Perché dovremmo smettere di commentare i corpi (anche in positivo)

Anche i commenti “positivi” sull’aspetto fisico influenzano il cervello e la percezione di sé. Dobbiamo trovare altri argomenti

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Donatella Ruggeri

Psicologa

Psicologa, fondatrice di “Settimana del Cervello”. È una nomade digitale: lavora da remoto e lo fa viaggiando.

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Un commento sul corpo non è mai neutro. Anche quando nasce da un’intenzione positiva, come un complimento o un commento fatto “per il bene dell’altra persona”, può generare una risposta emotiva che interferisce con la concentrazione, con la capacità di elaborare le informazioni e persino con le performance cognitive.

Le neuroscienze ci spiegano che il cervello, di fronte a un giudizio sul proprio aspetto, non fa una distinzione netta tra “bene” e “male” e reagisce attivando aree legate alle emozioni, alla valutazione del sé e al controllo cognitivo.

Ecco perché dire “come sei dimagrita!” o “stai benissimo oggi” può, in alcune persone, scatenare non solo piacere (che magari è il nostro obiettivo) ma anche ansia, autocritica e disagio.

Un’abitudine sociale da mettere in discussione

Commentare i corpi è diventato quasi come parlare del meteo: un riflesso automatico, una cosa che facciamo tra amiche, in famiglia davanti alla tv, nei luoghi di lavoro e a volte persino con persone sconosciute.

Nella nostra cultura, e più in generale in quella occidentale, parlare dell’aspetto fisico è ancora percepito come un modo per esprimere interesse, attenzione o premura. Ma in realtà, ogni commento, anche il più benevolo, comunica un messaggio implicito molto pericoloso, ovvero che “il tuo corpo è qualcosa che posso valutare”.

E questo, soprattutto per le donne, è un retaggio che mantiene vivo un meccanismo di controllo sociale mascherato da normalità e convivialità.

Dietro quella frase, “stai benissimo”, può infatti nascondersi un invito implicito a mantenere quel corpo, quella forma, quell’immagine. Dietro quel “sei dimagrita” può annidarsi l’idea che prima ci fosse qualcosa di sbagliato, di poco consono, da correggere.

Anche se non è nostra intenzione, dobbiamo sapere che commentare i corpi significa contribuire a un linguaggio che mette l’apparenza al centro della relazione, lasciando in secondo piano ciò che la persona è, come sta e come si sente.

Cosa accade nel cervello

Quando riceviamo un commento sul corpo, il cervello elabora il messaggio come un feedback sociale.

Se il commento è negativo, si attivano aree come l’insula e la corteccia cingolata anteriore, coinvolte nel dolore sociale (per intenderci, si innesca la stessa sofferenza che proviamo quando ci sentiamo escluse o rifiutate).

Ma, come dicevamo, anche un complimento può innescare una risposta negativa! In questo caso, anche se si attivano i circuiti dopaminergici della ricompensa che generano piacere, contemporaneamente si attivano anche le aree del controllo e dell’autovalutazione, specie nelle persone con bassa autostima o ansia sociale.

Il risultato quindi è un’ambivalenza emotiva: il piacere del riconoscimento si mescola al timore di non essere all’altezza, all’auto-osservazione costante, al bisogno di conferma; una tensione interna che può arrivare a ridurre, seppur temporaneamente, l’efficienza cognitiva, ovvero a distrarci, a consumare energie mentali e ad alterare il modo in cui percepiamo noi stesse.

Ne vale la pena? Secondo me, no.

L’effetto psicologico: piacere, vergogna e controllo

Dal punto di vista psicologico, quindi, i giudizi sull’aspetto, sia positivi che negativi, rinforzano l’idea che il corpo sia una vetrina pubblica alla mercè di tutti.

Nei casi in cui i commenti sono negativi, questi generano vergogna, ansia e riduzione dell’autostima. D’altra parte, i complimenti continui sull’aspetto fisico possono creare una sottile forma di dipendenza: l’autostima finisce per legarsi al consenso esterno e la percezione di valore personale diventa fragile e condizionata.

Al contrario, quando i complimenti si spostano su qualità interiori o capacità, come ad esempio la sensibilità, la determinazione o la creatività, il cervello associa la ricompensa a un senso di valore più profondo e stabile.

Le ricerche dimostrano infatti che i rinforzi sociali non legati all’apparenza promuovono una maggiore autostima, il benessere emotivo e migliori prestazioni cognitive.

Quando il commento si interiorizza

Ma non è finita qui. Nel tempo, i giudizi esterni si possono trasformare in giudizi interni.

Molte donne imparano a osservare il proprio corpo come se lo guardassero con gli occhi degli altri, un meccanismo noto come auto-oggettivazione.

Questo monitoraggio costante del sé genera ansia, distrae e riduce la connessione con le proprie sensazioni corporee. Anche senza ricevere critiche esplicite, la sola aspettativa di essere valutate può innescare stress e ridurre la lucidità cognitiva, come se il cervello rimanesse in uno stato di allerta sociale permanente.

Perché colpisce soprattutto le donne

Sebbene tutte le persone possano sperimentare giudizi sul corpo, la pressione sociale sull’immagine femminile resta molto più forte.

La cultura mediatica, gli stereotipi di genere e i modelli di bellezza irrealistici spingono molte donne a definire il proprio valore principalmente attraverso l’aspetto fisico. Questa pressione si traduce in una maggiore vulnerabilità all’ansia da giudizio, alla vergogna e ai disturbi legati all’immagine corporea.

Il cervello delle donne, come mostrano studi di neuroimaging, risponde con una maggiore attivazione delle aree legate alla valutazione sociale e all’empatia quando viene esposto a giudizi sul corpo, segno che ci informa su una sensibilità più alta ai feedback esterni.

Verso una comunicazione più consapevole

Smettere di commentare i corpi non significa negare o ignorare la bellezza, ma restituire alle persone la libertà di vivere il proprio corpo senza sentirsi osservate o misurate.

Significa scegliere di spostare lo sguardo da come appari a come stai, da quanto vali per gli altri a quanto ti senti bene con te stessa.

È un cambiamento culturale e linguistico che parte dalle conversazioni quotidiane e in cui ciascuna di noi può fare la differenza, scegliendo attivamente di non esprimere giudizi o commenti quando si tratta del corpo delle altre persone.

Evitare di ridurre qualcuno al suo aspetto è un atto di rispetto, ma anche di responsabilità collettiva. Perché ogni volta che parliamo di corpi, stiamo facendo inconsapevolmente passare un messaggio, soprattutto per le bambine e le giovani donne, ovvero che ciò che conta davvero, o di più, è proprio l’aspetto esteriore.