Primo dicembre 2020. Si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale contro l’AIDS, malattia causata dall’infezione del virus HIV, tra luci ed ombre. Stando ai dati più recenti del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità, infatti, se da un lato calano le nuove diagnosi di infezione da HIV, dall’altro la conoscenza su questo quadro appare sempre più limitata.
L’età mediana dell’infezione per le femmine è di 39 anni e il numero più frequente di nuove diagnosi si verifica nella fascia 25-29 anni. Ma c’è un dato che sottolinea come occorra ancora parlare di questa situazione. Dal 2017 aumenta la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione da HIV, nel 2019: 2/3 dei maschi eterosessuali e oltre la metà delle femmine con nuova diagnosi HIV sono stati diagnosticati in fase avanzata di malattia.
Le caratteristiche dell’infezione al femminile
Al recente congresso ICAR 2020 si è fatto il punto sulla situazione della donna in termini di ricerca, visto che presenta degli elementi specifici sotto il profilo clinico, con riferimento sia all’acquisizione dell’infezione, sia alla progressione della malattia. Molte indicazioni necessitano ancora di conferme, ma alcune conclusioni possono dirsi già conclamate.
“Un elemento caratterizzante della donna è il rischio di acquisizione – ha evidenziato Giulia Marchetti, Professore Associato di Malattie Infettive Università di Milano, presso l’Ospedale San Paolo. L’apparato genitale femminile presenta alcune caratteristiche specifiche che possono comportare alterazioni in grado di favorire la possibilità di contrarre l’infezione.
La letteratura scientifica conferma questa tesi sulla base di due elementi: anzitutto, l’infiammazione a livello genitale femminile determina anche un aumento delle cellule che possono essere infettate da Hiv; in secondo luogo, è dimostrato che vi sia un’aumentata espressione di alcuni corecettori dell’Hiv sulle cellule della mucosa genitale come evidenziato da studi su biopsie della cervice uterina.
Un altro aspetto su cui si è concentrata l’attenzione negli ultimi anni è il cosiddetto microbioma vaginale, quell’insieme di batteri normalmente presenti nel nostro organismo a ogni livello, che influenzano tante situazioni di benessere e malattia. Il tipo di microbioma presente a livello vaginale ha effetti sulla probabilità di venire infettati. Questo è stato dimostrato in coorti di pazienti molto ampie.
In breve, possiamo affermare che le donne abbiano degli elementi di maggiore vulnerabilità, che sono in buona sostanza legati proprio alle caratteristiche biologiche del distretto genitale femminile, sia in termini di infiammazione, cioè di aumento di cellule infiammatorie che possono essere infettate, sia in termini di microbioma che in alcune tipologie sembra favorire la trasmissione dell’infezione”.
Come evolve la malattia nella donna
L’esperta ha fatto anche il punto sulle diversità di genere nell’evoluzione della malattia. “Nelle prime fase dell’infezione, le donne sembrerebbero avere delle cariche virali di HIV più basse rispetto agli uomini: un dato sostanzialmente positivo, almeno in apparenza – ha spiegato la Marchetti.
Tuttavia, in merito alla progressione, cioè alla probabilità di sviluppare Aids, nessuno studio ha dimostrato con certezza delle differenze tra uomini e donne. Quindi, nonostante una carica virale più bassa in una prima fase, ciò non implica un minore sviluppo della malattia come si potrebbe supporre.
I ricercatori hanno approfondito questo aspetto immunologico: ciò che è emerso è che nelle donne, pur con una carica virale più bassa all’inizio dell’infezione, viene a crearsi una situazione di maggiore attivazione del sistema immunitario durante la fase cronica dell’infezione.
In particolare, si osserva un aumento dei livelli di sottotipi cellulari che producono interferone, citochina in grado di esplicare un duplice effetto sull’infezione da HIV: un iniziale maggiore controllo della replicazione virale, seguito però da un contributo alla progressione del danno immunologico.
Questo è il dato più forte: nelle fasi iniziali dell’infezione, prima del trattamento antivirale, le donne hanno meno carica virale, che si accompagna però ad una maggiore produzione di interferone e di attivazione immunitaria, la quale tuttavia nelle fasi croniche dell’infezione può portare ad una progressione di malattia più rapida.
Analogamente, un assetto infiammatorio più elevato nelle donne si associa ad una maggiore probabilità di sviluppare tutte quelle malattie associate alle persone affette da HIV, quali quelle di tipo cardiovascolare, aterosclerosi precoce, infarti, malattie dell’osso come l’osteoporosi o l’osteopenia, oltre a menopausa precoce, minore funzionalità ovarica, conseguenze all’apparato riproduttivo”.
Trattamenti a misura di persona
Sul fronte delle cure, la scienza punta a ridurre il numero dei farmaci da assumere ogni giorno e favorire l’aderenza alle cure attraverso modalità di somministrazione maggiormente “patient friendly”, che si avvicino meglio alle necessità della persona.
Grazie alla triterapia si è portata l’aspettativa di vita di chi è sieropositivo a livelli simili a coloro che non hanno l’infezione, ma si lavora per rendere ancora più semplici in termini di sicurezza e tollerabilità i trattamenti. In questo senso si muovono gli approcci a due farmaci e, per il futuro, si punta anche su somministrazioni a lunga durata d’azione, che possano essere offerti anche con iniezioni intramuscolari da fare a distanza di mesi una dall’altra.