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Cause
Lo stress in quanto tale non ha sempre e solo una valenza nociva o comunque dannosa per il nostro sistema psicofisico. Ci riferiamo a una reazione del tutto normale quando parliamo di stress positivo, che corrisponde alla reazione fisiologica che scatta dentro di noi di fronte a un ostacolo percepito come sfida, rallentamento, urgenza, evento improvviso; in sintesi, lo stress positivo si genera nel momento in cui l’organismo si attiva per superare qualcosa che non aveva previsto e che richiede maggiore energia. Lo chiamano anche “eustress”, stress buono, positivo. Siamo chiamati ad agire e lo facciamo, siamo chiamati a risolvere e ci mettiamo in moto, in ogni senso. Il cuore si mette a lavorare diversamente, si suda in modo differente, cambia la salivazione, aumenta la condizione reattiva globale, le ghiandole secernono in modo diverso a livello endocrino.
Quando una condizione di stress allostatico non si riduce a un singolo momento, ma si protrae nel tempo in modo significativo e si ripresenta con una certa insistenza, abbiamo uno stimolo continuo e importante sul sistema nervoso simpatico, anche chiamato ortosimpatico, il sistema che si attiva nel momento in cui percepiamo un pericolo (il famoso fight/fly/freeze, ovvero la condizione per cui, in vista di un pericolo, scegliamo se scappare o combattere o ci accade di restare immobilizzati). A livello evolutivo, questa risposta la conosciamo da sempre; basta immaginare l’uomo primitivo che si allerta per una condizione metereologica o l’avvicinarsi di un animale feroce. Una condizione di allerta genera un suo picco, quindi, ma quando il numero di questi picchi aumenta in modo esponenziale e ci ritroviamo a fronteggiare momenti di allarme ravvicinati e prolungati, allora scatta uno stress negativo che alla lunga diventa nocivo per tutto il sistema corpo-mente-spirito.
L’organismo non sa rispondere a stimoli di questo tipo protratti in modo continuativo e finisce per cedere, manifestare squilibrio sottoforma di nervosismo generico, manifestazioni cutanee, alterazioni della respirazione e della sudorazione, stanchezza costante e astenia, dolori articolari, nausea, mal di testa, vertigini e molto altro. Chiediamo troppo al corpo e il corpo risponde sempre, per servirci, informarci e, in qualche modo, avvertirci rispetto a quanto stiamo “tirando la corda”. Quando questo tipo di stress perdura nel tempo in modo costante senza che si ritrovi la capacità di affrontare la situazione che sta all’origine, che ha provocato il malessere, ecco che si va incontro a quel fenomeno che prende il nome di “carico allostatico”. Si tratta di una forma di sovraccarico che danneggia la salute delle cellule, i tessuti, le ghiandole, gli organi e la comunicazione tra gli stessi, andando a creare danni sia a livello della struttura che delle funzioni, intimamente collegate. Lo squilibrio va in primo luogo a interessare la produzione ormonale, il sistema cardiaco e circolatorio e di conseguenza lo stato dei tessuti. A livello endocrino, si sfalsano le comunicazioni tra organi ghiandolari fondamentali come l’ipotalamo, l’ipofisi (rispettivamente per quel che riguarda la sua porzione anteriore – adenoipofisi – e posteriore – neuroipofisi) e gli organi bersaglio dei messaggeri chimici che chiamiamo comunemente ormoni.
Gli stressors della pandemia
Sotto pandemia siamo stati in qualche modo sempre in allerta: decreti, cambiamenti, precauzioni, abitudini imposte, bollettino di decessi, nuove ondate, nuove varianti. Tutti elementi che hanno aggiunto un carico allostatico importante e hanno influito in modo importante sui nostri sistemi. Questi stressors si sono susseguiti uno dopo l’altro e in modi intensi e improvvisi, andando a generare incertezza, nervosismo, paure e timori inconsci grandi.
Il lavoro ha dovuto affrontare cambiamenti che sono avvenuti spesso in modo repentino, radicale, forte. Anche le relazioni sono cambiate tanto: chi conviveva e non ha retto il lockdown, chi ha litigato spesso per paura, ansia o eccessivo senso di protezione, chi ha temuto per i figli e per il partner, chi ha sentito il bisogno di isolarsi davvero anche dalla relazione. Le famiglie e le convivenze sono stati messe a dura prova, come anche le amicizie e le relazioni tra persone che hanno sofferto la distanza geografica.
I sintomi più comuni legati alla pandemia
La pandemia ha generato in tutti noi una serie di reazioni forti che anche ora, pur avendo l’emergenza allentato la sua morsa, va ad alimentare e generare una serie di disturbi legati proprio all’eccessiva tensione emotiva. Il corpo ci parla attraverso delle manifestazioni inequivocabili e tra i sintomi più comuni ci sono cefalea, riferita dal 48% delle persone, ansia, nervosismo, irritabilità (42,8%), tensioni muscolari (39,6%) e disturbi del sonno (32,2%), di cui sono soprattutto le donne a soffrire maggiormente. Come se non bastasse, il problema non sembra interessare solamente gli adulti. Quasi sei persone su dieci pensano che proprio i giovani siano la fascia di popolazione che ha risentito maggiormente delle conseguenze della pandemia. A segnalare queste percentuali è una ricerca condotta da Human Highway per Assosalute.
Un problema a tutte le età
Secondo Piero Barbanti, docente di Neurologia presso l’Università IRCCS San Raffaele di Roma, all’inizio della pandemia con le prime chiusure, due anni fa, c’era una tensione emotiva di carattere positivo nella popolazione.
La situazione emergenziale scoppiata improvvisamente ci ha fatto percepire il pericolo ed è stato proprio questo sentore di allarme a permetterci di sostenere due mesi di chiusura forzata e di riuscire a creare un nuovo equilibrio funzionale e utile senza rendercene conto e senza lamentarci – segnala l’esperto. Quando poi, nelle successive fasi della pandemia, l’entità del pericolo è scesa e lo spavento è diminuito la situazione è cambiata. “È venuto alla luce, invece, uno stress negativo da Covid-19, poiché è comparsa la valutazione soggettiva del possibile protrarsi a lungo termine delle limitazioni e dei rischi, che ha fatto emergere una ruminazione psicologica, un sentimento di sfiducia e allarme cronico – riprende Barbanti.
È anche aumentato il burnout, ovvero l’esaurimento psicofisico del soggetto legato al lavoro, perché, alle normali situazioni che lo determinano, si sono aggiunte modalità lavorative stressanti come il lavoro agile, il telelavoro e la mancanza delle relazioni umane tangibili, compresi quei momenti di pausa che accompagnano la normalità di una giornata di lavoro, come il caffè al bar con i colleghi. Questo ha provocato l’aumento di sintomi come insonnia, ansia, depressione negli adulti che, in alcuni casi, per contrastare tali disturbi, si sono rifugiati nell’abuso di alcol e caffè”.
Dall’indagine emerge che quasi 6 intervistati su 10 segnalano come gli adolescenti tra i 13 e i 18 anni siano la fascia più colpita. Per il 70% degli italiani poi, anche i bambini più piccoli, sebbene con livelli di stress e ansia meno evidenti degli adolescenti, non sono usciti indenni dalla pandemia.
Seppur i ragazzi manifestino lo stress in occasioni e modalità differenti rispetto agli adulti, le loro reazioni includono irritabilità, impulsività, irrequietezza, nervosismo, disturbi del sonno e dell’alimentazione – riprende Barbanti. La mancanza di socialità durante la pandemia (DAD, abolizione delle pratiche sportive di gruppo per i non agonisti) ha influito profondamente sullo sviluppo della personalità dei più piccoli e di conseguenza sull’incidenza di disturbi legati allo stress.
I consigli per vivere meglio
A tutte le età, come si può affrontare questa situazione? Stando all’indagine il consiglio del medico (soprattutto tra gli over 65) e il ricorso ai farmaci di automedicazione (tipico nelle fasce centrali della popolazione) sono i due comportamenti più diffusi tra gli intervistati, in linea con il trend rilevato nella seconda ondata della pandemia (rispettivamente il 36,8% e il 33,5%).
Seguono il consiglio del farmacista (16,3%), il ricorso al web (13,7%) e il consiglio di amici e parenti (8,7%), comportamenti sempre meno diffusi con l’aumentare dell’età. In crescita, rispetto al 2020, la percentuale di coloro che non chiedono consiglio a nessuno e non fanno nulla per alleviare i sintomi, che aumenta dall’11,6% al 21,1%, a evidenziare che, passata la fase più difficile della pandemia, anche la determinazione e l’attenzione con cui si curano i disturbi da stress ha perso di intensità.
Lo stress può invece essere affrontato “conoscendolo, e poi facendo un atto di buona volontà, modificando, di conseguenza, lo stile di vita e approcciando l’automedicazione – segnala Barbanti.”
La pandemia e lo sguardo interno
Molte persone, durante e dopo la pandemia, hanno voluto esplorare meglio se stesse e avviare un percorso con il supporto di un/a professionista dell’ambito psicologico. Abbiamo passato molto tempo da soli/e e questo ha portato alcuni di noi a rimettere in discussione confini, limiti, emozioni, decisioni. Ogni volta che si avvia un percorso che porta verso se stessi/e, non si sbaglia. Siamo al mondo per conoscerci sempre meglio e questo genera abbondanza, armonia e rende consapevoli dei propri punti di luce e d’ombra.
La pandemia per alcune persone quindi ha significato tornare in contatto con la voglia di conoscersi e prendere al volo l’occasione di guardarsi dentro; abbiamo avuto anche tempo per stare con canzoni, libri, riprendere passioni, piccole abitudini creative e questo ci ha messo per forza a contatto con lati tanto profondi quanto difficili da tirare fuori durante la vita frenetica che conoscevamo prima della pandemia. Ci sono i postumi e lo stress, le conseguenze psicologiche e ansiogene. Ma anche un guadagno nel senso dell’esplorazione profonda, del coraggio di percorrere questa vita chiedendosi davvero chi siamo e cosa possiamo fare per farne un piccolo grande capolavoro.