Alberto di Monaco blocca la legge sull’aborto: prima di lui un altro monarca europeo si era già opposto

Il Principe Alberto di Monaco rifiuta di firmare la legge per legalizzare l’aborto: non è la prima volta che succede in una monarchia europea

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Antonella Latilla

Giornalista, esperta di tv e lifestyle

Giornalista curiosa e determinata. Scrittura, lettura e cronaca rosa sono il suo pane quotidiano. Collabora principalmente con portali di gossip e tv.

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Il Principe Alberto di Monaco dice no all’aborto. Il sovrano monegasco si è rifiutato di approvare la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Nonostante l’approvazione da parte del Consiglio Nazionale della riforma della legge sull’aborto nel Principato, il monarca si è opposto, giustificando la sua scelta con l’identità cattolica del Principato.

Alberto di Monaco contro l’aborto

Lo scorso maggio il Consiglio Nazionale di Monaco aveva approvato con ampia maggioranza — diciannove voti favorevoli e solo due contrari — una proposta per legalizzare l’aborto nel Principato.

Il disegno di legge prevedeva l’interruzione volontaria di gravidanza fino a dodici settimane, estendibile a sedici in caso di stupro, e l’abbassamento dell’età del consenso dei genitori da diciotto a quindici anni.

Si sarebbe trattato di un cambiamento rilevante in un Paese dove l’aborto è attualmente consentito solo in caso di stupro, grave malformazione fetale o pericolo per la vita della madre.

Tuttavia, la modifica non entrerà in vigore: Alberto di Monaco, esercitando il suo potere sovrano, ha deciso di non firmare la proposta di legge.

Il 67enne, padre di quattro figli — i gemelli Jacques e Gabriella, nati dal matrimonio con Charlene di Monaco, e due figli riconosciuti al di fuori del rapporto coniugale, Alexandre e Jazmin Grace — ha motivato il suo rifiuto affermando che la vita umana deve essere “tutelata in ogni sua fase”.

Secondo il sovrano, una liberalizzazione senza limiti rappresenterebbe un tradimento della storia e dei più vulnerabili. Ha inoltre annunciato che il Ministro di Stato presenterà a breve nuove misure di sostegno per le donne che vivono situazioni difficili.

Un segnale, questo, che mostra come il dibattito sociale sia tutt’altro che concluso, anche senza interventi normativi immediati.

Quando Re Baldovino del Belgio si oppose alla legge sull’aborto

Prima di Alberto di Monaco, un altro sovrano europeo si trovò intrappolato tra convinzioni personali e pressioni legislative: Re Baldovino del Belgio. Era la primavera del 1990 e il Paese era in fermento, con una rivolta sociale che chiedeva a gran voce la modernizzazione delle leggi sull’aborto.

La normativa belga, antiquata e rigida, sembrava ormai distante dalle esigenze dei cittadini, come spesso accade quando il tema tocca corde tanto delicate. E la posizione del Re? Quella di un uomo profondamente segnato dalla propria fede: il giovane Baldovino, prima ancora di salire al trono, aveva persino contemplato la vita monastica, un’idea poi accantonata ma che avrebbe lasciato un’impronta indelebile sul suo regno.

Nell’aprile del 1990, con grande costernazione di Baldovino e della moglie, la Regina Fabiola, i tribunali belgi approvarono finalmente la legge che depenalizzava l’aborto. Un atto che contraddiceva il messaggio di Natale del 1989 del Re, in cui difendeva la vita dei bambini, compresi i nascituri.

Lo shock per il Palazzo Reale fu enorme: il sovrano avrebbe dovuto firmare quella legge. Di fronte al dilemma, Baldovino cercò rifugio nella Costituzione, alla disperata ricerca di una via che gli consentisse di conciliare dovere e coscienza. La soluzione arrivò dall’articolo 82: una possibilità di abdicazione temporanea, che gli permise di evitare l’atto formale che tanto lo turbava.

Così, la mattina del 4 aprile 1990, la Gazzetta Ufficiale annunciò: “Re Baldovino è dichiarato temporaneamente incapace di regnare”. Per 36 ore, il sovrano fu sollevato dai propri poteri, trasferendo simbolicamente il comando al Primo Ministro Wilfried Martens, che firmò la legge al posto del Re.

Baldovino, nel suo intimo, considerava quel documento quasi blasfemo, un atto contrario a tutto ciò in cui credeva. Quando quelle ore trascorsero, il Re riprese le redini del trono e la vita istituzionale tornò alla normalità, come se una maledizione temporanea fosse stata spezzata.

Ma dietro quell’insolito gesto, oltre alle convinzioni religiose, c’era una storia personale drammatica. Il 1990 segnava il trentesimo anniversario del matrimonio di Baldovino e Fabiola, un’unione bellissima ma segnata da un unico, doloroso nodo: la genitorialità. La coppia non riuscì mai a concepire e, anni dopo, la Regina confessò di aver subito diversi aborti spontanei nei primi anni di matrimonio.

Quel dolore personale, unito alla loro fede profonda, rese ancora più difficile accettare la necessità di una legge che regolamentasse l’aborto in una società moderna.

Pur essendo stato temporaneamente esentato dalla firma, Baldovino rimase per sempre consapevole che la legge era entrata in vigore durante il suo regno. Un rimpianto privato che lo accompagnò per il resto dei suoi giorni, testimone silenzioso del conflitto tra coscienza e realtà politica.

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