Erano da poco trascorse le 20.00 quando il dottor Amato del Monte, primario di rianimazione della clinica udinese La Quiete, telefonò a Beppino Englaro per comunicargli la morte della figlia. Eluana, dopo di 17 anni di coma vegetativo si era spenta, l’8 febbraio del 2009.
La lunga vicenda processuale che ha riguardato Eluana Englaro ha visto la parola fine quel 6 febbraio, quando i medici hanno sospeso l’alimentazione e l’idratazione artificiale che tenevano in vita la ragazza, ormai diventata donna. Ma tutte le battaglie di papà Beppino, che negli anni ha affrontato processi, sentenze, opposizioni, manifestazioni e critiche, nessuno le ha dimenticate.
Eluana Englaro e il suo incidente
Eluana Englaro nasce il 26 novembre del 1970 in Lombardia. Maturità classica, iscritta alla facoltà di lingue dell’Università di Milano. A soli 21 anni, , la ragazza perde il controllo dell’auto mentre torna a casa: colpisce un palo della luce e poi un albero. Tutto accade troppo velocemente e quando i medici arrivano è già in coma.
L’incidente le causa gravi danni al cervello e una frattura alla colonna vertebrale. I medici le salvano la vita, Eluana è fuori pericolo, ma da quel coma non uscirà mai più. Nel 1993 i medici diagnosticano uno stato vegetativo permanente a causa dei danni estesi alla corteccia celebrale e dalla degenerazione dei tessuti.
Undici anni e sedici sentenze: la battaglia di Beppino Englaro
L’autorizzazione a interrompere l’alimentazione artificiale a Eluana viene data solo dopo anni di battaglie da parte di Beppino. È lui a vivere in prima persona sedici sentenze della magistratura italiana ed europea, ed è sempre lui a finire sotto il mirino delle associazioni cattoliche e dei benpensanti che lo definiscono un assassino.
Dopo essere diventato tutore di Eluana, Beppino chiede, nel 1998, di interrompere l’alimentazione artificiale di sua figlia, considerata come un accanimento terapeutico che andava quindi contro all’articolo 32 della Costituzione. Ma il tribunale respinge la sua richiesta e papà Beppino si rivolge alla Corte d’Appello.
Tra lacune e dibattiti aperti, però la richiesta è nuovamente respinta. Il caso arriva in Cassazione che decide a sua volta di rinviare il caso a una Corte d’Appello di Milano. Il risultato è il medesimo: il ricorso viene respinto. Beppino non si arrende, anche quando la Cassazione nel 2007 esclude l’alimentazione artificiale dalla definizione di accanimento terapeutico.
La Corte però mette in luce un altro elemento: la possibilità di interrompere l’alimentazione artificiale qualora lo stato vegetativo fosse giudicato dai medici completamente irreversibile. Così, il 9 luglio del 2008, la Corte d’Appello di Milano accoglie il ricorso di Beppino autorizzandolo a interrompere l’alimentazione artificiale di Eluana.
Ma non è ancora finita per la famiglia Englaro: la la procura di Milano, infatti, fa ricorso contro la decisione della Corte d’Appello che però lo respinge con una sentenza storica che mette in luce il vuoto legislativo sulla questione.
L’opinione pubblica
La lunga questione processuale finisce sui giornali. In quegli anni alla vicenda di Eluana si affianca quella di Terri Schiavo. Sono gli anni in cui la Chiesa, sostenuta dalle associazione pro-life, invade le strade e le piazze con ceri e processioni che sprofondano il Paese in una sorta di moderna inquisizione.
Nel novembre del 2008 la famiglia Englaro viene ostacolata dalla casa di cura della suore misericordine di Lecco dove Eluana è ricoverata. Loro si rifiutano di interrompere il trattamento accusando Beppino di volersi liberare di lei. Eluana viene così trasferita nella clinica La Quiete, dove morirà l’8 febbraio, mentre gli altri urlano “assassino” a Beppino. Che dirà: «”No grazie, lasciatemi morire”. Questo avrebbe voluto la Eluana e questo aveva chiesto. Lasciate che la morte accada».