Il glioblastoma fa parte della famiglia dei gliomi. Cosa significa? Si tratta dei tumori che prendono origine da cellule chiamate gliali, ovvero di precursori del Sistema Nervoso Centrale. O meglio. Per essere più precisi, come riporta il sito dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), oggi si sa che all’origine delle lesioni tumorali possono esserci diversi tipi cellulari che hanno caratteristiche simili a quelle progenitrici da cui prendono il via le cellule del sistema nervoso.
Soprattutto, si è scoperto che le diverse cellule implicate possono andare incontro ad alterazioni molecolari specifiche che ne “deviano” il percorso di crescita, con il risultato che non portano alla produzione di tessuto normale ma, appunto, di una massa neoplastica che viene irrorata ed accresciuta grazie ai vasi che ne favoriscono lo sviluppo.
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Quanto è frequente e come si manifesta
Le statistiche dicono che ogni anno in Italia ci sono circa 1500 nuovi casi di glioblastoma ogni anno. Si tratta quindi del tumore cerebrale più diffuso. Purtroppo però siamo di fronte al tumore più aggressivo, e difficile da riconoscere nelle fasi iniziali. In genere i casi sono più frequenti nei maschi e in una determinata fascia d’età adulta tra i 45 e i 75 anni. Globalmente, rappresenta poco meno della metà di tutte le forme tumorali che si sviluppano primariamente nel cervello.
Sul fronte dei sintomi e dei segni correlati alla crescita della lesione, va ricordato che questi sono correlati allo sviluppo della massa tumorale. Quindi l’espansione della lesione porta ad un incremento della pressione all’interno del cranio e a vasodilatazione. Di conseguenza possono comparire cefalee, che tendono a farsi sempre più insistenti e difficili da sopportare, crisi epilettiche e vomito inspiegabile.
Esistono fattori di rischio?
Sostanzialmente è difficile trovare agenti direttamente correlati alla genesi della lesione. Sempre prendendo come fonte il sito dell’ISS, si vede comunque che le radiazioni ionizzanti sono uno degli elementi che possono entrare in gioco, pur se occorre sempre considerare il tipo e la dose di radiazione oltre al tempo di esposizione. Non ci sono invece dati che associano il rischio ad altre radiazioni o all’impiego dei telefonini cellulari.
Ci sono però patologie che in qualche modo sono associate ad un incremento del rischio. Capita con malattie rare come la neurofibromatosi 1 e 2, la sclerosi tuberosa, il retinoblastoma. Va comunque ricordato che si tratta di associazioni davvero rare. Mediamente meno di una persona su cento dei soggetti che hanno sviluppato un glioblastoma ha una patologia ereditaria ben definita.
Come si affronta
Ovviamente il trattamento va studiato caso per caso, partendo da una certezza. La terapia è estremamente complessa e, sfortunatamente, non offre ancora una soluzione definitiva. Si spera per il futuro nella sempre più efficace comprensione delle modalità di crescita e sviluppo del tumore, che purtroppo, come detto, appare molto eterogeneo e nasconde ancora molti misteri, su scala cellulare, se si parla di forme iniziali.
Già oggi, in ogni caso, sono stati fatti importanti progressi nella gestione della patologia rispetto ad alcuni anni fa. In ogni caso, si punta su un approccio multidisciplinare, puntando, caso per caso su diverse strategie di cura.
La terapia standard prevede l’eliminazione della massima parte di lesione con la chirurgia, associata a radioterapia mirata e a farmaci. Inizialmente si punta quindi a rimuovere il tumore, anche per limitare la pressione che il tumore esercita all’interno del cranio, e controllare i sintomi. Diventa difficile invece puntare sulla radicalità oncologica, vista la facilità a diffondersi delle cellule.
L’intervento consente però di studiare anche le caratteristiche cellulari per le successive cure. In questo senso, con la radioterapia si punta ad aggredire direttamente le lesioni mentre con i farmaci chemioterapici si mira a distruggere le unità neoplastiche.