È giusto dire sempre quello che si pensa? Perché no e quando farlo

È corretto essere sinceri, ma la nostra trasparenza non deve ferire nessuno. Senza rinunciare al diritto di dire la nostra, ecco come "parlare in faccia" in modo da comunicare con gli altri, migliorare la nostra reputazione e farci stimare

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Marina Mannino

Giornalista esperta di Lifestyle

Laureata in Lettere, è stata la caporedattrice di una famosa rivista per ragazze e ha lavorato nella produzione musicale. Scrive per diverse testate e per DiLei si occupa di test sulla personalità, della rubrica #segretidelcuore e scrive articoli per la sezione DiLei GirlZ.

“Scusa ma io dico sempre quello che penso: questo vestito ti sta proprio male! Ma come hai fatto a comprarlo?” sussurriamo all’amica che è venuta alla festa con un abito di strass e pizzo (pagato con tre stipendi) di cui, fino a un secondo prima, era felicissima ed ora vorrebbe bruciare. Ecco un esempio di piccola crudeltà verbale che ferisce senza volerlo. Perché c’è modo e modo di essere sinceri e di dire quello che pensiamo al prossimo.

Come dire (bene) agli altri quello che si pensa

Il rispetto è sempre attuale

La prima regola che dovremmo tenere in mente quando ci relazioniamo con gli altri è il rispetto. Sembra un termine desueto e inutile in un’epoca in cui la comunicazione tra le persone si è fatta sempre più esplicita, feroce, sfacciata. Tramite i social ognuno può dire quello che pensa a chiunque altro, anche se non lo conosce di persona. In quest’atmosfera da “diciamoci tutto ma nel peggior modo possibile”, ci sentiamo un po’ sceme a osservare una forma di rispetto, parola che indica “sentimento di riguardo e di attenzione nei confronti degli altri, che trattiene dall’offendere, dal trattare bruscamente o in modo inadeguato”, come dice il dizionario De Mauro online. Sembra un atteggiamento così fuori moda, appartenente a un altro mondo, ma riflettiamo: non ci piacerebbe che gli altri avessero verso di noi riguardo e attenzione senza offenderci e trattarci bruscamente?

Il know how che funziona

L’assertività ha un grande potere  nella comunicazione: è la capacità di affermare le proprie opinioni ed emozioni nel rispetto di quelle degli altri. Qualche esempio? Invece di dire “il nuovo taglio di capelli che hai è tremendo”, meglio dire “non è male, ma non mi pare molto adatto a te”; al posto di “stai sbagliando di brutto” meglio “che ne dici di trovare un’alternativa?”. Invece di “quello che hai detto è una mega idiozia”, è più adatto “non sono d’accordo con quello che dici, ne parliamo meglio?”. In questo modo possiamo dire quello che pensiamo senza ferire e oltretutto mostrandoci sensibili e empatiche. Non c’è un reale bisogno di esternare le nostre opinioni con una sincerità aggressiva. Possiamo farlo con gentilezza. Perché la gentilezza genera gentilezza, tanto quanto l’offesa genera l’offesa.

Un’idea che ci fa vincere

Prima di dire la nostra su qualsiasi cosa, freniamo un secondo e chiediamoci: “Esiste un altro modo per dirlo?”. Sì, nella maggior parte dei casi. Ad esempio, un sistema che funziona bene è passare dal “tu” all'”io”. Ad esempio, una frase come “Sei molto brava a fingere che non c’entri niente!” si può esprimere così: “Io non capisco cosa pensi davvero e mi piacerebbe che me lo spiegassi”, che sposta su di noi l’accento ma sottolinea ugualmente la tendenza dell’altro a svicolare dal coinvolgimento. Questo non significa manipolare l’interlocutore o esprimersi in maniera ipocrita e subdola, ma essere diplomatiche e, in un certo qual modo, furbe. “Tua madre è opprimente e ficcanaso, non la sopporto” dà meno risultati di “Ho qualche difficoltà a comunicare con tua madre. Forse non riesco a rassicurarla sul fatto che me la cavo da sola. Mi aiuti?”.

Due punti a nostro favore

Dire quello che pensiamo è un nostro inalienabile diritto. Ma è nostro dovere farlo nel modo migliore, e non solo per una questione di educazione e correttezza – che sono già due super-motivi inoppugnabili. Se riusciamo a dire le cose come stanno, ma con garbo, la nostra reputazione andrà alle stelle: gli altri capiranno che siamo persone oneste, pronte a dire quello che pensano ma sempre con obiettività a attenzione. Il secondo punto a nostro favore sarà che gli altri si apriranno con noi con fiducia e senza “maschere”. Non si sentiranno giudicati, ma capiti, anche se siamo diversissimi. E questo vale in ogni contesto, familiare o lavorativo.

Il coraggio di non ferire nessuno

“Dimmelo in faccia se hai il coraggio” è una frase molto ad effetto che appartiene al sentire comune come pure ai social. Fa un po’ bullo di periferia o anche malavitoso permaloso. Ma il coraggio non si misura dal modo in cui spiattelliamo in faccia a una persona una verità sgradevole. Il coraggio semmai è la capacità di dire le cose come stanno senza ferire o spiazzare l’interlocutore. È venirsi incontro, non andare allo scontro, almeno per quello che riguarda le relazioni umane. Il coraggio, quello vero, è di chi affronta una malattia difficile, di chi si toglie il velo rischiando la morte, di chi denuncia la violenza di un partner, di chi cresce i figli da sola, di chi sopravvive come può tra le macerie della guerra. Dirsi le cose in faccia non richiede tutto questo coraggio, a meno che non stiamo parlando in faccia a Godzilla!

Niente bocche cucite, mai

Questo non significa che dobbiamo tenerci tra i denti tutto quello che vorremmo dire sulle azioni, le scelte, le opinioni degli altri. Anzi, dobbiamo sentirci libere di poter dire la nostra. D’altronde, se fossimo persone che non si aprono agli altri e agiscono nell’ombra, senza mai esprimere un’idea, un parere, un pensiero, chi mai potrà provare fiducia (e empatia) verso di noi? Rischieremmo di venir considerate poco trasparenti e ambigue. E saremmo sospette anche se fingessimo consenso verso tutti e dicessimo agli altri solo quello che vorrebbero sentirsi dire. Che fare, allora? Essere spontanee, dirette e convinte di quello che diciamo, ma senza oltrepassare il confine che separa un’opinione sincera da un attacco alla sensibilità altrui.

Parlare chiaro è facile

Insomma, dire in faccia quello che si pensa è un’azione giusta e legittima, basta trovare il modo per farlo perché sia utile agli altri e a noi stesse. Da un’opinione espressa correttamente può scaturire un dialogo attraverso cui ci si può confrontare, chiarire, capire. Da parole buttate in faccia come una secchiata d’acqua gelida è piuttosto difficile che nasca qualcosa di costruttivo. Parlare chiaro è essenziale nelle relazioni umane, ma farlo bene lo è di più.

Dire la nostra sui social

È qui che siamo più tentate di dire la nostra in modo “forte”. Ci sentiamo in campo aperto, protette dall’anonimato di un nickname, libere di imitare tutti gli altri che sparano commenti feroci senza farsi scrupoli. Ma siamo davvero noi a scrivere quel post terribile sul look di un’amica (“Sei una balena spiaggiata”) o sul balletto di un’altra (“Sei un insulto alla danza”)? Siamo noi che nella chat facciamo a pezzi il messaggio sgrammaticato di una mamma (“Prima di scrivere dovresti rifare le elementari con i nostri figli”). Ma non appariremo certo più popolari e simpatiche dicendo quello che pensiamo senza la mediazione della cortesia. Piuttosto, appariremo insolenti, presuntuose, arroganti. Se siamo a caccia di like di gente come noi, continuiamo pure nella nostra politica di “dico quello che penso e chi se ne importa degli altri”. Ma alla lunga si ritorcerà contro di noi. Quindi evitiamo di unirci alla massa di “spudorati digitali” e manteniamo lo stesso tono gentile e spiritoso che vorremmo che altri avessero con noi.

Se non ora, quando?

Ma allora quando possiamo dire in faccia le cose a qualcuno così come ci escono dalla mente? È ok, per esempio, in questi casi.

  • La persona a cui ci rivolgiamo ci conosce bene da tempo e sa come siamo fatte.
  • È una persona a cui teniamo molto: una sorella, una cara amica, qualcuno a cui parliamo con il cuore in mano anche se stiamo per dire una cosa spiacevole.
  • È una persona non dipende da noi e quindi può replicare al nostro commento senza essere costretto a subire in silenzio (ad esempio, un collega subordinato a noi).
  • La persona con cui discutiamo non è un avversario (politico, sportivo, collega rancoroso, tipo fuori-di-testa) la cui reazione potrebbe metterci in pericolo, sia con una social revenge che con… i fatti!