C’è chi progetta per rassicurare, e chi, come Studio AMeBE, fondato da Alessandra Mantovani ed Eleonora Barbareschi, per scuotere e sorprendere. Dietro questo nome cangiante, ispirato a un organismo che muta forma per adattarsi e resistere, si cela un duo artistico femminile che si muove con naturalezza tra arte, design, illustrazione e scenografia. Il loro lavoro è un atto poetico e politico insieme: oggetti che parlano, disturbano, raccontano con leggerezza ciò che spesso il mondo del progetto tace.
In questa intervista ci raccontano perché l’ironia può essere una lama affilata, come un candelabro può diventare un fidanzato domestico e perché ogni casa dovrebbe avere almeno un oggetto dissacrante.

Indice
Il nome, il manifesto
Come nasce il nome “Le Amebe”? È una scelta giocosa o c’è un significato più profondo dietro questa identità fluida e mutante?
Nasce come uno scherzo che si è preso molto sul serio. Le amebe si muovono, si adattano, sfuggono alle definizioni rigide: è esattamente quello che volevamo essere. Non un marchio, non un’etichetta, ma un organismo vivo, mutevole, contaminato. È la libertà di cambiare pelle ogni volta, di esplorare territori sconosciuti e renderli nostri.
Siamo Studio AMeBE, un duo artistico femminile che si muove al confine tra arte contemporanea, design industriale e design da collezione. I nostri oggetti sono dispositivi narrativi: uniscono cultura pop, heritage italiano, design critico e una forte componente site-specific.
Lavoriamo con la materia per creare forme che raccontano, dissacrano, disturbano e fanno sorridere. La nostra è una satira visiva che rilegge l’iconografia del quotidiano con uno sguardo femminile, fluido e spiazzante.
Crediamo nella forza della poesia materica, della provocazione elegante e di una pratica che intreccia storytelling simbolico, arte e commento sociale. Il nostro lavoro è una forma di resistenza estetica e culturale: domestica, collettiva, inaspettata.

Ironia come linguaggio
Il vostro design ha spesso un tono ironico, surreale, quasi teatrale. È una reazione all’eccesso di serietà nel mondo del progetto o una forma di narrazione personale?
Entrambe le cose. L’ironia e la satira sono forme di intelligenza laterale: strumenti che ci permettono di raccontare ciò che è scomodo, invisibile o rimosso, senza scivolare nella didascalia.
Siamo cresciute in un mondo di progetti seriosi, patinati e un po’ polverosi. Volevamo disinnescare – o meglio, dissacrare – quella gravità, e restituire al design una dimensione poetica e impertinente.
Per noi, la leggerezza è una lama affilata: taglia il superfluo, svela l’essenziale, e apre spazi inattesi di riflessione.
Oggetti narranti
Come si traduce lo storytelling visivo nei vostri oggetti? Ci raccontate un progetto in cui la storia dietro al prodotto era tanto importante quanto la forma?
Per noi, ogni oggetto è un racconto tridimensionale, un rituale domestico che sovverte simboli e abitudini.
L’oliera ‘Extra Vergine’, ad esempio, nasce come un’icona pop che trasforma l’olio extravergine d’oliva in un “liquido sacro”, sostituendo l’acqua benedetta in un gesto quotidiano di devozione culinaria. Con il suo tappo a forma di corona e il corpo in vetro trasparente, l’oliera celebra la cultura mediterranea con ironia e rispetto, rendendo omaggio alla nostra tradizione gastronomica attraverso una reinterpretazione audace e simbolica.

Allo stesso modo, il nostro candelabro/appendiabiti ‘Boyfriend’ è una parodia della parodia: un oggetto che gioca con l’iconografia storica dell’Arte e la trasforma in un elemento d’arredo domestico. Con ‘Boyfriend’, esploriamo il desiderio di esportare i nostri beni culturali nel mondo, utilizzando l’ironia per riflettere sulla sacralità attribuita agli oggetti quotidiani e sulla loro capacità di raccontare storie universali, portando un’icona come il David di Michelangelo a “servizio” domestico.
In entrambi i casi, la narrazione è il cuore del progetto: la forma non è mai solo estetica, ma veicolo di significati che invitano alla riflessione e al sorriso.
Contaminazioni creative
Lavorate a cavallo tra design, arte, scenografia, illustrazione. In che modo questi linguaggi si contaminano nei vostri progetti?
Non facciamo distinzione. Usiamo ciò che ci serve per costruire un’immagine forte, un’esperienza immersiva.
La scenografia ci ha insegnato la potenza del fuori scala, l’arte la libertà del gesto, l’illustrazione la sintesi visiva, il design il mestiere. È un approccio trasversale, fluido, ameboide, che ci permette di entrare in dialogo con mondi diversi.

L’errore da evitare (e come evitarlo)
Qual è, secondo voi, l’errore più comune che si fa nell’arredare una casa e quale pezzo “firmato AMeBE” lo risolverebbe con leggerezza?
Prendersi troppo sul serio. Pensare che la casa debba essere perfetta, monocorde, coerente. L’errore è arredare per compiacere uno sguardo esterno e non per abitare un’identità.
Un pezzo come il nostro specchio ‘Psycho’ risolve tutto con ironia: è uno specchio che ti guarda mentre ti guardi, e ti ricorda che sei anche il tuo riflesso emotivo.

Un consiglio d’arredo “Amebe-style”
Un consiglio d’arredo “Amebe-style” da dare ai nostri lettori? Qual è quel tocco ironico o inaspettato che secondo voi non dovrebbe mai mancare in una casa per renderla davvero unica?
Un oggetto che faccia ridere e pensare allo stesso tempo. Che sia un oggetto di design o un’opera d’arte.
Un altare profano in cucina, un quadro che sussurra oscenità, una luce che ti interroga più che illuminarti.
L’ironia è un superpotere dell’arredo: se c’è, si sente. Se manca, si nota.
Dal nostro ‘Cupolone’ per Seletti, alle sculture site-specific come i phon ‘Wind Force 12’, utilizzati per rappresentare la scala Beaufort dei venti su una nave di lusso della Silversea, oppure ‘Marylin’ per Sitap, la ‘Cupola’ Limited-Edition per David Gill Gallery, fino alla performance ‘Eva and Eva’ messa in scena all’ultima Biennale Arte di Venezia…
Per noi, satira e ironia sono imprescindibili nel nostro sodalizio artistico.