Non vedo, ma spacco: la storia di Vanessa Casu e del suo cane Pancake

Cantautrice, Kickboxer e creator, Vanessa racconta la sua storia senza pietà, tra coraggio, musica e un cane guida di nome Pancake

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Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

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Ho conosciuto Vanessa Casu come si conoscono le anime che lasciano il segno: per caso, o per destino, che poi tanto è lo stesso, perché come dice il maestro Shifu: “Il caso non esiste”. Vanessa è una forza della natura che ti travolge con la sua voce, la sua musica, il suo sarcasmo, la sua potenza comunicativa e soprattutto con Pancake, il suo inseparabile cane guida. Non è nata cieca, e non è diventata cieca in un giorno, ha affrontato un percorso doloroso e trasformante, fatto di operazioni, resistenze, negazioni e infine accettazione. Vanessa è una cantautrice, una batterista, una laureata con 110 e lode, una kickboxer agonista, una content creator, una ragazza ironica, spiazzante, profonda. È una che ti entra dentro e ci resta.

Con il suo format “Ti piace il mio cane guida?” ha deciso di raccontarsi, di smontare gli stereotipi sulla cecità e di usare l’ironia come ponte per educare. In un mondo che continua a trattare la disabilità come un’etichetta, Vanessa la spacca. Letteralmente.

Vanessa non sei nata cieca, tu vedevi. Quando e come hai capito che qualcosa stava cambiando? E com’è stato quel momento?
Non c’è stato un momento in cui sono diventata non vedente, ci sono diventata lentamente negli anni. Mi hanno scoperto l’artrite reumatoide a 10 anni e questa malattia, nel mio caso, ha colpito le cornee, ho avuto moltissime operazioni, uveiti, cataratte. A 13 anni ho perso l’occhio destro, oggi è finto. L’altro è peggiorato lentamente. A vent’anni, dopo l’ultima emorragia, ho capito che dovevo imparare a usare tutti gli altri sensi per vivere in questo nuovo mondo.

Vanessa e il suo Pancake
Vanessa Casu
Vanessa e il suo Pancake

Com’è nata l’idea di condividere la tua vita sui social?
Dalla voglia di fare informazione. Ci sono troppi stereotipi sulla cecità. Il mio format è nato per dire che un cieco non è solo quello col bastone bianco e gli occhiali scuri: può essere una ragazza atletica, alternativa, come me. A volte la gente pensa che io sia l’addestratrice di Pancake. E questo da un lato è positivo, dall’altro dimostra quanta poca informazione ci sia. La cecità è solo una delle tante caratteristiche che ho.

Hai scritto che ti immaginavi una ninja. Ma chi è stato il primo mostro da abbattere?
La negazione. Non riuscivo a dire neanche a me stessa che stavo diventando cieca. Mi sono sempre immaginata con una tunica da samurai e una spada, pronta a schivare, combattere, affrontare tutto. Il dolore mi ha insegnato a essere una ninja nella vita quotidiana. Dovevo imparare da lui.

Il tuo maestro ti ha detto: “Non me ne frega un c# che non ci vedi. Lo sport è inclusione”. Hai mai pensato che quella palestra fosse una famiglia più che un corso?
Sì. Mi vergognavo tantissimo quando mi sono presentata in palestra con Pancake. Gli ho detto che avrei sempre voluto fare kickboxing, ma non ci vedevo. La sua risposta è stata: “Non me ne frega niente, provaci”. Lì ho capito che era il posto giusto. A maggio sono diventata cintura blu. E oggi ho una famiglia di agonisti che mi fanno il cu… così.

Nel 2025 ancora troppi stigma sulla disabilità. Come li affronti?
Non tollero chi mi guarda con pietà. Quando mi si conosce davvero, ci si dimentica che non vedo. Non mi definisco solo disabile, cantautrice, laureata o mamma di Pancake: sono un insieme di cose. Sui social mostro la mia vita per abbattere stereotipi. Come si fa a non romperli, guardando una ragazza che se ne frega e vive come vuole?

Facciamo un rewind: da ballerina a cantante a batterista. Se potessi scegliere un solo talento da portare su un palco per sempre, quale sarebbe?
La mia chitarra e la mia voce. È la parte più vera di me.

Hai partecipato a X-Factor, sei arrivata ai Bootcamp. Cosa ti sei portata dietro da quell’esperienza? E ci riproveresti?
Sì, sono stata ad X-Factor nel 2016, ero molto giovane e avevo perso la vista da poco. Lì ho capito cosa vuol dire essere spaventati dai tempi televisivi e cosa significa la meritocrazia. Ci riproverei? Penso di sì.

Quando e come è arrivata Pancake? E qual è la cosa più assurda, divertente o tenera che vi è mai capitata insieme?
All’inizio non volevo un cane guida: avevo paura di non essere una brava mamma. Poi un giorno, dopo aver parlato con un signore che raccoglieva fondi per cani guida, ho cercato informazioni in rete, mi sono messa a piangere e ho capito che dovevo provarci. Ho studiato, letto libri, fatto corsi, quando mi hanno mandato la sua prima foto su WhatsApp, tutti si sono commossi. Il legame con Pancake è simbiotico, è buffa, intelligente, sensibile, ha cercato di fare amicizia con un cigno che l’ha rincorsa con le ali aperte, ha rubato i miei calzini e poi con il muso cercava di dirmelo,  ha cercato consolazione come una bambina quando un gatto le ha rifiutato l’amicizia. E poi, ogni volta che camminiamo insieme, cerca sempre di portarmi davanti a un bar. Come dire: “Facciamoci un aperitivo, mamma”. Non è solo una cane guida. È un pezzo di me.

Qual è la cosa più complicata da fare in autonomia? E quella in cui ti senti più potente?Quello che richiede un confronto diretto con l’impreparazione delle persone. Come alle poste: non sapevano come comportarsi, sembravo io a mettere in difficoltà loro. E questo è ciò che mi fa sentire più disabile, più che la cecità in sé.
Mi sento potente quando comunico, quando so dove sto andando, quando sono padrona della mia voce e della mia presenza.

Se potessi scrivere il tuo futuro tra cinque anni, con chi saresti, dove, e a fare cosa? (Pancake ovviamente c’è!)
Sono una ragazza ambiziosa. Mi auguro una bella stabilità economica, una donna al mio fianco di cui essere fiera e che mi faccia sentire amata. Pancake sarà con me, ovviamente, perché è il mio amore, e l’amore di tutte le persone che la incontrano. E se quella persona che sogno al mio fianco  non arriva, ci saremo io e lei, e basterà. L’amore per se stessi è la base di tutto.

Se oggi potessi incontrare la Vanessa che ha perso la vista, cosa le diresti? E a chi ha appena perso la propria, oggi, cosa vuoi dire tu?
Le direi: “Amore mio, non hai idea di quanti traguardi raggiungerai. Questo dolore si trasformerà. E diventerà un mondo nuovo dove sentirti soddisfatta di te stessa”. A chi sta perdendo la vista adesso, direi: “Guarda chi ce l’ha fatta. Accetta il dolore, immergiti. È un insegnante enorme. E da lì puoi rinascere”.