Aggiornamento del 22 febbraio 2024 – L’assassino di Carol Maltesi è stato condannato all’ergastolo. Davide Fontana, bancario 45enne, due anni fa uccise la ragazza e la fece a pezzi. La Corte d’Assise ha riconosciuto le aggravanti della premeditazione e della crudeltà.
Quante volte si può morire in una vita sola? Quante volte si può essere uccisi? La storia di Carol Maltesi, in arte Charlotte Angie, come tutti tendono a sottolineare quando si parla di questa tragedia, ci insegna che la morte non è solo quella che conosciamo. E lo fa nel peggiore dei modi. Lo fa con una narrazione quasi morbosa da parte degli altri, con una spettacolarizzazione della tragedia che, come un beffardo scherzo del destino, si trasforma nell’ultimo spettacolo di Carol.
Lei che di fare spettacoli hard voleva smettere per il figlio, almeno così dichiarano le amiche. Lei che aveva iniziato a lavorare per mantenere se stessa e quel bambino che aveva avuto quando aveva solo vent’anni. Lei, che indipendentemente da quello che si dice oggi, poteva scegliere di smettere o di iniziare ogni volta che voleva perché la vita era la sua. Sempre lei che ora appare sui titoli di giornali come sex worker, attrice hard e pornostar.
Come se questa categorizzazione professionale fosse l’occhiello del suo tragico destino. Come se tutta quella violenza efferata, barbara e incomprensibile potesse essere giustificata in qualche modo dal suo lavoro. Come se quel giorno d’inverno fosse morta solo Charlotte la pornostar, e non Carol la mamma, Carol la donna dimenticata da tutti e da tutto.
A ucciderla è stato Davide Fontana, il banchiere di professione che per passione era anche un blogger. Il ragazzo della porta accanto, di aspetto e di fatto, dato che di Carol era vicino di casa. E anche ex fidanzato.
E dunque chi è la vittima? Chi è il vero mostro di questa storia? Carol Maltesi che aveva scelto di essere se stessa e vivere come voleva o Davide che dopo aver ucciso la donna, l’ha sepolta per mesi in un congelatore facendola a pezzi e ha usato il suo cellulare fingendosi lei nel rispondere agli sms di parenti e amici? O forse siamo noi che non abbiamo fatto altro che cercare una motivazione in questo omicidio nascondendoci ancora una volta dietro al falso perbenismo che invade la nostra società?
Un perbenismo che aveva in qualche modo già fatto a pezzi Carol tanto tempo fa, quando lei stessa aveva dichiarato che a seguito dell’avvicinamento all’industria pornografica era stata critica e giudicata dagli altri. Perché una mamma non può essere considerata tale se sceglie di fare quello che vuole, se sceglie di vivere come viveva Carol. Lei che parlava di violenza psicologica sulle donne, lei che l’aveva vissuta sulla sua pelle.
E poi Carol è stata uccisa di nuovo con la violenza fisica che ha un nome e un cognome: quello di Davide Fontana. Lui l’ha uccisa due volte, la prima in preda a un raptus, lui dice, la seconda con lucidità, quando ha deturpato e sezionato meticolosamente il suo corpo prima di gettarlo via come se fosse spazzatura.
Intanto anche gli altri la stavano uccidendo, con l’indifferenza. Accontentandosi di quei pochi sms inviati dal cellulare di Carol scritti invece dal suo assassino, nell’arco di quei settanta giorni trascorsi tra l’omicidio e il ritrovamento dei resti del cadavere. Mentre lei era già morta, dimenticata.
E poi l’abbiamo uccisa noi, con quell’attenzione ossessiva di riportare e conoscere tutti i dettagli di una storia dell’orrore che nessuno dovrebbe mai leggere, dettagli che passavano inevitabilmente sulla vita di lei. Non di quella di Carol Maltesi, ma di quella di Charlotte Angie, la donna delle foto hard. Perché così, forse, poteva essere più facile giustificare quello che le hanno fatto. Perché così, forse, avremmo potuto dimenticare che Carol è l’ennesima vittima di femminicidio. È la mamma dimenticata da tutti.