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La percezione di sé e degli altri
Rientra nell’ambito della psicologia sociale tutta la branca degli studi psicologici che si concentrano sui processi che sono alla base del modo in cui ci percepiscono gli altri e noi percepiamo gli altri, insieme alle forme di interazione tra gli stessi.
Le persone che ci circondano influenzano i nostri pensieri, le emozioni, i sentimenti e le azioni, senza dubbio, ma questa influenza dovrebbe essere controllata, non eccessiva. L’ago della bilancia su cui soppesiamo i giudizi altrui dipende in primo luogo dagli insegnamenti ricevuti in ambito familiare in merito alle pressioni che ci sono state fatte rispetto all’opinione altrui. Le parole degli altri a volte agiscono su di noi anche quando gli altri non sono presenti fisicamente; basti pensare ai casi in cui andiamo a scegliere qualcosa che riguarda il nostro presente o futuro e riflettiamo anche sulla reazione che gli altri potrebbero avere, familiari, partners, amici. Per gli altri, a volte, modifichiamo il nostro comportamento e allo stesso tempo talvolta diamo interpretazioni delle azioni altrui che non corrispondono al dato reale o all’intenzione di base di quella data persona. In questo caso si parla di distorsioni cognitive (o anche bias valutativi) sulle quali si costruisce un’interpretazione e una costruzione estremamente dipendente dal pregiudizio di chi percepisce. Prendere consapevolezza di questo apparato interno che agisce in noi e ci fa valutare i comportamenti altrui diventa fondamentale per evitare di subire i giudizi o crearne ulteriori.
Stare con persone con le quali condividiamo spesso i nostri punti di vista ci potrebbe fare bene, ma non significa automaticamente che ci porta a crescere, anzi. Ricevere sempre conferme non ci fa salire di livello nel percorso della coscienza, nella professione, nelle relazioni. Stare sempre con chi alimenta i nostri stessi punti di vista non ci porta lontano. D’altro canto, in qualche modo, quando ci confrontiamo con chi valuta e vive le cose nel nostro stesso modo o in modo simile, siamo al salvo, evitiamo conflitti, critiche, ci sentiamo in potere o almeno lo crediamo. Questo essere al sicuro corrisponde però porta a non volersi muovere dalla zona di comfort e a limitare proprio in questo movimento sta la crescita. Quando il cambiamento spaventa, tendiamo a stare nella zona dove ci sentiamo apparentemente invulnerabili. Confrontandoci invece con chi la vede diversamente da noi, ci arricchiamo. Affrontando chi ha anche sulla nostra persona qualcosa da dire in modo utile e non inutilmente polemico, cresciamo.
Riconoscere un giudizio che ci fa male
Vale la pena creare una sorta di “radar” per capire quando anche il confronto con il giudizio altrui non assume note che diventano nocive per la nostra autostima; in quel caso occorre fare un passo indietro e farlo presente alla persona di riferimento (che ne trae una splendida lezione personale). Un giudizio diventa dannoso quando assolutamente non richiesto, imposto in modo incisivo e diretto alla nostra natura caratteriale totale.
Attenzione: anche dietro un elogio potrebbe celarsi un giudizio velenoso sul modo di fare e di essere. Se ad esempio una persona ci dice qualcosa sul modo in cui “siamo diventati” rispetto a come “eravamo prima” dobbiamo sempre ricordare che si tratta della sua personale percezione. Se una persona ci paragona alla natura e al modo di fare degli altri in modo radicale e deciso, osserviamo e sentiamo come ci fa sentire. Occorre ricordare che la mente che paragona soffre e basta e chi eccede in questo tipo di osservazioni probabilmente non eccelle in autostima. Attenzione anche ai giudizi sulla nostra natura che ci arrivano sotto forma di scherzo buonista ripetuto. Un giudizio utile e buono non affossa, non condanna, non cristallizza. Anzi, spinge, alimenta, fionda verso la versione migliore di se stessi/e.
Come smettere di preoccuparsi
Per evitare di preoccuparsi si dovrebbe entrare nel ruolo di chi osserva e non prende tutto eccessivamente sul personale. Guardate sempre allo stato emotivo globale della persona che vi sta giudicando: vi sembra nervosa? Riesce a star ferma? Lo fa con tutti? Quanto spesso? Vi sembra si piaccia veramente? Si circonda solo di persone che la adorino? Quanto cerca il consenso altrui? Rispondere a queste domande serve molto per capire se prendere in considerazione o meno – e nel caso, quanto – il giudizio della persona che abbiamo di fronte.
Essere rifiutati, criticati e non ricevere sempre il consenso altrui fa parte di normali processi sociali. Se sperimentiamo davvero una grande resistenza all’idea che gli altri dicano qualcosa su di noi, dovremmo gradualmente prenderne coscienza, provare a esporci a situazioni simili lavorando gradualmente il senso di ansia, riconoscere l’emozione associata al giudizio e l’attivazione emotiva anticipatoria che si crea anche solo quando si entra in un ambiente in cui ci si sente giudicati. In altre parole, non possiamo piacere a tutti ma possiamo trarre grandi insegnamenti da coloro che non parlano a caso e in modo offensivo ma ci spingono verso il nostro meglio incessantemente.
Il bene si sente e raramente passa per parole poco mirate e occhi che cercano volutamente l’effetto dell’offesa; quindi, se vediamo una provocazione ricercata con forza e polemica e magari in modo ripetuto, possiamo comprendere facilmente che non conviene preoccuparsi ma andare avanti con la propria brillante vita.