Quell’appello, quella richiesta “Non dimenticare mai”, non è pensato per noi. Perché non possiamo dimenticare. Siamo ossessionati da ciò che ricordiamo, 20 anni dopo e probabilmente ricorderemo ancora per 20 anni, da oggi.
Inizia così il toccante racconto di Kimberly Rex alla CNN per ricordare quel tragico settembre, un giorno che ha cambiato la sua vita, perché è stato quello il giorno in cui ha perso suo padre. Lei come tante, come tutti, ha perso qualcosa.
“Come se non ricordassi il momento in cui ho finalmente saputo che mio padre non sarebbe mai tornato a casa. O non ricordassi il suono delle grida di mia sorella in fondo al corridoio quando quel momento è arrivato per lei…Come se non riuscissi ancora a sentire il D della radio che urla di orrore quando il secondo aereo ha colpito la torre”, scrive ancora la donna.
E allora come si può ignorare quel giorno quando il calendario che si avvicina a settembre sembra una specie di monito a non dimenticare?
No, farlo non è possibile. Anche se sono passati 20 anni, e altre 20 ne passeranno. E non perché i giornali lo ricordano con quelle cronistorie dell’orrore, o per le testimonianze di quelli che sono sopravvissuti, ma che non sono mai tornati a vivere, ma perché il coraggio di dimenticare non appartiene a nessuno.
Perché quella mattina dell’11 settembre 2001, New York e il mondo intero si sono trovati ad affrontare uno dei drammi più insopportabili e dolorosi dell’intera esistenza, quello che ha aperto una ferita così profonda e viscerale da fare ancora male. E chi lo sa se un giorno sarà in grado di cicatrizzarsi.
Perché il peso di quel vuoto che c’è lì, dove le imponenti e maestose Twin Tower si sono sgretolate insieme alle vite, alle speranze e ai sogni di migliaia di persone, appartiene a tutti noi. Come se in quelle impronte vuote del Ground Zero echeggiassero le voci, il dolore e l’orrore, le ultime parole pronunciate in quegli ultimi 102 minuti che hanno sconvolto il mondo.
C’erano i ti amo e gli addi, c’erano le speranze vane e l’incredulità. C’erano le fiamme, le urla e il dolore. C’era la paura e il coraggio di provare a fare qualcosa. C’era tutto, e poco dopo non c’era più niente.
No, non sono state solo le Torri gemelle a crollare, ma l’America e il mondo intero. Perché quel martedì sono state spazzate via tutte le certezze che appartenevano alla società contemporanea, e nonostante i vent’anni trascorsi il mondo occidentale non è più stato quello di prima.
Un piano ben organizzato, quattro attacchi suicidi e migliaia di morti. Martedì 11 settembre 2001 quattro aerei di linea appartenenti alla United Airlines e all’American Airlines sono stati dirottati da 19 terroristi appartenenti ad al Qaida.
Due di questi si sono schiantanti prepotentemente contro le Torri gemelle. Sono bastate un’ora e 42 minuti per sgretolare gli imponenti edifici, simbolo della società civile americana, davanti agli occhi del mondo intero.
Un terzo aereo, invece, è stato dirottato sul Pentagono, nella contea di Arlington, facendo crollare la facciata ovest dell’edificio. C’era anche un altro aereo, però. Il volo United Airlines 93 è l’unico dei quattro che non ha raggiunto il suo obiettivo e che, a causa di una rivolta eroica di tutti i passeggeri, si è schiantato in un campo vuoto a Shanksville.
Negli attacchi terroristici dell’11 settembre, considerato il più grave dell’età contemporanea, sono morte 2977 persone, altre 6000 sono state ferite. Negli anni successivi il numero delle vittime è aumentato esponenzialmente includendo anche i decessi provocati a tumori e malattie a carico dell’apparato respiratorio, digestivo e nervoso come diretta conseguenza della nube tossica generata dal crollo delle Tower Twins. Dimenticare è impossibile.