lastoriasiamonoi.rai
E invece quella festa si è trasformata in un incubo, un biglietto di sola andata verso l’inferno creato da Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira. I tre sequestrano le ragazze, le picchiano, le violentano, le seviziano per ore e ore. Poi, forse stanchi o annoiati da quel gioco premeditato, scelgono di uccidere Rosaria Lopez – l’autopsia rivelerà che la causa della morte è stata l’asfissia da annegamento. E non risparmiano certo Donatella. Ma lei non muore, no. Gioca d’astuzia e fingendosi esanime si salva.
Ma i tre ragazzi non lo sanno. Sono convinti che quel gioco malato e perverso sia ufficialmente concluso. Così mettono i corpi delle due ragazze nel bagagliaio della 127 e scelgono di tornare nella Capitale. Arrivati in città, lasciano l’automobile in via Pola e tornano alle loro vite. Ma Donatella, che intanto era rimasta vigile, inizia ad urlare dal bagagliaio fino a farsi sentire da un metronotte. Era salva.
I ragazzi del massacro vennero presto identificati e arrestati con l’accusa di omicidio volontario, violenza sessuale e sequestro di persona. E se giustizia sembrava fatta quando nel luglio del 1976 i giudici li condannarono all’ergastolo, quello che è successo dopo ha cambiato le carte in tavola.
Andrea Ghira non fu mai catturato, fuggì all’estero e morì fuori dall’Italia per overdose nel 1994. Nel 2009 Gianni Guido uscì dal carcere. Anche Angelo Izzo riuscì a scontare la pena grazie a permessi premio. E quella scelta segnò un altro evento tragico: l’uomo uccise ancora, questa volta le sue vittime furono una madre e sua figlia di soli 14 anni. Oggi Izzo è in carcere e sta scontando il suo secondo ergastolo.
Il testamento silenzioso di Donatella Colasanti
Quella tragedia era evitabile e Donatella lo sapeva. Lei aveva chiesto più e più volte di non farlo uscire dal carcere. Aveva scritto all’allora presidente Ciampi, ai politici e ai ministri. Si era esposta in prima persona con questori e prefetti con un’unica richiesta: di avere giustizia, di non fare uscire i suoi aguzzini dal carcere.
Perché lei li conosceva. Li aveva guardati negli occhi mentre con violenza la picchiavano e la violentavano. Uccidevano la sua amica. Lei non li aveva dimenticati, del resto come poteva? Quella ferita nel suo cuore è diventata con il tempo quella di una società intera che non ha saputo fare giustizia. Una ferita che sanguina ancora oggi come un ammonimento per tutto quello che è stato e che non è stato. Perché alla fine di tutta questa storia, sembra che chi abbia pagato davvero siano state solo le due ragazze.
E poi eccole le ultime parole dalla sopravvissuta del massacro del Circeo, di quella combattente che è stata stroncata dal tumore troppo presto. “Dobbiamo batterci per la verità”, ha detto, lei che non ha mai smesso di farlo, in prima persona, per questi 30 lunghi anni. Le ultime parole di Donatella sono un’eredità, il testamento che dobbiamo accogliere. Affinché quel terribile episodio di cronaca nera non venga mai dimenticato.
Il compito è portato avanti da Letizia, la sorella di Rosaria Lopez, che ha assicurato che continuerà a combattere per loro, per quelle ragazze a cui è stata strappata l’anima e la vita tra il 29 e il 30 settembre del 1975: “Provo rabbia che Donatella sia morta senza avere giustizia”. La rabbia di Letizia Lopez si rivolge anche alla nuova fiction: “Stanno raccontando la nostra vita, e non siamo stati chiamati a dire com’erano andate le cose. Non si può farlo solo con gli atti del tribunale. Non contiamo nulla, non siamo stati informati se non a cose fatte” si è sfogato sul Fatto Quotidiano.