Abbiamo conosciuto tutti dei bimbi che hanno difficoltà ad accettare il cibo. Non amano ad esempio gli alimenti che impongono una lenta masticazione oppure non accettano consistenze troppo morbide. Così, magari scelgono solo quello che piace. Pochi alimenti. E poi li definiamo schizzinosi, come se proprio non sopportassero la vista o il contatto con un alimento, per non parlare di chi proprio non regge l’odore.
Ebbene, se il bambino tende a presentarsi in questo modo, ricordate di parlarne con il pediatra. Potrebbe andare oltre la semplice scelta di piacere e puntare su quella che gli esperti definiscono “alimentazione selettiva”: in pratica si scelgono solo pochi alimenti, sempre gli stessi, dimenticando il resto. E questo nel tempo può anche dar luogo a veri e propri deficit nutrizionali, se non si pone rimedio. Insomma: a volte, dietro scelte alimentari apparentemente inspiegabili, non c’è solo un vezzo. All’origine della situazione può essere una sorta di “alimentazione selettiva”, che oggi vengono spesso compresi in quello che si definisce Arfid, sigla anglosassone che in italiano si può tradurre come disturbo evitante/restrittivo nell’assunzione di cibo.
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Chi rischia di più l’Arfid e i segnali d’allarme
Non si può ancora generalizzare. Il termine Arfid ufficialmente è entrato a far parte del patrimonio culturale scientifico solo da una decina d’anni, ma già ci sono stime e valutazioni che fanno pensare ad un fenomeno già diffuso ed in crescita. Stando ad alcuni studi americani, ad esempio, si arriva a dire che più di un adolescente su dieci dovrebbe fare i conti con questa situazione, visto che si possono individuare caratteristiche tipiche del quadro.
Il problema colpisce soprattutto i maschi, sei bimbi su dieci che ne soffrono sono di sesso maschile, e la sua insorgenza si concentra dall’età prescolare fino al termine delle scuole medie. I genitori debbono prestare attenzione soprattutto al fatto che il bimbo assuma scelte alimentari molto selettive in termini di consistenza del cibo (magari vuole solo alimenti morbidi) di colore (tende a privilegiare cibi di una stessa tinta) o in base al sapore o all’odore.
In questo caso viene coinvolto il sistema sensoriale, ma possono essere presenti anche altri problemi: ad esempio il piccolo sembra voler evitare i cibi semplicemente perché nutrirsi non gli pare importante oppure ancora manifesta precise preoccupazioni nel momento di sedersi a tavola. In questi casi, magari mangiando, dice di temere determinati alimenti (soprattutto in base alla loro consistenza) perché teme che lo facciano soffocare.
Quando parlare con il pediatra di Arfid
Arrivare presto alla diagnosi, come sempre accade in medicina, è fondamentale. E quindi saper cogliere i segnali fisici di quello che appare come un disturbo psicologico, senza nascondere il capo dietro scelte alimentari apparentemente incomprensibili e sempre uguali, diventa fondamentale. Il pediatra, in questo senso, è il punto di riferimento. E bisogna sempre contattarlo, anche perché ci sono diversi parametri che debbono spingere a parlarne con il pediatra. Oltre a chiedere informazioni sull’alimentazione, i genitori possono informare lo specialista che segue i più piccoli e gli adolescenti se il figlio mangia troppo poco o comunque si nutre in modo insufficiente e crescere di conseguenza.
Infatti uno dei problemi alla fine è lo sviluppo in senso nutrizionale di un quadro psicologico come questo. Perché il risultato dell’Arfid si può tradurre nel fatto che il bimbo, alla fine, mangi troppo poco. Così l’alimentazione può arrivare a non soddisfare le necessità del corpo in via di sviluppo, e questo si può tradurre in una perdita di peso e, conseguentemente, in una crescita inadeguata. Attenzione però: ci sono anche altri segnali che in qualche modo, sul versante psicologico, debbono mettere in guardia e sono legati al fatto che il piccolo tenda ad evitare la “vita sociale”. Le difficoltà nel rapporto con il cibo possono manifestarsi ad esempio a scuola, quando in mensa proprio non vuole mangiare insieme ai coetanei, o nella rinuncia a situazioni conviviali come ad esempio le feste o la vita in comunità, come in un campeggio. Se il bimbo segnala queste forme di malessere occorre, insieme al pediatra, studiare le migliori strategie di sostegno.
Come affrontare l’Arfid?
Caso per caso occorre trovare la soluzione più idonea, in termini di approccio di cura. Ma non si deve mai dimenticare che esistono percorsi potenzialmente adottabili, sicuramente di grande interesse pratico. Ad esempio una delle strade per cercare di individuare e trattare un quadro di Arfid prevede una specie di processo di “riavvicinamento”.
Cosa significa? Provando a fare un paragone, peraltro ardito, si può pensare di approcciare il quadro così come si fa con la dieta di eliminazione nelle persone allergiche. Per capire cosa accade in termini di risposta del sistema immunitario, si “azzerano” gli alimenti potenzialmente a rischio e si provvede a inserirli progressivamente, in modo tale da osservare i sintomi dell’allergia quando questi si manifestano. In caso di Arfid si può fare qualcosa di simile, inserendo progressivamente nell’alimentazione cibi che prima non venivano ammessi per scelta.
Sul fronte psicologico, quindi, la strada che si può intraprendere è quella di un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale che mira a creare un’esperienza graduale degli alimenti. Il processo prevede un piano di sensibilizzazione sistematica, che porti a reintrodurre piano piano nell’alimentazione gli alimenti o le modalità di preparazione che risultano difficili da accettare. Ad esempio, se un bimbo vuole solamente cibi liquidi, occorre fare in modo che si abitui a alimenti solidi, aggiungendone qualcuno a cadenze fisse. Ovviamente a fianco di questo approccio bisogna portare avanti tecniche di rilassamento che permettano di creare una miglior risposta allo stimolo ansiogeno dettato dall’alimento o dalla sua consistenza.
Arfid, perché non bisogna “forzare” chi non vuole alcuni cibi
La prima reazione dei genitori di fronte ad un bambino che limita la propria alimentazione a pochissimi alimenti, magari scelti per colore o per consistenza, è quella di proporre una serie di alternative gustose e nutrienti per fargli cambiare idea. Ebbene, se vi capita di approcciare la situazione in questo modo, sappiate che può non essere la via ottimale. Oltre a parlare con il pediatra e chiedere come comportarsi, non bisogna credere che l’obbligo ad introdurre alcuni alimenti possa essere d’aiuto. Semmai, è vero il contrario, almeno stando a quanto riportano i risultati di una ricerca degli esperti dell’Università Duke, pubblicata su International Journal of Eating Disorder.
L’indagine ha preso in esame quasi 20.000 adulti che avevano sofferto del quadro (in qualche caso ancora presente), dimostrando che in circa quattro casi su dieci viene rilevata l’importanza di una condizione di famiglia positiva sul fronte psicologico: questo atteggiamento significa avere flessibilità in termini di proposte alimentari, di sicurezza degli alimenti, di partecipazione del piccolo alla presentazione del pasto. Più in generale le strategie positive e incoraggianti sono state percepite come utili per migliorare l’atteggiamento nei confronti del cibo e ridurre al minimo il disagio sociale nell’alimentazione. Gli studiosi segnalano come per alcuni partecipanti all’indagine si sia registrata una vera e propria avversione nei confronti di alcuni alimenti, visto che anche da adulti si è mantenuta la sensazione di essere “costretti” a nutrirsi con un determinato alimento.
Che differenza c’è tra Arfid e ortoressia?
Tra i tanti aspetti da considerare quando si parla di questi “moderni” disturbi del comportamento alimentare, infine, bisogna pensare anche all’ortoressia. Che sicuramente non è una forma adulta di Arfid. Si tratta piuttosto, quando si parla di ortoressia nervosa, di un disordine alimentare con una diagnosi autonoma o come variante dell’anoressia o della stessa Arfid. In questo caso il problema nasce per l’ossessione incessante per il proprio regime alimentare e una preoccupazione eccessiva sulla qualità e il contenuto dei prodotti alimentari.
Gli psichiatri americani definiscono questa patologia come un intenso desiderio di massimizzare la propria salute fisica, che porta le persone a sviluppare diete estremamente restrittive a causa della rigida astensione da alimenti considerati “malsani”. Per capire se si ha la tendenza a sviluppare il problema si può sicuramente puntare su diversi aspetti: ad esempio occorre chiedersi se c’è il desiderio di mangiare, almeno ogni tanto, senza preoccuparsi della qualità del cibo, se c’è il desiderio di essere meno attenti all’alimentazione e più alla vita di relazione, se ci si accorge che non dovrebbe andare oltre le proprie possibilità mangiare un pasto preparato con amore da qualcun altro anziché cercare di controllare sempre ciò che ti viene servito. Ancora: se una persona è sempre attenta al modo in cui gli alimenti possono risultare nocivi o a mettere da parte amore, gioia e altri aspetti per rimanere a dieta. Si tratta solo di alcuni aspetti da seguire con grande attenzione per capire se ci si trova di fronte a possibili disturbi legati all’ortoressia.
Quattro consigli per prevenire l’Arfid
- Non avere paura che il bambino piccolo non mangi abbastanza. Confrontarsi sempre con il pediatra ricordando che i bimbi hanno un’elevata capacità di autoregolarsi.
- Evitare di convincere il bambino a mangiare di più con strattagemmi come il gioco o la visione della Tv a tavola. Non ha senso inseguirlo con il piatto né proporre solo quello che gli piace.
- Non si deve proporre l’alimentazione come un ricatto, per evitare che si instaurino atteggiamenti oppositivi. Niente frasi del tipo “se non mangia non puoi andare a giocare con gli amici”.
- Riproporre gli alimenti che non vengono accettati, non come obbligo ma come proposta a qualche giorno di distanza. Essere un po’ selettivi non è un difetto, a patto che si impari a mangiare di tutto.