Ornella Muti si racconta a Oggi è un altro giorno, mostrando le sue fragilità e raccontando a Serena Bortone il periodo difficile che ha vissuto. In breve tempo infatti l’attrice ha perso prima Andrea, il genero e compagno della figlia Carolina Fachinetti, poi la madre Ilse Renate Krause. Delle prove difficili per la Muti che ha trovato la forza che le serviva nella sua famiglia.
Da sempre infatti Ornella è legatissima ai suoi figli: la primogenita Naike Rivelli, Carolina e Andrea, frutto dell’amore per Federico Fachinetti. “Il dolore più grande è stato vedere mia figlia Carolina stare male – ha ammesso – il suo compagno è andato via a causa di una terribile malattia. In quei giorni abbiamo riscoperto la centralità della famiglia, abbiamo compreso che ognuno avrebbe sempre potuto contare sull’altro”. Raccontando quel momenti complicati l’attrice si è commossa. “Per me è molto difficile condividere i dolori, è difficile condividere la normalità, ma io mi sento normale […] Del dolore e del dramma non ne posso parlare perché morirei subito, ma per me vedere mia figlia così toccata è molto dura. Vedere i miei nipoti, è dura, ma ti dà la forza di capire l’importanza della famiglia”.
La Muti ha confessato di aver sofferto molto anche per la perdita della sua amata mamma: “È come se fosse andata via una parte di me, era il nostro perno – ha confessato -. Quella di non essere più figlia è una strana sensazione, ma rimangono i suoi insegnamenti di cui vado orgogliosa e, proprio grazie a quelli, è come se fosse ancora qui”. Ornella ha poi ripercorso la sua carriera, segnata da successi, ma anche difficoltà.
“Da giovane, soprattutto durante le prime esperienze, ho subito qualche tentativo di molestia – ha ricordato -, per fortuna ho reagito, sono stata in grado di sgattaiolare via. Non mi va di parlarne, perché poi si innescherebbero tutta una serie di discorsi che non mi piacciono […] Avevo il terrore degli autobus, quando salivi capitava sempre che qualcuno provava ad approfittarne. Per fortuna spesso si incontravano brave persone che ti invitavano a sedere, perché si rendevano conto dell’ambiente difficile. La gente, però, se provavi a dire qualcosa ti guardava male, quasi fosse una colpa. Ciò impediva di denunciare simili episodi”.