Kabir Bedi, celebre protagonista di Sandokan, racconta per la prima volta il dramma del suicidio di suo figlio, morto dopo una diagnosi di schizofrenia.
Ospite di Storie Italiane, il programma di Rai Uno condotto da Eleonora Daniele, l’attore ha ricordato il figlio Siddarth, che si è tolto la vita nel 1997 a soli 26 anni. L’uomo insegnava all’Università ed era un genio dell’informatica, ma da qualche tempo stava male. Dopo essere stato in cura per depressione, i medici gli avevano diagnosticato una grave forma di schizofrenia. In seguito Siddarth, disperato e senza più speranze, si era suicidato.
“Mio figlio mi ha parlato, mi ha detto penso al suicidio – ha raccontato Kabir Bedi nel corso dell’intervista -. Io ho provato a dargli speranza, ma lui diceva ‘che cosa faccio tutto il giorno? Il cibo non ha sapore, tv e libri non hanno senso per me. Non mi posso concentrare”.
“Io ho chiamato la squadra per la prevenzione del suicidio di Los Angeles dove lui era in cura – ha confessato fra le lacrime -. Loro hanno parlato con lui, ma ultimamente lui non voleva vivere così. Come padre, naturalmente, facevo tutto il possibile per dargli speranza, per dirgli cose che gli dessero coraggio”.
L’attore indiano ha ricordato il figlio, cercando in qualche modo di spiegare il dolore immenso che l’ha spinto a suicidarsi. “Era un genio dell’informatica e aveva cominciato a insegnare all’università. Improvvisamente accadono cose che non capiamo – ha svelato – abbiamo pensato fosse depressione e per due anni abbiamo provato a curare questa condizione, ma dopo un incidente violento i medici hanno diagnosticato schizofrenia”.
Proprio come è accaduto a Lory Del Santo, che ha perso suo figlio a causa dell’anedonia, anche Kabir Bedi ha provato ad aiutare Siddarth, ma non c’è stato nulla da fare. “Nessuno sa quali sono le cause e non esisteva una cura per questo – ha concluso -. Il problema è che tutto quello che danno è come dare pillole per dormire. Servono per vivere bene, senza violenza, nella società ma non danno la capacità di lavorare e neanche di concentrarsi”.