Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.
Pubblicato: 18 Gennaio 2022 17:08
Siamo sempre in ballo tra App, sistemi di misurazione del benessere che riescono a percepire quanti passi facciamo, il battito cardiaco e i tempi del sonno. Anche se mai nulla potrà sostituire completamente il rapporto medico-paziente e l’empatia interpersonale, non c’è dubbio che anche per le necessità di distanziamento imposte in tempi e modi diversi dalla pandemia da Covid-19 la gestione di diverse condizioni croniche ha avuto un’accelerazione significativa verso la possibilità di controlli e monitoraggi a distanza in questo periodo.
Il diabete, in tal senso, è sicuramente un modello che già oggi, e soprattutto in futuro, potrà vedere nella tecnologia e nella disponibilità di strumenti di raccolta e trasmissione dei dati una vera e propria “marcia in più”. Come hanno segnalato gli esperti in occasione del convegno “Panorama Diabete”, infatti stiamo andando a grandi passi verso il “Digital Diabetes”. Lo dicono i risultati dei primi studi sulla telemedicina applicata a questa patologia che dimostrano come i pazienti assistiti da remoto o in modalità ibrida hanno in media un’emoglobina glicata di mezzo punto inferiore a quelli assistiti in modalità tradizionale.
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Dai dispositivi indossabili alla trasmissione dei segnali
“Il digitale è già presente in tanti aspetti della vita dei pazienti – spiega Luigi Laviola, ordinario di Medicina Interna all’Università di Bari – dalla pre-visita (informazioni sulle malattie, ricerca di sintomi, medici e strutture), alla visita (prenotazione, consulto, pagamento, invio referti, al trattamento (somministrazione, monitoraggio del decorso della patologia).
Ma la vera rivoluzione è ancor più evidente nei device per il diabete (pompe da insulina, penne da insulina “smart”, pancreas artificiali ibridi, sensori per la glicemia impiantabili e indossabili), nelle App per pazienti e per medici da smartphone, nei siti web di supporto al paziente e nei software di data management. E già si guarda alle prossime frontiere, come le App di supporto decisionale per il medico, gli algoritmi di intelligenza artificiale (già entrati nello screening della retinopatia diabetica) e i sistemi di integrazione delle informazioni provenienti dai social media. C’è poi tutta l’area dei digital therapeutics, cioè delle app utilizzate come farmaci, che verranno validati da trial clinici su e-coorti”.
Insomma, la salute digitale è già realtà e crescerà sempre di più in futuro. Anche e soprattutto perché consente di controllare a distanza una situazione, come avviene proprio nelle persone con diabete che, grazie ai dispositivi, possono inviare direttamente al curante eventuali variazioni della glicemia e addirittura possono disporre di strumenti “intelligenti” capaci di rilasciare insulina in risposta allo stimolo riconosciuto.
“Il diabete – commenta Laviola – è forse l’esempio migliore di come questi aspetti di salute digitale possano essere collegati in maniera efficace: la m-health consente al paziente di registrare sul suo smartphone e inviare su cloud i dati relativi ad esempio alla glicemia; il telemonitoraggio consente al medico di visualizzare questi dati sul suo computer e di darne un’interpretazione; la telemedicina in senso stretto è il collegamento tra questi due attori e utilizza le informazioni fornite dal paziente e le considerazioni fatte dal medico, per gestire al meglio la patologia”.
Nel diabete, si è già in un contesto in cui questi vari aspetti sono collegati tra loro. Anche perché un numero, non seguito da un’azione, non ha alcun significato e non serve al paziente. Ma la strada da percorrere è questa anche perché dal punto di vista dell’efficacia le ricerche dicono che queste strategie determinano una riduzione di mezzo punto dell’emoglobina glicata, un dato clinicamente significativo di miglioramento del compenso del diabete.
Gli effetti dei lockdown
In qualche modo, la pandemia da Covid-19 ha rappresentato una sorta di “test”, soprattutto nei periodi più complessi da gestire per la quasi totale impossibilità di effettuare visite di controllo in ambulatorio. Negli Usa le visite in presenza si sono ridotte in questo periodo di oltre il 60% e solo il 14% di queste è stato recuperato tramite tele-visita; mentre in Italia, nelle 8 settimane di lockdown più duro (a marzo) molti centri diabetologici sono riusciti a portare a termine oltre il 90% delle visite prenotate grazie alla telemedicina. E si è addirittura generato un paradosso, quello del lockdown effect: alcuni parametri di compenso glico-metabolico dei pazienti italiani seguiti in telemedicina sono addirittura migliorati durante il lockdown. Forse perché, anche a distanza, il diabete può essere tenuto sotto controllo.