Qualità del sonno: dormire bene tra i 30 e i 40 anni preserva il cervello

Uno studio dimostra che la qualità del sonno è altrettanto importante della quantità per ridurre il rischio di calo delle prestazioni cognitive

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Prima regola. Non conta solo quanto si dorme, ma anche come si dorme. Secondo assioma. Fate attenzione ad offrire il giusto riposo, per qualità e quantità, al vostro organismo. Soprattutto, prestate attenzione alla qualità del riposo, in età giovanile. Perché se tra i 30 e i 40 anni avete avuto un sonno particolarmente disturbato, ci sarebbero maggiori possibilità che nella mezza età, intorno ai 50 anni, il cervello faccia fatica a preservare la memoria e a reagire prontamente.

Sia chiaro: si tratta solo di un’associazione. Ovvero non ci sono precisi meccanismi causa-effetto che spiegano questa relazione. Ma lo studio che appare sull’edizione online di Neurology, realizzato da esperti dell’Università della California, ci mette in guardia. E ci invita a riflettere sull’importanza di un sonno davvero ristoratore.

Perché è importante un buon sonno

La ricerca, in qualche modo, non si limita ad offrire indicazioni sulla “quantità” di sonno fondamentale per mantenere in salute il cervello. Piuttosto, a detta degli esperti guidati da Yue Leng, pare proprio che un buon riposo nell’adolescenza e nella giovane età sia un viatico ottimale per il benessere del sistema nervoso.

La ricerca, in particolare, ha preso in esame oltre 500 persone (età media intorno ai 40 anni) seguite nel tempo per 11 anni. Con semplici sistemi di rilevazione (il tracciato è stato raccolto con un dispositivo applicato al polso), sono state monitorate regolarmente le abitudini del sonno. A fronte di una media di riposo di circa 6 ore, si è controllata anche la qualità percepita del sonno.

Poco meno della metà dei soggetti ha dichiarato un sonno insoddisfacente, mentre gli studiosi hanno valutato anche quanto e come il sonno risulta frammentato, ovvero “spezzato” nei suoi ritmi. Risultato. Chi aveva il sonno maggiormente disturbato in ragione di questi parametri (175 soggetti in totale) ha avuto un maggior rischio di calo delle prestazioni cognitive dieci anni dopo: ben 44 soggetti si sono trovati in questa condizione di “deficit” parziale sul fronte cognitivo, contro 10 nella popolazione delle persone (176) con un sonno più rilassante e meno disturbato.

I microrisvegli, quando ci “svegliamo” dormendo

In molte persone che genericamente si definiscono insonni non si altera la macrostruttura del sonno, ma ci sono piuttosto brevi momenti di attività che fanno “svegliare” il cervello o magari fanno muovere qualche muscolo, senza che l’individuo se ne accorga. Durano in media una diecina di secondi e si chiamano “microrisvegli”.

Normalmente nella notte di un giovane ci sono 15 microrisvegli, e il loro numero tende a raddoppiarsi negli anziani che hanno un sonno più frammentato e hanno più bisogno della pennichella pomeridiana. Ma in alcuni casi, in una notte ci sono anche più di cento microrisvegli, e in certi individui si arriva al numero esorbitante di 5-600 sveglie indesiderate, come si può verificare nella sindrome delle apnee ostruttive, che portano oltretutto a carenza di ossigeno perché non respirando normalmente non si riesce a dormire.

Il risultato è che il giorno dopo ci si sente stanchi, sonnolenti e ci si interroga su quanto si è realmente dormito. Anche se l’orologio ha detto che le ore di sonno sono state più che sufficienti, infatti, si è spezzato il ritmo del riposo.

I cicli del sonno e i microrisvegli

Anche se non ce ne accorgiamo, per un sonno davvero riposante occorre rispettare i ritmi di un sano riposo. Ovvero bisogna tenere presente che dormiamo portando avanti una cascata di eventi che si susseguono in cicli ben prestabiliti.

Ogni ciclo, che dura circa un’ora e mezza, è fatto da una fase di sonno non Rem e una fase di sonno Rem, quella in cui gli occhi si muovono, il corpo si comporta come fosse sveglio e si sogna. Ma la fase Rem occupa solo il 20 per cento dell’intero ciclo. Nella fase non Rem, invece si susseguono quattro periodi: le prime due di sonno leggero, in cui basta anche un rumore per svegliarsi, la terza e la quarta di sonno profondo. Se si susseguono tanti microrisvegli, all’interno di queste fasi il cervello che si sveglia involontariamente si “desincronizza” e quindi tende a ritornare alla fase precedente. Per cui i ritmi normali del sonno si modificano e si dilatano, e al mattino dopo ci si sente poco riposati.