I test genomici aiutano a guidare il trattamento. E possono evitare il ricorso alla chemioterapia quando il tumore viene riconosciuto in fase iniziale. Sono quindi molto importanti. Ma stando ad un’indagine condotta da Senonetwork, che ha coinvolto oltre 100 centri in Italia, la distribuzione di queste opportunità che dovrebbero essere gratuite non sono uniformi sul territorio nazionale.
Negli ultimi 3 mesi del 2021, quasi il 40% (39%) dei Centri di Senologia, di fronte a una paziente candidabile al test, non è riuscito a utilizzarlo perché ne era privo ed ha quindi effettuato la chemioterapia adiuvante (cioè dopo la chirurgia), con il rischio di somministrare una terapia inutile. Oggi il 25% dei Centri di Senologia non ha ancora la possibilità di prescrivere gratuitamente questi esami. E solo il 48% degli ospedali in cui si trova un Centro di Senologia ha organizzato un iter di rimborso dei test genomici con regole precise.
Cosa dice lo studio
“L’obiettivo dell’indagine – spiega Lucio Fortunato, Membro del Consiglio Direttivo di Senonetwork e Direttore della Breast Unit dell’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma – era scattare una fotografia sulla disponibilità dei test genomici nei Centri di Senologia, sul loro effettivo utilizzo e sulle modalità di rimborso. Nel 73% dei Centri di Senologia è stato implementato in qualche modo l’utilizzo dei test genomici dopo il Decreto attuativo ministeriale. Resta però ancora un quarto delle strutture fuori da questo processo. Inoltre vi è una eccessiva eterogeneità dei test, riconducibile ai diversi bandi di gara nelle varie Regioni”.
Questi ultimi dovrebbero essere organizzati in base a criteri di evidenza scientifica, permettendo la prescrivibilità dei test con alto livello di validazione. E in molte aree del territorio nazionale le pazienti non possono ancora accedere gratuitamente a queste analisi, per ritardi nelle procedure applicative. Lo dimostra il fatto che, negli ultimi mesi del 2021, ben il 39% dei Centri non abbia potuto prescrivere il test a una o più pazienti idonee, che sono state quindi sottoposte a chemioterapia adiuvante.
L’Italia si è adeguata solo lo scorso anno all’utilizzo di queste analisi molecolari, consolidate nel resto d’Europa da almeno un decennio, e stiamo ancora scontando un forte ritardo rispetto alle pratiche adottate in altri Paesi europei, come Germania, Regno Unito, Spagna e Grecia, e alle indicazioni contenute nelle più importanti linee guida delle società scientifiche”. In base ai risultati del sondaggio, soltanto il 30% dei Centri di Senologia ha a disposizione i test genomici da più di un anno, il 65% da meno di sei mesi.
Perché sono importanti
“Anche in Italia si sta sviluppando fra i clinici la consapevolezza dell’importanza di queste analisi – fa sapere Rossana Berardi, membro del Direttivo Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università Politecnica delle Marche e Direttore della Clinica Oncologica Ospedali Riuniti di Ancona. Dall’indagine emerge infatti che nell’89% dei Centri si è consolidata la mentalità di utilizzare i test genomici nella programmazione terapeutica post-chirurgica, cioè nella pratica clinica quotidiana.
La maggioranza dei casi di tumore della mammella è di tipo luminale, cioè esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2. Dopo la chirurgia, il trattamento sistemico prevede l’utilizzo della terapia ormonale nei casi considerati a basso rischio oppure l’aggiunta della chemioterapia adiuvante alla terapia ormonale, in presenza di un rischio elevato. Nella malattia luminale a rischio “intermedio”, sussiste però una significativa incertezza terapeutica, da qui l’importanza dei test di profilazione genomica, che permettono di identificare con maggiore precisione le pazienti che possono beneficiare della chemioterapia dopo l’intervento”. Insomma: questi controlli possono aiutare a scegliere il trattamento più indicato caso per caso. Per la donna è molto importante.
“La riduzione del ricorso alla chemioterapia comporta significativi risparmi economici, oltre che una buona qualità della vita – conclude Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia -. La persistente situazione di disparità nell’accesso ai test non è accettabile”. Insieme alle 170 Associazioni che fanno parte della nostra rete, continuiamo l’azione di monitoraggio e sollecito affinché a tutte le pazienti italiane, che ne possono usufruire, sia finalmente assicurata questa possibilità di evitare cure aggressive e invalidanti”.