Psicologia finanziaria: cosa ci spinge davvero nelle scelte economiche

Il rapporto con i soldi racconta molto di noi, con emozioni, paure e desideri spesso nascosti dietro numeri e bilanci

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Donatella Ruggeri

Psicologa

Psicologa, fondatrice di “Settimana del Cervello”. È una nomade digitale: lavora da remoto e lo fa viaggiando.

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La ricchezza ha molto più a che fare con i nostri comportamenti che non con lo stipendio o gli introiti che percepiamo. Ma poche persone ci credono e ancora meno riescono a mettere in atto azioni davvero utili per generare non dico ricchezza assoluta ma almeno benessere e serenità economica.

Questa è una delle prime cose che ho imparato (e che mi ha molto sorpreso!) quando ho iniziato a occuparmi di finanza personale dal punto di vista psicologico. Leggendo libri, studi, approfondimenti, ho scoperto che il nostro rapporto con il denaro parla molto più di emozioni, convinzioni e bisogni che di numeri sul conto corrente.

Scopi psicologici del denaro

Il denaro, nella nostra vita, non è mai semplicemente un mezzo di scambio, uno strumento per acquistare beni o pagare servizi, bensì un simbolo stratificato, multifunzionale, che si intreccia con le emozioni più viscerali.

Rappresenta libertà, sicurezza, controllo, valore personale e sociale, ma è anche una fonte costante di desideri mai del tutto appagati, di paragoni continui, di ansie più o meno manifeste.

Per molte persone, il denaro diventa la misura del proprio successo. Quanto guadagniamo, quanto possediamo, quanto possiamo permetterci di spendere: tutto questo viene letto, da noi stessi e dagli altri, come un indicatore di status, competenza e realizzazione. E non è raro che dietro a un acquisto, un investimento o una rinuncia, si nasconda il bisogno di sentirsi visti, stimati, sicuri e approvati.

Il problema nasce quando il denaro smette di essere un mezzo e diventa un fine. Quando, invece di aiutarci a vivere meglio, finisce per generare nuove insoddisfazioni.

È lì che il nostro rapporto con i soldi si fa ambivalente: da una parte possono rappresentare uno strumento di libertà e possibilità, dall’altra diventano motivo di tensione e frustrazione. Rassicurano, ma al tempo stesso ci tengono in allerta.

Quella sensazione di “non avere mai abbastanza” è, per molte persone, una fastidiosa compagna, insidiosa e costante.

Il denaro come regolatore emotivo

C’è un uso del denaro particolarmente delicato, spesso inconsapevole persino per chi lo mette in atto: quello legato al suo potere emotivo. Spendere per consolarsi dopo una giornata pesante, accumulare per sentirsi protetti da un futuro che fa paura, risparmiare in modo compulsivo per tenere sotto controllo l’ansia. In tutti questi casi, il denaro non parla solo di conti o bilanci: parla delle nostre fragilità. Delle ferite, dei vuoti, delle emozioni che cerchiamo di evitare o placare.

Ci sono giorni in cui tutto appare opprimente. Ci sentiamo stanche, scoraggiate, agitate. E spesso, quasi senza pensarci, apriamo un sito di shopping, entriamo in un negozio, clicchiamo su “acquista”. Quindi non per necessità, ma per cercare un sollievo, qualcosa che ci distragga o ci faccia sentire, anche solo per un istante, meglio.

In quei momenti, il denaro assume il ruolo di anestetico emotivo: disinnesca temporaneamente l’inquietudine, genera un piccolo picco di piacere, ci allontana da ciò che fa male. È una strategia di coping che probabilmente conosciamo bene, anche se difficilmente la nominiamo.

Il problema è che funziona solo nel breve termine. Dopo l’effetto anestetico iniziale, resta spesso un senso di vuoto ancora più profondo, o un senso di colpa, o la frustrazione di non essere riuscite ad affrontare davvero quello che stava sotto.

Riconoscere questo meccanismo consente di gestire il denaro e i propri desideri con più lucidità.

Il denaro come mezzo di appartenenza

A volte non spendiamo per noi, ma per sentirci parte di un gruppo. Per non essere tagliate fuori, per non sembrare “quelle che non possono permetterselo”.

Succede quando prenotiamo una vacanza con amici anche se non siamo convinte, quando acquistiamo oggetti che non ci rispecchiano davvero, ma che ci aiutano a “stare al passo”. In questi casi, il denaro diventa un linguaggio sociale, un passaporto per essere accettate.

È il modo con cui comunichiamo a chi vogliamo assomigliare, dove ci sentiamo accolte, in quale narrazione desideriamo rientrare.

Il denaro come contenitore di vecchie paure

Il rapporto che abbiamo oggi con i soldi è spesso lo specchio delle esperienze vissute in passato. Se da piccole abbiamo assistito a discussioni familiari sul denaro, se abbiamo sentito frasi come “non possiamo permettercelo” dette con rabbia, vergogna o senso di colpa, è possibile che oggi il denaro continui a portarsi dietro quella stessa carica emotiva.

Anche quando la situazione economica è oggettivamente stabile, possiamo vivere in uno stato di allerta costante: paura di restare senza, senso di colpa nell’acquistare qualcosa, difficoltà a godere davvero di ciò che abbiamo.

Il denaro, allora, non è solo uno strumento pratico, ma un nodo irrisolto, un contenitore di paure che hanno più a che fare con il passato che con il presente.

Il denaro come strumento di autonomia e identità

La dipendenza economica è un fattore critico in contesti di violenza domestica: il 14,8% delle donne italiane non possiede un conto corrente bancario (dati 2024), condizione che spesso impedisce alle persone vittime di relazioni in cui si verificano abusi di allontanarsi, per mancanza di risorse a disposizione.

Se ci pensiamo, quindi, questa limitazione finanziaria trasforma il denaro in uno strumento di sopravvivenza prima ancora che di libertà.

Per chi ha vissuto relazioni controllanti (partner manipolativi, genitori iperprotettivi), possedere soldi propri diventa un atto rivoluzionario: permette di scegliere dove vivere, cosa mangiare o quando chiedere aiuto, permette cioè di rompere dinamiche di potere tossiche.

L’autonomia economica infatti non è solo materiale ma una vera e propria emancipazione psicologica, come peraltro dimostrano i casi in cui l’apertura di un conto personale o il primo stipendio diventano atti di autodeterminazione che ridefiniscono l’identità stessa della persona.

Come le esperienze familiari plasmano il nostro rapporto con il denaro

La nostra relazione col denaro nasce molto prima di quando abbiamo un conto corrente, ovvero dentro le mura di casa. Lì, tra i gesti quotidiani degli adulti e le parole che li accompagnano, iniziamo ad assorbire, anche senza rendercene conto, significati, emozioni e convinzioni che ci accompagneranno per il resto della vita, se non avremo il coraggio o la voglia di metterli in discussione.

Da bambine infatti impariamo prevalentemente osservando: se vediamo un genitore reagire con ansia al momento della spesa o discutere spesso di soldi, assoceremo inconsciamente il denaro alla tensione o al conflitto. Se, al contrario, il denaro viene trattato con rispetto, ma senza il carico di paura o giudizio, sarà più facile che da adulte riusciremo a viverlo con equilibrio.

Le prime esperienze dirette con il denaro, come la paghetta, i piccoli acquisti o i semplici giochi di scambio, hanno un peso simbolico molto più grande di quanto sembri. In quelle situazioni si allenano non solo competenze pratiche, ma soprattutto si interiorizzano idee: cosa significa spendere, quanto vale aspettare, se è giusto o sbagliato volere qualcosa “solo per sé”.

E ancora, si impara a distinguere tra ciò che si desidera e ciò di cui si ha davvero bisogno, un confine che, se non viene esplorato fin da piccole, può restare sfocato anche da adulte, alimentando comportamenti impulsivi o compensativi.

Oltre all’ambiente familiare immediato, esiste un’eredità più implicita ma altrettanto importante, quella della trasmissione intergenerazionale.

Le esperienze di povertà, abbondanza o privazione vissute da genitori e nonni lasciano le loro tracce anche quando non vengono raccontate apertamente. Un padre che ha conosciuto la fame potrebbe crescere figli iper-risparmiatori anche se oggi non c’è alcun rischio concreto. Una madre che ha vissuto con vergogna la propria condizione sociale potrebbe spingere i figli verso il successo economico come forma di riscatto. In entrambi i casi, le scelte non nascono nel presente ma rispondono a paure, bisogni o ferite del passato.

Infine, c’è il tema delle lealtà inconsce verso la famiglia d’origine. Senza accorgercene, possiamo ritrovarci a ripetere schemi economici che in realtà non ci appartengono, ma che rispondono al bisogno di rimanere fedeli alla nostra storia. Può succedere, ad esempio, di provare un senso di colpa nel guadagnare più dei propri genitori, o di avere difficoltà a godere di ciò che si ha per non “tradire” un clima familiare fondato sulla rinuncia.

A volte la paura di spendere, il bisogno di nascondere il proprio benessere o l’incapacità di chiedere di più non sono limiti personali, ma modi inconsci per restare dentro i confini affettivi in cui siamo cresciute.

L’ambivalenza affettiva verso il denaro

Il denaro suscita emozioni che difficilmente riconduciamo ad esso in modo diretto, ma che comunque condizionano il nostro modo di pensare, scegliere e vivere.

  • Possiamo desiderarlo intensamente e, allo stesso tempo, sentirci in colpa per averlo;
  • possiamo inseguirlo con determinazione e poi temere di perderlo, come se ci definisse;
  • possiamo cercarlo per sentirci libere e, una volta ottenuto, percepirci più sole o sotto pressione.

Questa coesistenza di sentimenti contrastanti (amore / timore, gratitudine / vergogna, desiderio / sospetto) prende il nome di ambivalenza affettiva ed è una delle cose a cui dobbiamo guardare per comprendere il nostro rapporto con i soldi.

Da un lato il denaro rappresenta la possibilità di proteggerci, di scegliere, di prendere decisioni senza dover dipendere da altri, ed in questo è simbolo di sicurezza, di libertà. Ma proprio questa apparente sicurezza può far emergere nuove paure: paura di perderla, di sprecarla, di non meritarla.

Così, ciò che ci rassicura può anche inquietarci e ciò che ci rende libere può anche isolarci. È il paradosso con cui molte persone convivono: vorrebbero maggiore autonomia economica, ma temono il peso delle responsabilità che comporta.

Non va sottovalutato nemmeno il bisogno inconscio di controllo. Per alcune persone, gestire nel dettaglio ogni spesa, accumulare, pianificare ogni centesimo non è solo un comportamento utile, pratico, ma una forma di rassicurazione emotiva. Tenere tutto sotto controllo aiuta a sentirsi padrone della propria vita, ma quando questo bisogno diventa rigido, quando il controllo prende il sopravvento sulla fiducia, può trasformarsi in una prigione, in un’ansia costante che toglie respiro invece di darlo.

Infine, c’è il senso di colpa, una sensazione molto diffusa e anche molto difficile da ammettere. Possiamo sentirci in colpa per il fatto di avere troppo, di guadagnare più delle altre persone, di concederci qualcosa, ma anche perché non abbiamo abbastanza o perché non siamo riuscite a “sistemarci” o a corrispondere a un modello stereotipato di successo.

Questi sentimenti spesso non nascono da noi, ma, come abbiamo visto, da messaggi ricevuti nel tempo in famiglia e nella cultura in cui siamo cresciute.

Interiorizziamo l’idea che il denaro sia qualcosa che “dice chi siamo” e, di conseguenza, ogni squilibrio, sia in eccesso che in difetto, può attivare emozioni complesse.

Riconoscere questa ambivalenza purtroppo non aiuta a risolverla una volta per tutte, ma iniziare a darle un nome, uno spazio, una voce, e forse possiamo iniziare a liberarci, almeno un po’, dalla sua invisibile morsa.

Se c’è una prima conclusione che voglio trarre è allora la stessa con cui ho iniziato: dobbiamo capire che la ricchezza vera, quella che genera benessere e stabilità, ha molto meno a che fare con le cifre e molto più a che fare con i comportamenti, le convinzioni e la consapevolezza con cui gestiamo il nostro rapporto con il denaro.

Non è (solo) una questione di quanto guadagniamo, ma di come ci relazioniamo a ciò che abbiamo e di come decidiamo di spendere (o investire) i nostri soldi. La ricchezza è in buona parte determinata dalle piccole scelte quotidiane.

Le persone che vivono con serenità il proprio denaro non sono necessariamente quelle con i conti più pieni, ma spesso quelle che hanno imparato a riconoscere i propri bisogni, a gestire le proprie paure e a distinguere ciò che vale davvero la pena comprare da ciò che gratifica solo per un attimo.

Ma siamo solo all’inizio: nei prossimi articoli continueremo a esplorare la psicologia dei soldi. In particolare parleremo del ruolo delle emozioni nelle decisioni finanziarie, dei bias cognitivi che ci portano a sbagliare e di come sia possibile costruire una gestione più consapevole del denaro attraverso l’educazione finanziaria e il cambiamento degli schemi mentali, perché parlare di soldi non sia più un tabù, ma un gesto di cura lucido e consapevole verso di noi e verso il nostro futuro.