Ammalarsi sul posto di lavoro: cos’è il burnout

Il burnout è uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale causato da stress prolungato e eccessivo sul lavoro o in altre attività impegnative.

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Maria Taverna

Psicologa clinica e dinamica

Psicologa clinica e dinamica, è specializzata nel burnout, nel trattamento dell'ansia e nella gestione delle relazioni.

Pubblicato: 22 Maggio 2024 13:10

Nel vortice frenetico della nostra vita, sempre più persone si trovano ad affrontare un nemico invisibile ma insidioso. Si cela sommessamente tra le pieghe della routine quotidiana, prendendo pian piano sempre più spazio, sino a pervadere totalmente ogni sfera: il burnout.

Questo fenomeno, spesso sottovalutato e misconosciuto, si insinua silenziosamente nelle vite di coloro che si impegnano in un’attività lavorativa, minando la loro salute mentale ed emotiva. La cultura dell’iperproduttività e della costante connessione ci spinge oltre i nostri limiti, pretende la migliore performance possibile, anche a discapito della nostra umanità.

Svegliarsi ogni mattina con la sensazione di partecipare ad una maratona senza fine, con poca energia, senza motivazione per un lavoro che prima appassionava e da cui era semplice trarre soddisfazione e gratificazione, sono le sensazioni che costituiscono la colonna sonora predominante. È fondamentale porre l’attenzione su questa epidemia silenziosa e imparare a riconoscerla, affrontarla e prevenirla. In questo articolo esploreremo le origini del burnout, i suoi sintomi  e le strategie per preservare il nostro benessere in un mondo che sembra sempre più determinato a esaurirci.

Cos’è il burnout è quali sono i suoi sintomi

Il termine Burnout, letteralmente “Bruciato”, viene coniato per la prima volta nell’America degli anni ’70, e viene utilizzato per identificare un insieme di caratteristiche manifestate dai lavoratori dopo un certo periodo, e che comprendevano apatia, indifferenza, nervosismo sempre crescente rispetto le proprie mansioni lavorative.

Se in una prima fase l’attenzione è stata catalizzata verso l’individuazione delle caratteristiche e manifestazioni comportamentali al fine di trovare una soluzione, ad oggi, fortunatamente, l’obiettivo principale punta alla prevenzione di tale condizione.

Per comprendere a pieno nella pratica cosa significhi “essere bruciati ”o, più comunemente, rientrare nella condizione di burnout è possibile far riferimento alle 3 condizioni definite da Maslach nel 1981 nel suo testo: “Burnout: The Cost of Caring”, in cui definisce e delinea le dimensioni di questo fenomeno.

Ecco quali sono.

Esaurimento emotivo

Si manifesta attraverso sentimenti di stanchezza e affaticamento emotivo: una sensazione di mancanza di risorse e di energia per affrontare le richieste del lavoro o della vita quotidiana. Dal punto di vista psicologico, può essere descritto come un deterioramento delle risorse di coping, che sono le strategie che una persona utilizza per gestire lo stress e le sfide della vita.

Questo fenomeno può manifestarsi con sintomi come stanchezza persistente, irritabilità, difficoltà a concentrarsi e una sensazione di sfiducia e disimpegno. Dal punto di vista neurobiologico, può essere associato a un’alterazione del sistema nervoso autonomo, che regola le risposte allo stress. Infatti, le persone che rientrano nella condizione di burnout, possono manifestare una maggiore attivazione del sistema nervoso simpatico, che è responsabile della risposta “combatti o fuggi“, e una minore attivazione del sistema nervoso parasimpatico, che è coinvolto nel rilassamento e nel riposo.

Questo squilibrio può contribuire alla sensazione di costante tensione e affaticamento. L’ energia si spegne gradualmente come una fiamma che sta esaurendo il suo combustibile. Ci si ritrova a lottare per mantenere viva la passione e l’ impegno, mentre il peso delle responsabilità e delle aspettative opprime sempre di più. Ogni giorno diventa una battaglia contro un nemico invisibile, e ogni vittoria è solo una tregua temporanea prima che la prossima sfida si presenti.

Depersonalizzazione

È un fenomeno intrigante, che riflette un cambiamento nella percezione e nell’interazione con gli altri. Si manifesta come una sorta di distacco emotivo e disumanizzazione verso le persone con cui si lavora o di cui ci si occupa come clienti, pazienti o colleghi. Questo può tradursi in una visione cinica e negativa delle relazioni interpersonali, con una tendenza a trattare gli altri in modo impersonale e distaccato.

Dal punto di vista a squisitamente neurobiologico, la depersonalizzazione potrebbe essere correlata a un’alterazione della funzione delle aree cerebrali coinvolte nell’empatia e nel riconoscimento delle emozioni altrui, come la corteccia prefrontale mediale e le strutture limbiche. Di fatti, le persone che rientrano nelle casistiche del burnout, possono mostrare una ridotta attivazione di queste regioni cerebrali durante l’interazione sociale, il che potrebbe contribuire alla percezione di distacco e indifferenza emotiva.

Inoltre, la depersonalizzazione può essere influenzata da fattori psicosociali, come il clima organizzativo in cui si lavora e le dinamiche di gruppo. Un ambiente di lavoro stressante o tossico, caratterizzato da mancanza di supporto sociale, conflitti interpersonali e pressioni eccessive, favorisce il clima ottimale per lo sviluppo  di atteggiamenti cinici e disumanizzati.

Non è insolito che la persona si senta dentro una “bolla di vuoto emotivo”, esperendo un senso crescente di distacco e disinteresse, cui sembra non riuscire a fare fronte, nonostante gli sforzi per lottare contro quel vuoto che sembra voler inghiottire l’ intera capacità di relazione e privarla del piacere di donarsi.

Bassa realizzazione personale

Il burnout può far sentire incapaci di soddisfare le aspettative, di raggiungere obiettivi significativi o di avere un impatto positivo sull’ ambiente lavorativo o sociale. Ne consegue inevitabilmente un senso di scarsa o nulla realizzazione personale.

Ciò contribuisce in gran parte al calo motivazionale, alterando la percezione del proprio valore, minando l’autostima, impedendo il riconoscimento dei traguardi e degli obiettivi raggiunti. Ogni giorno si mette in scena una lotta contro quella voce interiore che mira a sconfortare, umiliare e sminuire. Una battaglia per trovare il coraggio di credere nuovamente in sé stessi.

Strategie utili a ridurre il burnout

È importante sapere che è possibile far fronte e contrastare questa condizione così pervasiva. Uscire dalla dimensione di burnout richiede di intraprendere un percorso a tu per tu con il più profondo Io, percorrendo ed esplorando sentieri interiori accidentali, per dar vita ad un processo di ri-strutturazione e ri-nascita.

Cura di sé e auto-compassione

Prendersi cura di sé stessi è fondamentale per contrastare il burnout. Stabilire limiti sani sul lavoro, sia organizzativi che emotivi è il primo passo. Spesso ci si sovraccarica di incombenze e si fanno propri i giudizi altrui, puntando il dito verso sé stessi in un ottica colpevolizzante.

Riservare al proprio Io gentilezza, comprensione e tolleranza, ridimensionando la visione colpevolista ed accettando di poter sbagliare senza che questo sminuisca il proprio valore, può aiutare a ridurre il senso di colpa e di inadeguatezza che spesso si sperimenta in questa difficile condizione.

Creare connessioni significative

Le relazioni interpersonali possono essere una fonte potente di aiuto per intraprendere questo viaggio. Stabilire connessioni autentiche con amici, familiari o colleghi che comprendano la  situazione e possano offrire amorevolmente sostegno, è una valore importantissimo per non far fronte alle difficoltà in solitudine. Queste relazioni autentiche costituiscono punti di forza per non abbandonarsi alle fragilità date dalla condizione di burnout.

Riconsiderare obiettivi e valori

Il burnout può essere un segnale che è necessario riconsiderare i propri obiettivi e valori. Può essere un importante input di riflessione per capire ciò che appassiona veramente e su cosa è veramente importante investire.

Accogliere dunque questo disagio, per trasformarlo in azione positiva, propositiva e concreta, iniziando da piccoli cambiamenti nella vita quotidiana, per potersi allineare ed avvicinare maggiormente al sistema di valori ed obiettivi di appartenenza, per concentrarsi su ciò che dà realmente soddisfazione e significato. Questo può includere ridurre l’impegno in attività che sono fonte di stress e dedicare più tempo a ciò che maggiormente si adatta alla vera natura del proprio essere.

Sognare, progettare, costruire

Far correre veloce la fantasia, farsi travolgere dall’entusiasmo per quel sogno che per anni, forse decenni, è stato ben serrato in quel cassetto ormai polveroso. Forse, come spesso accade nella vita, non tutto il male viene per nuocere. Forse è arrivato il momento di esprimere al meglio il proprio potenziale nascosto: è la rinascita.

Questi suggerimenti possono essere strumenti importanti per avviare un nuovo inizio, ma talvolta non sono sufficienti. Rivolgersi ad un professionista specializzato in questo ambito è l’apporto che maggiormente permette di rieducarsi per poter far fronte a tutte le sfide, lavorative e non, che si presentano quotidianamente nella nostra vita, permettendo di potenziare il nostro bagaglio di strumenti utili a far fronte alle avversità.

Fonti bibliografiche:

  • Maslach, C., & Jackson, S. E. (1981). The measurement of experienced burnout. Journal of Organizational Behavior, 2(2), 99-113.
  • Maslach, C., Schaufeli, W. B., & Leiter, M. P. (2001). Job burnout. Annual Review of Psychology, 52(1), 397-422.
  • Maslach, C., & Leiter, M. P. (2016). Understanding the burnout experience: recent research and its implications for psychiatry. World Psychiatry, 15(2), 103-111.
  • Bianchi, R., Schonfeld, I. S., & Laurent, E. (2015). Burnout–depression overlap: A review. Clinical Psychology Review, 36, 28-41.
  • Bakker, A. B., & Demerouti, E. (2007). The Job Demands-Resources model: State of the art. Journal of Managerial Psychology, 22(3), 309-328.
  • Leiter, M. P., & Maslach, C. (2009). Nurse turnover: The mediating role of burnout. Journal of Nursing Management, 17(3), 331-339.