Negli anni ’70, in un piccolo comune in provincia di Crotone, nasceva tra l’insanguinata attività della ndrangheta Lea Garofalo, vittima della sua stessa famiglia. Nonostante i tentativi di cambiare vita, per dare un futuro diverso e migliore a sua figlia, viene uccisa proprio dal suo ex marito e padre della figlia Denise. Questa è la storia di una donna che ha provato a cambiare la storia del nostro Paese, e che abbiamo il diritto e il dovere di ricordare.
Indice
L’amore con Carlo Cosco e la nascita di Denise
Nata a Petilia Policastro il 24 aprile del 1974, Lea Garofalo si ritrova fin dalla nascita a pagare le conseguenze del suo cognome e delle scelte della sua famiglia. Resta orfana di suo padre a soli 9 mesi e perderà anche suo zio intento a fare vendetta. Perché la famiglia Garofalo fa così.
Cresce così, Lea, tra agguati e rivendicazioni, guerriglie e pistole. E poi conosce l’amore, a soli 14 anni. Si tratta di Carlo Cosco, una giovane leva dell’organizzazione criminale della ‘ndragheta che frequenta casa Garofalo. Ma se per lei si tratta di una vera relazione, la prima, per il ragazzo è l’occasione di entrare ufficialmente negli affari della famiglia. E ci riesce.
Carlo, più grande di Lea di quattro anni, viene mandato a Milano per gestire il traffico di droga dei Garofalo. E Lea, che di lui è innamorata, lo segue. Nel 1991, a soli diciassette anni, la ragazza mette al mondo Denise, la loro primogenita. Ma non passa molto tempo dal trasferimento quando Lea capisce che quella casa in Via Montebello non è la sua via di fuga felice e che, anzi, la situazione non è così diversa da quella che vissuta a Petilia Policastro.
Ma sua figlia non deve vivere così, merita di più. Lea lo sa e vuole cambiare le cose. Così, quando Carlo viene arrestato nel 1996, Lea va in carcere e gli comunica la decisione di voler abbandonare la loro casa. Ma l’uomo non solo le vieta di farlo, ma la aggredisce.
È un punto di non ritorno: Lea decide comunque di partire con Denise e insieme a lei di trasferirsi a Bergamo. Sembra andare tutto bene, finalmente, fino a quando la macchina della donna viene fatta bruciare. È stato Floriano, suo fratello, che non ha accettato la decisione di Lea di allontanarsi dalla famiglia.
L’allontanamento dalla famiglia e dalle origini
Lea torna a Petilia Policastro con la speranza di ricominciare insieme a sua figlia, ma la situazione sembra peggiorare, anche a causa delle aggressioni di Floriano ai suoi danni. Così capisce che non ha scelta e si rivolge ai carabinieri. Lea diventa una testimone di giustizia e, insieme a Denise, entra nel programma di protezione testimoni.
Dice addio a tutto: alla sua famiglia, alle sue origini, al lavoro e ai suoi amici, ma soprattutto al suo cognome. Quando nel 2005 il fratello Floriano muore, per le autorità non c’è più pericolo per la donna e sua figlia. Così vengono escluse dal programma testimoni. Ma Lea ha paura, non si sente al sicuro. Soprattutto ora che Carlo è uscito di prigione e ha cercato di contattarla.
Sono gli anni in cui conosce Don Luigi Ciotti, sarà lui ad aiutarla e a presentarle l’avvocato Enza Rando che le starà accanto per tutta la vita. Lea rientra così nel programma testimoni, per soli quattro anni. La donna è ormai stanca di combattere, ha come la sensazione che nulla sia cambiato e mai cambierà.
Il tentato rapimento
Rimasta senza lavoro e senza soldi, decide di tornare in Calabria per offrire una tregua a Carlo. Chiede il suo aiuto per il bene di Denise. L’ex marito accetta e, anzi, fornisce a Lea e a Denise un appartamento a Campobasso dove ricominciare.
Ma quel nuovo inizio è solo un’illusione: il 5 maggio del 2009 Massimo Sabatino, assunto proprio da Carlo, si spaccia per tecnico della lavatrice per entrare in casa: in realtà vuole rapire e uccidere Lea. Grazie alla presenza di Denise in casa quella mattina, che non è andata a scuola, la donna si salva.
L’omicidio
Passano alcuni mesi e Carlo propone a Lea una tregua, l’ennesima. La invita a Milano, e nonostante l’avvocato Rando e le persone che le sono a fianco le sconsigliano di andare, la donna decide di farlo e di fidarsi. I primi due giorni sembrano darle conferma: i rancori del passato sono ormai andati, adesso quello che conta è il futuro di Denise.
Ma la sera del 24 novembre del 2009, Denise viene portata via con la scusa di andare a trovare i cugini e gli zii. Lea resta sola con Carlo nell’appartamento in Corso Sempione, e da quello non uscirà viva. Viene picchiata e strangolata, il suo corpo viene poi lasciato a Vito Cosco e Carmine Venturino che si occuperanno di farlo sparire.
Carlo raggiunge Denise e racconta alla figlia che sua madre, dopo averle chiesto dei soldi, è fuggita via. Ma lei non gli crede, neanche per un istante, e si rivolge ai carabinieri che avviano le indagini. In quelle settimane la ragazza conosce Carmine Venturino, collaboratore del padre con l’incarico di tenere d’occhio la ragazza, che diventerà il suo fidanzato. Denise non può sapere che è stato lui a sciogliere nell’acido il corpo della madre ormai privo di vita.
Il processo e i funerali civili
Le indagini procedono e si va verso il processo. Le associazioni contro le mafie partecipano alle udienze, manifestano fuori al tribunale e sostengono Denise, ormai rimasta sola. Dopo varie peripezie, il 30 marzo del 2012 il processo si conclude con la condanna all’ergastolo di Carlo Cosco, Giuseppe Cosco, Vito Cosco, Rosario Curcio, Sabatino Massimo e Carmine Venturino. Quella stessa estate Carmine deciderà di confessare ai magistrati tutta la verità sull’omicidio di Lea.
Il 19 ottobre 2013, a distanza di anni, Lea Garofalo può finalmente risposare in pace. In quella data si svolgono i funerali civili e pubblici e la donna viene sepolta al cimitero Monumentale di Milano insieme ad altri personaggi che hanno cambiato la storia dell’Italia.
Nel 2015, per onorare la memoria di Lea Garofalo, Marco Tullio Giordana ha firmato l’uscita del film Lea per ripercorrere la vita della testimone di giustizia e il coraggio di madre e figlia di sfidare la ‘ndragheta. La medaglia d’oro al merito civile in sua memoria recita così:
Con ammirevole determinazione, pur consapevole dei rischi cui si esponeva, si ribellava al contesto in cui era cresciuta, pervaso da criminalità e devianze educative e, dopo aver lasciato il compagno, esponente di una cosca calabrese, fuggiva dall’ambiente di origine per dare alla figlia opportunità diverse, decidendo, nel contempo, di collaborare con le Forze di polizia, rivelando notizie su omicidi ed estorsioni. Dopo alcuni anni, veniva rintracciata e rapita dall’ex convivente, con l’aiuto di altri complici, e, dopo uno spietato interrogatorio e terribili torture, veniva barbaramente uccisa, con occultamento del cadavere, mai più ritrovato. Splendido esempio di straordinario coraggio e altissimo senso civico, spinti fino all’estremo sacrificio. Medaglia d’oro al merito civile (alla memoria) — Novembre 2009, Milano