Donne della Resistenza: le staffette partigiane e le combattenti

Madri e mogli, ragazze e donne adulte: ecco chi erano le donne della liberazione, quelle che hanno giocato un ruolo chiave nella Resistenza italiana

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Pubblicato: 7 Luglio 2021 14:45Aggiornato: 24 Gennaio 2024 12:23

Erano delle combattenti, mogli e madri, erano le donne della Resistenza italiana, erano combattenti e staffette partigiane. Dal 1943 al 1945, più di 50 mila donne parteciparono attivamente alle azioni per liberare l’Italia dal nazifascismo, durante uno dei periodi più bui della storia del nostro Paese. 35 mila erano le partigiane combattenti, 20 mila quelle di supporto, tante altre, invece, operavano nei Gruppi di difesa della donna (GDD) .

Donne importanti nella storia italiana, che sono state arrestate e condannate, alcune di loro uccise e brutalmente fucilate. Altre, invece, sono state deportate nei campi di concentramento. Solo perché stavano cercando di restituire la dignità e la libertà al nostro Paese. Avevano sogni grandi e una forza straordinaria, la stessa che ha permesso loro di continuare a combattere contro quel regime totalitario che gli aveva tolto tutto e le costringeva a essere sempre di più schiave della società patriarcale.

E fornivano supporto di ogni tipo, tenevano in piedi le famiglie segnate dalle violenze della guerra e dei gruppi, supportavano gli altri partigiani nella fuga e nella clandestinità. Ecco chi erano le nostre staffette e combattenti partigiane.

Le donne della resistenza italiana
Fonte: Getty Images
Le donne della Resistenza italiana

Le donne della resistenza italiana

La storia delle donne nella Resistenza italiana si intreccia con quella del movimento partigiano e della lotta contro il nazifascismo. Unite, infatti, hanno combattuto per riconquistare la libertà del nostro Paese ricomprendo funzioni fondamentali.

Da nord a sud, in tutte le città del nostro Paese, queste lavoravano duramente per recuperare i beni di prima necessità per i compagni e le compagne, trasportando risorse e supportando la clandestinità di intere famiglie. Lo facevano in gruppi organizzati, lo facevano perché erano considerate meno pericolose, ma non per questo non perseguibili.

Erano donne di ogni ceto sociale, fede politica o religiosa. Tutte diverse, tutte uguali in quella lotta volta a liberare la patria, la loro. I Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e le Squadre di Azione Patriottica (SAP) le accoglievano, i Gruppi di difesa della donna, invece, le sostenevano. Loro si sostenevano tra loro, per farsi forza nei nuovi ruoli di capofamiglia, mentre i mariti erano in guerra.

La resistenza taciuta

Più di 53 mila donne parteciparono alla Resistenza italiana. 4500 di loro furono arrestate, torturate e condannate, 623 fucilate e impiccate, tremila deportate in Germania. Eppure solo 37 di loro sono state insignite di riconoscimenti (19 medaglie d’oro, 18 medaglie d’argento – Wikipedia).

Per decenni, a livello storico e istituzionale, il grandissimo e fondamentale contributo delle donne durante la Resistenza non fu adeguatamente riconosciuto. La lotta e la Liberazione venivano sempre raccontate e declinate al maschile. Ci sono voluti molti anni affinché quella Resistenza taciuta emergesse in tutta la sua potenza.

“Forse per non stabilizzare lo stereotipo del maschio-guerriero”, come ha sottolineato Matteo Dalena su Storica, National Geographic, o forse perché quella appena vinta era solo una delle tante battaglie per le donne che avrebbero dovuto affrontare ancora negli anni a venire, fatto sta che l’importanza delle donne della Resistenza è stata riconosciuta storicamente solo dopo trent’anni dalla fine della guerra. Mentre la collettività già lo sapeva che erano delle eroine.

Perché la loro attività non era stata “un semplice contributo alla guerra, ma un’adesione consapevole e determinante a una battaglia atroce e a tutti i suoi rischi”. E ci è voluto il 1965, anno del ventesimo anniversario della Liberazione, affinché la voce delle nostre eroine femminili emergesse in tutta la sua potenza con la “pubblicazione del documentario Le donne nella Resistenza di Liliana Cavani” (Matteo Dalena, Storica, National Geographic).

Le staffette partigiane e le combattenti

I ruoli ricoperti dalle donne durante la Resistenza furono molti: si occupavano, riunite in squadre, di pronto soccorso per aiutare i feriti e i malati, raccoglievano indumenti, cibo e medicinali, assistevano i familiari caduti. E ancora partecipavano attivamente alle riunioni e ricoprivano ruoli organizzativi, alcune di loro combattevano.

Erano le staffette partigiane e le combattenti. Le prime, donne giovanissime, avevano il compito di garantire i collegamenti e le comunicazioni tra i partigiani e le loro famiglie. Si occupavano anche di curare i soldati e di procurarsi i beni di prima necessità. Si spostavano da una parte all’altra della città in autobus, a piedi o in bicicletta. Ma non erano armate, e questo era per loro molto pericoloso.

Le combattenti, invece, imbracciarono le armi e si misero al fianco degli uomini, non un passo indietro. In alcuni casi venivano scelte come capi squadra. A loro il compito di dirigere l’intera brigata.

Le partigiane italiane

Ed erano tante le nostre combattenti. Erano ragazze giovanissime o mogli rimaste sole, donne che tenevano in piedi diverse famiglie già distrutte e logorate dalla guerra. C’era Germana Boldrini, di soli 17 anni, che diede il via alla battaglia di Porta Lame a Bologna. C’era Norma Barbolini a cui venne affidato il comando della prima divisione partigiana “Ciro Menotti” nel 1944.

C’era Eva Colombo, che dopo una prima esperienza nei GAP, partecipa in prima persona nei combattimenti contro i nazi-fascisti, rivestendo anche la carica di Capo della Polizia.

eva colombo
Fonte: Wikimedia/TBD
Eva Colombo

C’è stata Nilde Iotti – prima donna nella storia della Repubblica italiana a ricoprire la presidenza della Camera dei deputati – che, da giovanissima, per seguire le orme del padre, ha aderito al Partito Comunista Italiano e durante la Resistenza italiana è stata una risorsa preziosa e fondamentale. “Il suo impegno durante la guerra fu quello di responsabile dei gruppi di difesa della donna essenziali nella raccolta di indumenti, medicinali, alimenti per i partigiani” (Wikipedia).

E poi, ancora, Irma Bandiera, staffetta partigiana nella 7ª G.A.P, soprannominata “Mimma”. È nata e morta in guerra, lei, per difendere il nostro Paese. Catturata il 7 agosto del 1944, è stata torturata e seviziata per giorni, accecata, prima di essere barbaramente uccisa. Il suo corpo venne lasciato sulla strada per un giorno.

Tra le donne della Resistenza italiana anche Teresa Adele Binda, la madre di un partigiano. Un giorno, di ritorno a casa, fu prelevata dai nazifascisti che la incarcerarono e poi la torturarono per estorcere informazioni, ma lei non parlò. Così fu uccisa. Nel 2008 a lei fu riconosciuta la medaglia d’oro al merito civile alla memoria.

C’era anche Teresa Mattei, che partecipò attivamente alla lotta per la Liberazione  con il nome di battaglia di “partigiana Chicchi”, la stessa della celebre frase “L’unica volta che mi misi del rossetto fu per mettere una bomba”.

A Istria, l’operaia Giustina Abbà, diventava la prima donna ad abbracciare la causa partigiana nel suo Paese. E si fece riconoscere, prima con uno sciopero della fame, poi protestando contro la guerra.

Il 28 giugno del 1943, invece, moriva Alma Vivoda, la curatrice del giornale clandestino La Nuova Donna. È stata riconosciuta come “la prima caduta della guerra durante la Resistenza in Italia” (Wikipedia).

Irma Bandiera
Fonte: Wikimedia
Irma Bandiera