A sette mesi dalla vaccinazione non si registra una riduzione dell’efficacia dei vaccini Covid-19 a mRna nella popolazione generale, mentre si osserva una lieve diminuzione nella protezione dall’infezione (sintomatica o asintomatica) in alcuni gruppi specifici. Lo afferma il quarto report, a cura del Gruppo di lavoro ISS e Ministero della Salute “Sorveglianza vaccini COVID-19” sull’analisi congiunta dei dati della sorveglianza integrata COVID-19 e dell’anagrafe nazionale vaccini.
Sono stati esaminati i dati di più di 29 milioni di persone che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino a mRna, seguite fino al 29 agosto 2021. L’efficacia è stata valutata confrontando l’incidenza di infezioni (sintomatiche e asintomatiche), ricoveri e decessi a diversi intervalli di tempo dopo la seconda dose con quella osservata nei 14 giorni dopo la prima dose, considerato come periodo di controllo.
Insomma: stando a questo documento dell’Istituto Superiore di Sanità, i vaccini sono protettivi. Ma occorre capire bene cosa possiamo attenderci e quale deve essere l’obiettivo della vaccinazione perché si riesce a limitare la circolazione del virus e si riducano i rischi di malattia grave per le persone.
Qual è l’obiettivo?
Quando si parla di vaccinazioni, occorre ricordare che non tutti i vaccini hanno i medesimi obiettivi. Ce ne sono alcuni che in qualche modo evitano completamente il rischio di una determinata infezione, mentre altri possono non essere in grado di azzerare completamente il pericolo che il virus entri all’interno dell’organismo, ma stimolano una risposta difensiva capace di rendere il corpo ben più forte e quindi di ridurre i rischi di eventi gravi correlati alla malattia da cui ci si difende.
È quello che si punta ad ottenere ad esempio con il vaccino per la prevenzione dell’influenza stagionale. Per qualcuno fa da scudo al virus, per altri magari non può evitare qualche leggero sintomo ma previene le complicazioni più pericolose, specie per anziani e malati. Quindi in termini di sanità pubblica e protezione del singolo è una valida misura.
Il vaccino per il virus Sars-CoV-2 fa parte di questa seconda “famiglia” di vaccini: è fondamentale non solo per ridurre il rischio per il singolo, come dimostrano le cifre, ma anche per ridurre il rischio di circolazione del virus tra le persone.
Insomma: quello che emerge dalle ricerche fino ad ora disponibili è che chi ha chiuso il ciclo completo delle due dosi di vaccini rischia di meno di infettarsi e risulta maggiormente protetto dal possibile rischio di sviluppare forme gravi della patologia rispetto ai non vaccinati. Ma c’è un importante vantaggio in più. Grazie alla vaccinazione si può anche essere più protetti nei confronti dell’infezione.
Cosa significa? Che cala il rischio di essere contagiati. Ma attenzione: questo non si può azzerare. Per questo è fondamentale osservare sempre le norme di prevenzione, come portare la mascherina in particolare nei luoghi affollati e chiusi, mantenere il distanziamento e lavarsi spesso le mani.
Chi è vaccinato è meno infettivo?
Una ricerca condotta all’Università di Oxford porta un’altra informazione importante, confermando l’ipotesi peraltro già osservata che la vaccinazione possa ridurre comunque il rischio di trasmissione dell’infezione. Lo studio, in particolare, disegna una sorta di “percorso” del rischio di infezione in base allo stato di immunizzazione e dell’età ed ha preso in esame tamponi positivi nei mesi fino all’estate di quest’anno.
L’indagine si è basata sui contatti di persone positive a tampone per il virus causa di Covid-19 analizzando esclusivamente la “cascata” indotta dai primi casi registrati in uno specifico focolaio, quindi presumibilmente le persone da cui si è originato il cluster infettivo.
Cosa ne emerge? In pratica l’analisi segnala un dato importante: chi è vaccinato risulta comunque meno capace di trasmettere il virus agli altri, anche in presenza di infezione legata alla variante Delta. E c’è un’altra informazione importante che emerge da questa indagine scientifica. Questa sorta di diminuita capacità di “rilanciare” particelle virali all’esterno dell’organismo sarebbe del tutto indipendente dalla carica virale del soggetto, come se il vaccino offrisse un’ulteriore protezione in chiave preventiva.
In particolare, infatti, nei soggetti inseriti nello studio si è visto che pur in presenza di quantità di virus simile tra vaccinati e non nei tamponi studiati, la possibilità di infettare altre persone è risultata minore nei soggetti immunizzati. Va anche detto, per completezza d’informazione, che questi meccanismi protettivi tendono a scendere nel tempo dopo la seconda dose di vaccino. Tra le ulteriori osservazioni emerse dalla ricerca, una conferma: pare proprio che i bambini siano in qualche modo più “difficili” da attaccare da parte di Sars-CoV-2 anche in caso di infezione con la variante Delta, ormai dominante nelle nostre aree.
Leggere le cifre con attenzione
L’Istituto Superiore di Sanità, peraltro, invita a guardare le cifre per capire quanto e come l’innalzarsi del numero delle persone vaccinate stia modificando sia la diffusione del virus sia il ricorso al ricovero ospedaliero e alla necessità di trattamenti in terapia intensiva, ovvero i casi più gravi di malattia Covid-19.
La maggior parte dei nuovi pazienti non era vaccinata. E chi ha completato il ciclo di vaccinazione presenta un calo del rischio di infezione da virus Sars-CoV-2 nelle persone completamente vaccinate rispetto a quelle non vaccinate del 77% per la diagnosi, del 93% per l'ospedalizzazione, del 96% per i ricoveri in terapia intensiva e per i decessi. qualcuno, tuttavia, fa notare come in numeri assoluti si possa anche vedere una certa similitudine tra quanto riportano le cifre relative alle persone vaccinate e non.
Ebbene, lo stesso Istituto Superiore di sanità ricorda che i numeri vanno letti “cum granu salis” per evitare il cosiddetto effetto paradosso. Proviamo a spiegarlo: quando in una popolazione sono moltissimi i soggetti vaccinati, quindi si hanno alti livelli di copertura e quindi in tantissimi sono immunizzati, vista la preponderanza numerica di questi rispetto ai non vaccinati si può avere una cifra sovrapponibile di infezioni e ospedalizzazioni tra i primi e i secondi. Ma ovviamente, occorre ragionare non in termini assoluti ma in percentuale, per evitare grossolani errori di valutazione.